18 ottobre 2011

IL DITO DI CATTELAN E GLI INDIGNADOS


Quando una generazione è bloccata, si sente frenata, cosa può fare? Rassegnarsi, andar-sene o ribellarsi. Magari anche tutte queste tre cose assieme. Quando non è bloccata cosa fa? Contribuisce alla crescita e al cam-biamento. E questo in Italia non avviene. La prima decade del XXI secolo, da poco lasciato alle spalle, possiamo archiviarla come “decen-nio perduto”: abbiamo posto le premesse del declino più che di uno sviluppo solido. E, come ben noto e documentato, a ridursi maggiormente sono state le prospettive delle nuove generazioni.

Alcuni problemi specifici del nostro paese, come il debito pubblico, l’invecchiamento della popolazione, le resistenze corporativistiche, un welfare obsoleto, la carenza di investimenti in ricerca e sviluppo, erano già evidenti nell’ultimo decennio del secolo precedente, ma si era ancora in tempo per affrontarli e rendere il paese più dinamico, moderno e competitivo. Abbiamo invece sprecato dieci anni, lasciando così cronicizzare i nostri mali. Alla fine poi, ciliegina sulla torta, si è aggiunta la crisi economica. Non bastava essere uno dei paese europei con più bassa occupazione degli under 30, abbiamo anche fatto in modo che la recessione colpisse maggiormente le opportunità delle nuove generazioni.

Ci sono quindi buoni motivi per indignarsi e prendersela con chi ha rapinato il proprio futuro. Se si confrontano con le generazioni precedenti, e in particolare con quella dei loro genitori, gli attuali ventenni vedono che prima c’era un lavoro stabile, una pensione sicura e possibilità ampie di ascesa sociale per chi investiva sulla propria formazione. Ora tutto questo non c’è più, in compenso però c’è un enorme debito pubblico. E’ evidente che qualcosa non ha funzionato.

La crisi economica ha portato i nodi al pettine e tra i nodi che – assieme alla politica, scesa a credibilità zero – sono diventati bersaglio di indignazione, ci sono senz’altro i poteri forti e in particolare banche e borse. Le responsabilità della crisi vengono attribuite a un sistema finanziano senza regole, in grado di ottenere grandi profitti per pochi quando tutto funziona e scaricando i costi su tutti quando arriva la recessione.

Negli Stati Uniti il bersaglio è Wall Street, da noi piazza Affari e Bankitalia. Ma se l’occupazione della borsa americana a cui mirano i giovani indignati statunitensi rappresenta simbolicamente un attacco al cuore al modello di sviluppo economico dominante, l’analoga operazione sulla borsa italiana appare invece un’imitazione sbiadita e di scarsa efficacia, considerata anche la marginalità di quest’ultima nel sistema finanziario globale. Ha più senso ed è più originale il dito di Cattelan. Forse, anche per questo, l’attenzione si è spostata su Mario Draghi.

Ma anche questo bersaglio sembra poco convincente. La Banca d’Italia è diventato un punto di riferimento centrale per i dati e le analisi su quello che non funziona in questo paese e su quanto marginalizzate siano state le nuove generazioni. Da anni gli interventi di Draghi sono incentrati sull’importanza di riforme che mettano i giovani al centro della crescita riducendo nel contempo le disuguaglianze sociali e gli squilibri generazionali. Quelle di Draghi non sono solo vaghe parole sui giovani, sono interventi puntuali e documentati. Nel caos italiano e nella caduta di credibilità del nostro paese, la Banca d’Italia e il suo Governatore sono rimasti tra i pochi solidi punti di riferimento anche per i nostri interlocutori internazionali.

La questione del debito è giusta ed è comprensibile la provocazione di rifiutarsi ad accollarselo. Certo non si può rinnegarlo, non può farlo un paese grande e complesso come il nostro. Ma se ci fosse un governo credibile che proponesse un piano di rientro che carica la maggior parte dei costi sulle generazioni più adulte e mature, ovvero su quelle che l’hanno creato, penso troverebbe il consenso dei più.

Questa attualmente non è la situazione e ci troviamo quindi nella peggiore situazione possibile: giovani indignati e confusi contro una classe dirigente incompetente ma molto ben organizzata e attrezzata nell’autoconservarsi. Ma l’Italia non è solo questo e proprio i segnali arrivati da Milano con le recenti elezioni fanno sperare che alcune vie virtuose del cambiamento siano ancora possibili e praticabili. Serve però un’indignazione che mobiliti non tanto contro qualcosa, ma a favore di un’alternativa credibile.

 

Alessandro Rosina

 

 



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