18 ottobre 2011

ATM E A2A: LAVORARE PER CHI?


Da diversi anni, l’obbiettivo dei partiti politici (anche di quelli di sinistra) è quello di trasformare le aziende municipalizzate per i servizi pubblici in S.p.a. Si ritiene che la trasformazione in società per azioni sia essa stessa un elemento di modernizzazione ed efficienza: non sempre si tratta di vere e proprie privatizzazioni, spesso le amministra-zioni pubbliche continuano a mantenere una larga partecipazione del capitale dell’azienda privatizzata, talvolta la maggioranza talvolta le golden shares. In questo caso il Comune pensa di poter mantenere il controllo (e le nomine) dell’azienda incassando per di più preziosi fondi dai nuovi azionisti privati. Non vi è nessuno che non veda che si tratta di una falsa privatizzazione che spesso nell’azienda somma ai vecchi difetti della municipalizzata quelli nuovi della S.p.a. Più coraggiosa è l’ipotesi di cedere del tutto l’azienda a chi offre il servizio, come è successo a Genova dove l’azienda trasporti è gestita da una società francese. Se bene o male poi lo giudicheranno gli amministratori locali alla fine del periodo di concessione.

C’è però in tutto questo un errore di fondo che consiste nel trasformate uno strumento di solidarietà civile e di servizio comune per una collettività in un’azienda industriale lanciata sul mercato nazionale e internazionale come è avvenuto con l’ATM di Milano che ha intrapreso lavori tra l’altro in Danimarca e in Arabia Saudita. Vedremo tra non molto che profitti hanno prodotto questi lavori. Per intanto vediamo un degrado costante del servizio di pubblico trasporto nella nostra città che è poi quello che interessa i cittadini azionisti di Milano che hanno bisogno di un’azienda che sì s’ingrandisca ma nell’ambito della città metropolitana dove il caos trasportistico crea enormi diseconomie.

Due terzi dei fondi dell’ATM provengono dallo stato attraverso la Regione. Si dichiara, miracolo, che l’ATM è in utile e, in effetti, alla fine dell’anno residua un margine che viene riconsegnato al Comune. Si dà il caso però che si tratta di fondi (per lo meno due terzi) che sono dati dallo Stato per far viaggiare i cittadini e che, se non vengono spesi, non è un merito dell’azienda ma semmai una sua incapacità. Da incapacità diventa scandalo quando, copiando le grandi company americane, su questi utili vengono riconosciuti dei “bonus” al presidente e alle figure “apicali” dell’azienda. Per aver scritto queste cose sono stato a suo tempo querelato ma i fatti restano, complicati ulteriormente dal caso del presidente dell’azienda che si era fatto nominare anche direttore generale (prendeva due bonus?).

Per quanto riguarda l’ex AEM il caso è ancora più grave ed evidente: i cittadini milanesi nel 1904 avevano con referendum stabilito di costituire per le proprie necessità un’azienda che fornisse loro l’energia elettrica. Quest’azienda, che lottò con le aziende private dell’ingegner Conti, si sviluppò molto bene e, dopo la guerra, per iniziativa del ministro Tremelloni, costruì grandi impianti idroelettrici in Valtellina. I risultati furono che il 60% della produzione elettrica dell’AEM proveniva dall’idroelettrico a costi assai più bassi di quanto producessero gli altri sistemi. I milanesi non percepivano direttamente sulla bolletta questo vantaggio perché le tariffe erano fissate tutte uguali per legge ma la metropolitana milanese aveva elettricità con uno sconto di quasi il 50% e così il sistema tranviario e il Comune incassava ogni anno una somma di 100 miliardi di lire ai tempi in cui quella cifra aveva un diverso valore da quello di oggi.

Con quei fondi, liberi da ogni vincolo, il Comune poteva amministrare iniziative culturali e altro per cui lo Stato non dava direttamente fondi. L’azienda, dopo aver assorbito anche quella del gas, si espandeva nell’area metropolitana lottando, si può dire, caseggiato per caseggiato ma appoggiata spesso dalle amministrazioni di sinistra che la vedevano come una cosa lontana dalla speculazione e dall’interesse privato. Oggi essa è diventata un’azienda di produzione di energia elettrica come tante, legata alle difficoltà del mercato, collegata con Edison ma in sostanza controllata dalla EDF (Electricité de France) e con un controllo sempre più difficoltoso da parte degli enti pubblici proprietari. Brescia e Milano si sono dovuti mettere assieme per le necessità di forti aumenti di capitale per far fronte alle importanti iniziative che l’azienda deve prendere. Naturalmente, fuori di ogni controllo pubblico, bonus a non finire agli amministratori e dirigenti, dividendi sempre più miseri agli azionisti.

Tutto qui. Un deliro liberistico di chi liberista non fu mai e forse nemmeno liberale. Chiedo, a me stesso e solo a me stesso naturalmente, se le aziende municipalizzate che rappresentavano direttamente gli interessi dei cittadini ed esprimevano le loro necessità non erano per caso meglio.

 

Giacomo Properzj

 



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