25 ottobre 2011

AREA METROPOLITANA. SCIENZA E POLITICA


Si ricomincia a parlare concretamente di governo metropolitano per Milano e la cosa non può che farmi piacere, avendo dedicato gran parte della mia attività di ricerca a questo fenomeno. Ho il timore però che si riparta con il piede sbagliato, quel piede che ha portato a far fronte al fenomeno urbano più moderno con gli strumenti più obsoleti della politica italiana. Avanzavo queste ragioni di allarme nel 1993 e poi ancora nel 2000, ma ancora oggi non vedo grandi soluzioni, dopo esattamente 54 anni da quando si è dato l’avvio a dibattito pubblico sul tema nel Convegno di Limbiate del 1957.

Voglio essere il più possibile chiaro: definire scientificamente un’area metropolitana è una operazione che si può fare con relativa facilità. Ci sono nel nostro paese una decina di persone che lo saprebbero fare in poche settimane, se non giorni, magari con l’aiuto tecnico dell’ISTAT e dei provvisori del nuovo censimento, trovando facilmente un accordo sulla ipotesi più plausibile. Tradurre questo lavoro conoscitivo in un confine amministrativo sul territorio è invece la cosa più difficile che si possa pensare, se non addirittura una missione impossibile, se il confine deve coincidere con un bacino elettorale.

Dal 1957 si sono fatte numerose leggi di riorganizzazione degli enti locali territoriali, compresa se non sbaglio, una legge di riforma costituzionale, si sono posti due termini perentori per definire queste aree, e non è successo nulla, salvo arrivare a produrre un pasticcio ossimoronico con il termine (non oso chiamarlo concetto, perché non lo è neppure lontanamente) di “città-metropolitana”. La città è la forma più antica di urbanizzazione, la metropoli la più recente: solo il Mentecatto Burocrata, da sempre convinto che mettere assieme i nomi significhi mettere assieme le cose, può credere che una operazione di questo genere produca qualche effetto positivo.

Quanto poi alla proiezione spaziale di questo ircocervo, dopo ripetuti quanto prevedibili fallimenti, il Mentecatto Burocrata ha avuto un altro colpo di genio ingabbiando la forma più nuova e più ampia dell’urbanizzazione, nella più obsoleta, facendo coincidere i confini dell’area metropolitana con la Provincia, che un’altra mano intelligentissima sta peraltro abolendo (ma forse no). E che, è bene ricordarlo, fu a suo tempo disegnata con il criterio della giornata a cavallo. Davvero crediamo che con strumenti concettuali e amministrativi di questa limpidezza possiamo ottenere qualche risultato positivo? Nel 1992 dicevo di no: non ho cambiato idea, staremo a vedere.

Ma perché mai, visto che abbiamo deciso di dire che l’area metropolitana di Milano coincide con la Provincia dobbiamo cambiare un nome che bene o male ha 150 anni di tradizione e riconoscibilità? Se proprio vogliamo fare i novatori, chiamiamola “Provincia metropolitana” non “città metropolitana” che come minimo implica che le realtà amministrative della provincia saranno subordinate all’amministrazione milanese. Con tutti i conflitti che ciò comporterà. E allora? Si può seguire una via diversa? Sottopongo una modesta proposta alla riflessione.

La proposta che ho già fatto più volte in altre sedi e che ripropongo qui, non risolve certo i problemi della conduzione delle aree metropolitane, ma potrebbe contribuire a sdrammatizzarli ed è di attuazione relativamente semplice. Si tratta semplicemente di separare la definizione statistica del nuovo contesto metropolitano dalla fissazione di quei confini amministrativi che risultino di volta in volta opportuni per svolgere determinate funzioni o anche solo per dare riconoscimento a legittime identità locali.

Adottare una procedura di questo genere permetterebbe di pervenire a una definizione statistica in grado di rappresentare al meglio dello stato dell’arte la proiezione delle dinamiche reali sul territorio. Sarebbe una definizione senza conseguenze amministrative dirette, ma utile agli amministratori, non meno che agli studiosi per capire quanto sta avvenendo nelle grandi aree urbane del paese. Essendo svincolata da conseguenze amministrative immediate una definizione statistica non sarebbe viziata né da considerazioni istituzionali (non dovrebbe cioè piegarsi ai limiti delle unità amministrative pre-esistenti) né da considerazioni elettorali, come avverrà inevitabilmente in ogni tipo di definizione con conseguenze amministrative e di governo. Traccia un confine e avrai rogne. Nel concreto:

a) Le aree metropolitane vanno definite scientificamente, sapendo che si tratta di “terre sconfinate” (non infinite, per favore: lasciamo questi termini ai poeti e ai matematici. Burdett e Sudjic riprendono il termine corretto proposto a suo tempo da Sernini (Living in the endless city. Phaidon, London, 2011). Non devono avere un riscontro amministrativo. Si può? Ma certo, è stato fatto dal Census Bureau americano e funziona benissimo, e servono a tutti da molti decenni. Così si eliminano tutti i problemi del Gerrymandering: i confini sono ipotetici e mobili e nella definizione entrano anche le percezioni dei cittadini. Entro una stessa area metropolitana ci possono essere contee, cities e townships, ma anche comunità “unincorporated”, cioè senza personalità giuridica. Capisco bene che in Italia non abbiamo la medesima flessibilità e forse è un bene, ma nulla osta invece all’uso di indicatori statistici comparabili per definire scientificamente un’area a soli fini conoscitivi.

b) I vantaggi di un procedimento di tal genere, dal punto di vista strettamente conoscitivo sono evidenti e comprovabili ed emergono dai dati delle ricerche. Ma è assai probabile che, una volta stabiliti i contorni reali della “tela di sfondo” del fenomeno urbano milanese, cioè nella più grande conurbazione metropolitana dell’Europa meridionale, anche le definizioni amministrative in senso stretto possano essere adottate con molto minori difficoltà. Per esempio ammettendo diversi raggruppamenti metropolitani, a cavallo, quando necessario, dei confini comunali e comunque con raggruppamenti funzionali concreti, con tutta probabilità del tutto plausibili in una entità complessa e policentrica come è la realtà metropolitana lombarda. In ogni caso non si stiracchierebbero i confini amministrativi per avvicinarli a quelli di una ideale definizione statistica e non si distorcerebbe quest’ultima per servire opportunità burocratiche o elettorali tout court, come molto probabilmente avverrà sempre se le due procedure non vengono tenute separate.

Come si può vedere si tratta di una proposta semplice, di facile e rapida attuazione che suggerisce una via diversa, abbandonare la pigrizia della prospettiva di un “Lego dei territori” e partire da un censimento (che si può proiettare sulla Grande Tela con tutti gli strumenti sofisticati che oggi anche un cittadino qualunque trova sul suo cellulare) degli attori reali che si muovono in questa area.

Dal punto di vista amministrativo, poiché il diritto che abbiamo lo impone (ma è poi vero?) potremmo per semplicità tenere come base la Provincia metropolitana (con quelle integrazioni che la legge impone) che diventerebbe lo strumento reale per la programmazione a scala metropolitana, che è quello che manca davvero. Ma che avrebbe il vantaggio di prendere decisioni in un quadro conoscitivo basato su entità reali, non su vecchi confini virtuali. Dentro questo quadro si potrebbero poi costruire n unità di governo raggruppando aree omogenee per il controllo minuto del territorio e per l’erogazione dei servizi di scala più bassa. Comunque invito a pensare al problema in un modo nuovo, rivolto al futuro, ma senza tutte le volte cancellare il passato in operazioni costose o del tutto oniriche.

Guido Martinotti



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