31 ottobre 2011

DECENTRARE I MINISTERI:PERCHE’ NO?


Il decentramento dei ministeri proposto dalla Lega per Milano/Monza, non è una novità; è stata un’idea a scala nazionale di urbanisti ed economisti degli anni ’60-’70 quando si face-vano i primi studi sulle aree metropolitane: Milano, Busto Gallarate Legnano, Torino, Na-poli, l’area veneta e la bassa-emiliana, persi-no il Valdarno e Brindisi. Ricordo la stessa motivata proposta in una conferenza di Fioren-tino Sullo nel ’72 quando era nominato mini-stro per l’attuazione delle regioni, con un du-plice obiettivo: evitare la concentrazione a Roma di funzioni statali e l’accumulo di subordinate, e portare sul territorio un terziario pubblico da affiancare al boom dello sviluppo industriale di quegli anni.

È andata come sappiamo: concentrazione a Roma dei ministeri sempre più numerosi e moltiplicazione abnorme dell'”indotto”, fatto di enti, lobbies, segreterie, autorities, canali RAI, uffici e società più o meno trasparenti. Un reticolo multidimensionale, labirintico e (essendo a Roma) catacombale, in cui per orientarsi e muoversi ci vogliono ciceroni esperti tipo il Bisignani (che abbiamo scoperto di recente). Con altri sottolivelli di uffici stampa, manutentori, imprese di pulizia, agenzie di pubbliche relazioni, e tutto quanto si può immaginare, dai taxisti alle escort, agli affittacamere, …. per arrivare all’immigrazione abusiva con le sue conseguenze.

Una ragnatela che avviluppa Roma, sociologicamente e funzionalmente, condizionandone con la sua ingombrante vischiosità altre vocazioni come quella industriale e soprattutto turistica. Le intercettazioni dei vari casi che leggiamo non saranno (per ora) penalmente rilevanti come ci hanno spiegato Alfano e D’Alema, ma sono la rappresentazione repulsiva e vergognosa, normalmente inaccettabile e indegna, di quel cosiddetto sottobosco, col sospetto, credo di tutti noi, che si sia aperto solo un tombino della fogna che sta sotto la città. Ma oltre i problemi per Roma questa ragnatela è lontana dai cittadini, che ne sono sempre più disgustati e che non garantisce alcuna funzionalità come l’esperienza di ognuno conferma.

Quindi provo a riflettere sul decentramento a scala nazionale dei ministeri e delle sottosegreterie e che vantaggi potrebbero avere. Un ragionamento, perdonatemi, senza certezze, solo per suscitare un dibattito allargato.

Ministeri a kilometro zero, sul territorio cui sono funzionali. Azzardo: agricoltura in Emilia, Pari opportunità e Immigrazione in Sicilia, Marina militare a Taranto, Turismo o Beni Culturali a Firenze o Venezia, Ambiente a Napoli (in senso propositivo), e non cito Milano e Monza, dove bisogna andare oltre qualche ufficetto di rappresentanza, e mi piacerebbe ancora pensare al lavoro e alla sanità al sud, ai Trasporti a Torino, … Disegno strutturale che non è contro la coesione della nazione e Roma capitale, perché vi rimarrebbero i ministeri non territoriali e più istituzionali, come Interni, Esteri, Difesa, Rapporti col parlamento, Istruzione, Giustizia.

Decentramento che comporta due condizioni “eticamente” necessarie prima che funzionali: la riorganizzazione dell’organico di ogni ministero sulla cui attuale funzionalità chiunque abbia avuto modo di conoscerli può dubitare, e la contemporanea immediata chiusura delle Provincie divenute ancora più inutili. Ipotesi che per converso pare piaccia poco alla Lega.

Il primo vantaggio è decongestionare Roma dagli impiegati di stato. Se i dati che trovo sono esatti i ministeriali (mal contati) sono 240.000, due terzi a Roma. Decine di migliaia di dipendenti statali che lavorano poco più di mezzo tempo, cosa fanno nel tempo libero? (volontariato, un secondo lavoro, sport o che?) c’è un’indagine in proposito? Ma mi chiedo con tutta la massima prudenza se non sono un fattore di destabilizzazione sociale, un confronto negativo con le altre categorie di lavoratori, un motore del sommerso. Una quantità di tempo libero improduttivo (1 milione di ore/giorno) che dovrebbero preoccupare Brunetta ben oltre l’assenteismo.

E si decongestionerebbe il traffico dalle migliaia di auto blu a percorrenza privilegiata con cui tutti i giorni i romani devono fare i conti, che andrebbe perfettamente in parallelo con la diminuzione dei parlamentari. La raccolta di firme in piazza per trattenerli a Roma che senso ha? La paura di perdere abitanti o clienti? È questa la difesa del miglioramento dalla qualità? Roma ha altre vocazioni: è come si sa un polo industriale, ha fiera e congressi, e un turismo culturale e religioso inarrestabile tutto l’anno. Non ci raccontino che a spostare un po’ di Ministeri si rompe l’unità nazionale. Alcuni stati Australia, Argentina, Brasile temendo il sovrapporsi della burocrazia alle città con altre attività hanno creato città capitali dedicate.

Il secondo vantaggio del decentramento dei ministeri è per gli abitanti delle nuove sedi e il recupero di edifici da restaurare: quali benefici porterebbe un ministero a città come Taranto, Caserta o L’Aquila, …. Sullo temeva che per sostenere città marginali vi si localizzassero solo alcuni tipi di funzioni pubbliche, come le caserme a Cuneo e ad Ascoli Piceno: l’occasione è ben diversa. Oggi la tecnologia permette di lavorare benissimo in sedi distaccate: prassi aziendale consolidata è fare più teleconferenze e meno trasferimenti.

Mi attendo che si ripulirebbe un po’ anche il sottobosco, e che i Bisignami o i Milanese e simili, vecchi e nuovi, avrebbero un humus meno favorevole o almeno territori operativi più ristretti. Non so valutare per converso i costi dell’operazione che alcuni accampano come ostacolo, tra ristrutturazioni, prepensionamenti, traslochi, ma vorrei si facesse un bilancio che comprende anche i benefici nel tempo, per minor personale e più efficienza.

È scontato che ci vorrà tempo, ma è come togliere la spazzatura da Napoli, con l’aiuto di tutti un po’ al giorno si risolve la crisi e la città comincerà a respirare (forse anche noi); un programma da inserire nella riduzione dei costi della politica e degli investimenti pubblici. Purtroppo la riforma, se si farà, la faranno ancora a Roma e chissà se dovremo credere che è attendibile.

 

Paolo Favole

 



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