18 ottobre 2011

MILANO, CENTRO STORICO SPAZIO SACRO


Qualche decennio or sono Carlo Tognoli aveva indetto un referendum per chiedere ai milanesi se avrebbero condiviso la pedonalizzazione del centro storico, proposta che risultò graditissima ai milanesi: così, appena viene proclamata anche solo una domenica senza automobili tutti vanno contentissimi ad affollarlo, senza protestare per i supposti disagi e senza neppure la convinzione che questa limitazione serva a contenere le polveri sottili, delle quali poi nella vita quotidiana nessuno si cura.

Sotto i grattacieli di una grande città americana una mobilitazione del genere sarebbe difficile, ma non soltanto perché le strade, più larghe, sembrano quasi fatte apposta per le automobili – le nove avenue di Manhattan sono larghe 30 metri (salvo Park Avenue che è larga 40 metri) mentre le street trasversali sono larghe 20 metri – ma perché un vero e proprio centro storico, riconoscibile come tale, raramente esiste, forse vagamente a New Orleans o a Savannah.

Il fatto è che la consapevolezza che la parte più antica della città avesse un carattere specifico e che meritasse di venire conservata viene in Europa da parecchio lontano, dalle polemiche di un secolo fa. Alla metà del Settecento era maturo il principio che i quartieri nuovi di una città fossero disegnati con strade ampie e larghi boulevard, lungo i quali schierare case luminose e ben areate, e se questo principio rispondeva a una esigenza estetica e igienica di carattere generale – quasi un diritto di tutti gli uomini in quanto tali – avrebbe dovuto venire esteso anche alla città antica, da demolire tutta quanta aprendo dovunque i medesimi ampi boulevard, come chiedeva Voltaire invocando per Parigi un piano regolatore, da incidere nel marmo dell’Hotel de Ville, con i nuovi allineamenti da rispettare man mano che le vecchie case sarebbero state sostituite per vetustà.

È la Parigi sognata da Louis Sébastien Mercier nella sua ucronia – L’an 2440 – e ripresa, seppure con una selva di grattacieli invece che con i boulevard, da Le Corbusier negli anni Venti del Novecento e dai suoi seguaci moderni per rinnovare il quartiere Garibaldi a Milano.

Ma questo principio era stato contestato fin dalle sue origini settecentesche da Herder, per il quale la città è come un linguaggio, un linguaggio con il quale i suoi abitanti si sono espressi nei secoli che non può venire cancellato con la pretesa di imporre una lingua universale: è il punto di vista adottato dal romanticismo che contesterà le manomissioni della città serpeggianti nell’Ottocento, a Parigi a Lione a Bruxelles a Napoli a Milano ma anche quelle anticipatrici dei suoi primi decenni in cittadine minori, Paternò Spoleto Norcia.

La divergenza era di principio e avrebbe potuto continuare a rimanere tale se dopo la metà del Novecento non fossero proliferate le periferie moderne, circondando le città esistenti da un paesaggio radicalmente nuovo che ha fatto risaltare il centro storico come un vero e proprio monumento, un monumento che concretizzava i principi conservativi sullo sfondo di queste periferie moderne.

Come tutti i temi collettivi anche il centro storico verrà riconosciuto e adottato da tutte le città europee, che tutte hanno un centro storico, e persino nella piantina turistica di Pomezia, una città nuova alle porte di Roma fondata alla metà degli anni Trenta del secolo scorso, un riquadro mostra, ingrandito, il suo “centro storico”: sicché tutte le città ne faranno un termine di confronto facendo a gara per pavimentarlo all’antica, per arredarlo con panchine e lampioni di gusto antiquario, per preservare persino i cibi tradizionali.

Come tutti i temi collettivi – le chiese, il palazzo municipale, la galleria vetrata, la piazza principale e tutti quegli altri adottati da tutte le città europee, dalla capitale al villaggio nella rispettiva scala – anche il centro storico è sacro, e quindi dovremmo camminarci soltanto a piedi, come nel recinto di una città romana dove nessuno si sarebbe sognato di andare a cavallo: e per questo un giardino pubblico o un teatro lirico – pur essendo temi collettivi – sono aperti soltanto in certi momenti.

Per impedire alle bancarelle e agli animali, ai giocolieri e ai funamboli, di affollare le cattedrali o le place royale ci sono voluti secoli, e oggi vediamo il faticoso cammino per interdire alle automobili di contaminare la sacralità del centro storico, un cammino lento che dura da decenni cui viene opposta l’idea che Milano sia una città operosa cui la circolazione automobilistica sarebbe, chissà poi perché, essenziale: ma la consapevolezza della sua sacralità è oggi così diffusa da essere stata registrata a suo tempo da un referendum, e al giorno d’oggi riconosciuta dai comportamenti spontanei consentiti da una giornata senza il consueto traffico.

 

Marco Romano

 

 Place Vendome a Parigi come oggi non la consentiremmo mai



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti