8 novembre 2011

UNA GRANDE PADANIA NONOSTANTE BOSSI


Questo giornale ha seguito con particolare attenzione, da giugno a oggi, il rapido avanzare della politica del “grande ponte” cinese lungo il continente euro – asiatico, a partire dall’annuncio della nuova via della seta destinata a connettere la megalopoli di Shangai con Rotterdam e dall’annuncio della presenza del padiglione di Shangai nel contesto di Porto Marghera. Questa politica è supportata dall’Unione europea, in modo diretto, per quanto riguarda la riqualificazione della nuova via della seta per ferrovia e telecomunicazioni, e in modo indiretto attraverso il prossimo ottavo programma quadro, che privilegiando i paesi balcanici, andrà a riqualificare le città lungo l’asse europeo della via della seta (da Istanbul a Budapest).

L’interesse è motivato dalla convinzione che l’esclusione della nostra megalopoli lombardo/padana dal “grande ponte” euro-asiatico la condannerebbero al declino. Il “grande ponte” avanza a grande velocità con vantaggio, sul fronte europeo, delle imprese tedesche, coinvolte nella riqualificazione ferroviaria, nella realizzazione delle nuove telecomunicazioni e, fra poco, nella riqualificazione urbana delle città balcaniche.

In questo scenario la nostra megalopoli milanese/lombarda/padana, accreditata di un sistema di relazioni che coinvolge tredici milioni di abitanti, è data in declino per una serie di fattori:

1) L’ostinata negazione della realtà del bacino padano, teorizzata per dispetto al Bossi pensiero, troverà anche severe motivazioni geo-storiche, ma è assurda per chiunque abbia la capacità per osservare il quotidiano ingorgo di relazioni lungo gli assi di comunicazione – ferroviaria, autostradale e di telecomunicazione – nella direttrice da Torino a Trieste. Al Bossi pensiero, quindi, va riconosciuta l’intuizione dell’intenso bacino di relazioni (la sua padania), ma con vigore occorre denunciare l’assurdità della sua politica tesa a chiudere queste relazioni nei confini del Lumbard, negando ogni politica di inclusione per questo territorio ricco perché aperto alle relazioni con il mondo. Alla padania della Lega andrebbe vigorosamente contrapposta una leadership che punti a relazioni inclusive con le metropoli del mediterraneo e con quelle, consolidate o emergenti, dell’euro-asia. E’ in grado Milano di sviluppare, con sollecitudine, una attendibile agenda su questo argomento?

2) La crisi di proposte innovative del mondo imprenditoriale e del comparto del sapere, a partire del brontosauro accademico, sono forse i più forti handicap di cui soffre oggi la nostra megalopoli. Per far fronte al modello di azione degli orientali (vedi il piano quinquennale cinese sulla rivoluzione pulita) è indispensabile un’agenda per un rinnovo tecnologico coerente con il metabolismo delle risorse naturali. A questa dovrebbe affiancarsi un salto nell’organizzazione pubblica, passando dall’organizzazione vittoriana per singoli piani a una piattaforma urbana, una nuova “macchina urbana” capace di gestire in modo sistemico la vasta gamma di interventi settoriali in calendario da parte dei diversi enti che governano la megalopoli.

Pensare di affrontare la “rivoluzione pulita” con il documento politico di governo del territorio mi sembra ingenuo, fare una politica “collage” di piani contro il cambiamento climatico, per la mobilità, per la sicurezza, ecc… semplicemente illogico. Se il Sindaco di Milano aprisse l’Ufficio del Sindaco per la nuova meccanica urbana, come il suo collega di Boston (www.newurbanmechanics.org), lanciando pochi ma qualificati progetti per aumentare la qualità urbana nei settori dell’educazione, delle infrastrutture telematiche, dell’urbanistica partecipata darebbe una fulminante dimostrazione di come una giunta ad alta valenza sociale è capace, partendo dai ceti più svantaggiati, con politiche di inclusione, di provvedere al rinnovo tecnologico e di dare una visione del territorio al di là della sterile dimensione fondiaria.

La sfida orientale porta a vedere la vera natura dell’Expo, superare le lobby fondiarie che ci stanno portando al fallimento per costruire un ponte che lungo la via della seta illustri le potenzialità delle due agende sopra citate nel campo dell’innovazione, dell’imprenditorialità e della socialità. Quindi, non solo orti e padiglioni sulle aree ristrette dell’Expo, ma un preciso piano di attive presenze nel cuore delle megalopoli mondiali, per integrare il locale con un dinamico sistema di fondaci, come sempre nella scia della nostra storia.

 

Giuseppe Longhi

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti