18 ottobre 2011

PUBLIC COMPANY PER LE MUNICIPALIZZATE


Il successo di Pisapia e dello schieramento di centrosinistra alle elezioni comunali del maggio scorso deve molto, come è noto, a un’inedita e impegnata partecipazione di cittadini, molti dei quali presenti per la prima volta in campo politico, spesso in forme non rituali. Ma esaurita la calda fase elettorale, con il suo entusiasmo e la sua creatività, immediatamente ci si deve confrontare con una caduta della presenza attiva, in parte dovuta a un calo naturale di tensione, ma in larga misura dovuta al fatto che non si sa bene che cosa proporre a questi cittadini, pur interessati a continuare a offrire il loro contributo.

E’ evidente che i partiti – compreso il PD che è un po’ più grande degli altri – non hanno più una base di massa e il rapporto dunque con una cittadinanza più ampia è sempre molto difficile, se non nei momenti elettivi (primarie, referendum, scadenze elettorali), oppure attraverso lo strumento generalmente passivo dei mass media. Questi momenti non risolvono comunque il problema di una partecipazione attiva, costante e significativa di una ampia platea di cittadini che potrebbero essere disponibili.

Nella recente campagna elettorale si è manifestato qualcosa di nuovo: persone che hanno partecipato non per adesione a una sigla o a un’idea, ma per portare il proprio contributo professionale, di esperienza, di capacità, di lavoro, di imprenditorialità. Ciò conferma i risultati di un’indagine che Aldo Bonomi ha realizzato qualche tempo fa sui Comitati di quartiere e di via della nostra città; sorprendentemente appariva che più della metà dei componenti di queste strutture era costituita da laureati, gente preparata che non si limitava a protestare, ma che invece era pronta ad avanzare proposte anche tecnicamente elaborate di soluzione dei problemi (mettendo spesso in difficoltà i funzionari comunali o pubblici con cui si confrontavano).

Questa ci sembra la riflessione basilare da cui partire.

Se diamo un addio definitivo alle vecchie e gloriose organizzazioni di massa (con tutta la simpatia e il riconoscimento storico che meritano) perché ormai superate, e se non ci accontentiamo dell’attuale situazione caratterizzata da un tirare a campare a un basso livello di gestione senza prospettive degne di questo nome, il problema da affrontare è come realizzare forme inedite e più avanzate di partecipazione, in grado di rispondere a una domanda potenziale che ormai tende fortemente a evidenziarsi.

Un esempio possibile e un’occasione propizia ci viene dalla questione delle municipalizzate. In relazione alla catastrofica situazione finanziaria del Comune, recentemente è stata avanzata anche l’ipotesi di possibili alienazioni, naturalmente di quelle non strategiche, non essenziali, ecc… Perché invece non tentare un’esperienza nuova, di democrazia avanzata e responsabile, chiamando i cittadini a diventare azionisti e quindi apportando alle aziende comunali un duplice contributo: quello di risorse finanziarie fresche, ma anche un contributo di idee, di stimolo, di professionalità, di passione per la cosa pubblica?

Prendiamo ad esempio un’azienda come Milano Ristorazione, che realizza oltre 90.000 pasti al giorno: un numero impressionante di famiglie ne sono coinvolte quotidianamente, tante altre lo sono state in passato e altre lo saranno in futuro. È un’azienda che riguarda tutti noi milanesi, quindi molti di noi sono interessati direttamente come cittadini. Azienda pubblica non equivale a società di proprietà comunale; può anche significare azienda dei cittadini milanesi, di tanti cittadini, di migliaia di cittadini che ne diventano azionisti.

Un esempio bellissimo di proprietà collettiva diffusa è quello dell’Alta Comunità della Val di Fiemme, costituita dalle famiglie della valle, che da cinquecento anni è proprietaria dei boschi relativi: è questa comunità che ha difeso la sopravvivenza dei boschi sino a oggi. Ciò che proponiamo è un azionariato diffuso e responsabile (azioni dall’importo contenuto rivolte a migliaia di cittadini); non una fonte di guadagno e di speculazione, ma una forma di partecipazione diretta alla cosa pubblica, a un bene comune.

Sappiamo bene la difficoltà di far funzionare la democrazia quando le persone sono molte. Si può pensare inizialmente a una partecipazione dei cittadini al 49% e la maggioranza del 51% nelle mani del Comune; oppure si può adottare in alternativa il sistema duale e far partecipare i cittadini al Comitato di Sorveglianza; si può organizzare la partecipazione dei cittadini azionisti a livello di zona.

Anche nelle aziende è giunto il momento di introdurre più democrazia, lo richiede il grado di conoscenza e di maturità di una città come Milano e la necessità di utilizzare al meglio tante intelligenze e tante energie, sia dei cittadini che dei lavoratori. Non bisogna naturalmente aspettarsi risultati miracolosi nell’immediato: la strada di una partecipazione qualificata e responsabile sarà certamente lunga.

Ma è una strada giusta e che offre una prospettiva di reale avanzamento della democrazia, in un momento in cui invece molti ne temono un declino; stare fermi in una società in continuo movimento significa andare indietro. E’ necessario pensare a una democrazia non immobile, non solo procedurale o elettorale, ma a una democrazia che avanza, che progredisce, che conosce forme nuove, che continuamente fa crescere esperienze innovative. Una democrazia viva capace di guardare con fiducia, con creatività, con coraggio il futuro, mettendo l’intelligenza al servizio del bene comune della città.

Ecco perché la giunta Pisapia, per dare continuità alle aspettative e ancor di più alle energie suscitate in occasione della campagna elettorale, dovrebbe con coraggio battere strade nuove e dar vita a esperienze, come quella proposta, in grado di offrire soluzione ai problemi della città, attraverso la chiamata dei cittadini a partecipare responsabilmente a un importante impresa collettiva.

 

Pier Vito Antoniazzi e Sandro Antoniazzi



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