18 ottobre 2011

SINISTRA: UNA “ESPORTAZIONE” CONTROPRODUCENTE


Chi ha avuto la possibilità di seguire le sedute del Consiglio comunale dall’insediamento a oggi aveva già notato un cambiamento nei rapporti tra maggioranza e Giunta ma le ultime sedute e le ultime dichiarazioni di Stefano Boeri hanno marcato un cambio di clima. Le cronache dei quotidiani cittadini sono state prodighe di dichiarazioni di assessori e consiglieri, dunque solo cronaca. Proviamo invece a fare qualche riflessione.

La prima cosa che viene alla mente è la prodigiosa rapidità con la quale i dissensi all’interno dei partiti di qualunque coalizione – in particolare di sinistra – si trasferiscano nelle assemblee elettive, nel nostro caso in Consiglio comunale. Due i risultati: quello che dovrebbe essere un dibattito interno coinvolge tutta l’assemblea dando spesso uno spettacolo non del tutto attraente e, in secondo luogo, si sottrae all’assemblea tempo prezioso che sarebbe meglio destinare a questioni che interessino realmente i problemi della città. Si ha paradossalmente lo stesso effetto che le leggi ad personam hanno sul Parlamento.

La ragione di questa “esportazione” del dibattito probabilmente è una sola: i partiti della sinistra, il Pd in particolare, non hanno alcun vero dibattito interno – il dibattito sulle idee e sui programmi – ma solo il dibattito sul potere (interno ed esterno) e il potere oggi si mostra soprattutto alzando il tono della voce per sopraffare l’avversario ma soprattutto cercando una platea più larga, anche al di fuori del proprio partito, per candidarsi in qualche modo a divenire l’interlocutore privilegiato di altri, partiti, organizzazioni di categoria, centri d’interesse economico, gruppi sociali, magari avendo in mente larghe intese di cui essere artefici. Tanto per capirci l’indefessa attività di Massimo D’Alema che gli storici dei movimenti politici italiani ricorderanno per i danni fatti al suo partito, gravi quasi quanto quelli che Bettino Craxi causò al PSI.

Questa tecnica di esportazione del dibattito si accentua inevitabilmente quando la classe politica sente odore di elezioni e c’è chi vede avvicinarsi il momento della resa dei conti che con la legge elettorale odierna non è la resa dei conti di fronte all’elettorato – ho fatto bene? merito la riconferma della fiducia degli elettori? – ma il riposizionamento per entrare nell’elenco dei candidati steso dalla segreteria dei partiti. Per qualcuno l’esportazione del dibattito diventa però una via obbligata e disperata di fronte alla chiusura dall’interno e alla formazione di cerchi magici, il pericolo di ogni leader e di ogni casta.

La vicenda di Stefano Boeri è esemplare: se il partito al quale appartieni non si apre a un vero dibattito forse l’unica strada è dire a voce alta che il re è nudo ma, detto questo, non abbandonare il palazzo al suo destino, luogo d’ipocriti cortigiani. Qui però si ritorna di volata a un altro dei problemi irrisolti della politica, in particolare della sinistra politica di oggi, perché a destra il problema non si pone nemmeno: lì regna il padrone onnisciente. La questione dunque riguarda la separazione dei ruoli. Una corrente di pensiero, oggi prevalente, vorrebbe che chi ricopra ruoli istituzionali o di governo centrale o locale, non faccia parte degli organismi di vertice del partito di appartenenza e questo per non consegnare troppo potere nelle mani di chi potrebbe esser tentato dalla sirena dell’auto tutela e perpetuazione, in somma quello che succede oggi. Questo vuol dire che chi svolge ruoli di governo è condannato al silenzio? Non credo propria e trovo particolarmente fuori luogo ricordare a un assessore di fare solo il suo lavoro e non occuparsi d’altro.

Che successo abbia il dibattito all’interno del Pd milanese lo abbiamo visto nella deserta platea del Teatro Smeraldo in occasione della recente assemblea provinciale. Qualcuno di fronte alla richiesta di aprire il Partito democratico a un vero dibattito e a nuove energie ha detto: “Non capisco. C’è la crisi, la gente manifesta in piazza e noi parliamo di congressi”. Ma, proprio per questo, per capire meglio, “se non ora, quando?”. O dobbiamo limitarci in ogni occasione a saper solo dire all’avversario: “bisogna che faccia un passo indietro!”?

 

Luca Beltrami Gadola



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