18 ottobre 2011

musica


BARENBOIM ALLA SCALA

Tilla Giuliani, la mitica fondatrice e presidentessa del Circolo Abbadiani Itineranti, commentando l’arrivo di Barenboim alla Scala nel ruolo di nuovo direttore musicale, ha dichiarato a Repubblica “… il prestigio dell’artista è innegabile ma avrei preferito uno più giovane, magari italiano come Gatti, e con meno impegni. Soprattutto spero non si instauri una nuova dittatura”. Parole che non si possono non condividere, e tuttavia non si possono lasciare senza un commento e qualche ragionamento.

Innanzitutto dobbiamo ricordare i precedenti per dare un senso storico a questo arrivo: da Toscanini (1898-1908, poi ancora 1921-1929) a Tullio Serafin (1909-1918), un po’ di squallore fascista e dopo la guerra Victor De Sabata fino al 1953. Seguono Carlo Maria Giulini (1953-1956), l’indimenticabile passaggio di Guido Cantelli (morto una settimana dopo aver ricevuto l’incarico, ma chi c’era ricorda ancora una Settima di Beethoven da … levitazione), Antonino Votto fino al 1965, Gianandrea Gavazzeni (1965-1968), Claudio Abbado (1968-1986) e Riccardo Muti (1986-2005). Dal 2 aprile 2005 la Scala non ha avuto un direttore musicale o – come si diceva – stabile. E’ stato un bene? Era meglio continuare così? O al contrario era assolutamente necessario designare subito un nuovo “dominus” cui affidare l’orchestra e tutta la produzione musicale del teatro?

Noi siamo dell’opinione di Lissner: dopo l’autoreferenzialità (Foletto) e l’isolamento culturale dell’epoca Muti (checché ne dica Micheli, suo grande estimatore), occorreva una pausa di riflessione. Bisognava dare all’orchestra il tempo di recuperare autostima, duttilità e freschezza, soprattutto di ritrovare in ciascuno dei suoi elementi la capacità di sentirsi vero musicista e non solo pedissequo esecutore materiale. L’orchestra scaligera uscì mortificata, senza passione e senza orgoglio, dal ventennio mutiano. E si sono visti i progressi fatti in questi ultimi sei anni, grazie soprattutto ai tanti direttori che hanno finalmente potuto e voluto riprendere a frequentare il nostro teatro e alla capacità del suo sovrintendente di sceglierli di ogni paese, spesso giovani e innovativi, creando un turnover che ha fatto bene a tutti, pubblico compreso.

Dopo sei anni, però, ritrovata la propria dignità, anche noi pensiamo giunta l’ora di offrire all’orchestra un trainer con il quale fare un lavoro complesso di costruzione, di largo respiro, con tempi adeguati, al di là della logica dei continui avvicendamenti ed exploit (per quanto di altissimo livello); un lavoro da fondisti più che da discesisti. Dunque molto bene che vi sia un nuovo direttore musicale con un piano di lungo termine (cinque anni) e con tempi adeguati (quindici settimane di lavoro all’anno) per impostare un lavoro metodico.

Barenboim non è italiano, è il primo direttore musicale straniero. Ma è importante che sia italiano? Perché dovrebbe esserlo, quando abbiamo magnifici direttori italiani alla guida delle più prestigiose orchestre in tutto il mondo? Non crediamo che i berlinesi si siano adontati quando Abbado successe a Von Karajan alla guida della loro straordinaria Filarmonica. E perché dovremmo adontarcene noi? Domandiamoci piuttosto se Barenboim è proprio l’uomo giusto per la Scala o se si poteva aspirare a qualcosa di meglio o di diverso.

In altri tempi abbiamo espresso su queste pagine delle riserve sul musicista Barenboim; ad esempio ci parve leggerina l’interpretazione della Carmen del 2008 (quella, ricorderete, con la bella voce di Anita Rachvelishvili e la stupefacente regia di Emma Dante) e poco verdiana, ancorché ricca di suggestioni, la sua Messa da Requiem del 2009; ancora, dicemmo che aveva troppe smagliature tecniche (sembrava non avere sufficiente tempo per preparare i concerti) quella famosa “integrale” delle Sonate di Beethoven, sempre del 2009, anche se ne riconoscemmo la grande lezione interpretativa. Non possiamo però dimenticare che al Barenboim “maestro scaligero” vanno ascritte una magnifica Nona Sinfonia di Beethoven, con la quale tornò alla Scala dopo l’uscita di Muti, e due grandissime interpretazioni wagneriane come il Tristano del 2007 e la Walkiria del 2010.

Ciò che convince di più, in Barenboim, più che la perfezione o l’affidabilità della singola prestazione, sia al podio che al pianoforte, è la qualità dell’uomo e del suo modo di sentire la musica e di proporla al pubblico, in uno spirito di servizio (alla musica) e di partecipazione (con l’orchestra e con il pubblico), come fosse il celebrante di un rito corale cui invita tutti a partecipare, conscio del fatto che la musica la si fa e la si gode tutti insieme.

Convince anche il Barenboim che non è argentino, né israeliano, palestinese o tedesco, ma un vero cittadino del mondo, o se vogliamo del mondo occidentale, il mondo della musica che ci appartiene tutta, senza alcuna distinzione di nazionalità. Il cittadino che si trova bene ovunque possa suonare, con le mani o con la bacchetta non importa, che parla sette lingue e con esse comunica in modo diretto con qualsiasi musicista, che non ha altre fisime che quella di fare della buona musica. Certo, ha molti impegni (Milano e Berlino insieme!) e qualche anno (quasi settanta) sulle spalle, ma è pieno di energie e sa trasmetterle agli altri per cui questo non sarà un problema. Soprattutto non vi sarà il rischio di una nuova dittatura. Abbiamo già dato e siamo garantiti da Lissner, che ha dimostrato in questi anni di avere la grandissima capacità di assicurare l’armonia nella difficile e complessa realtà del teatro dell’opera.

Dunque ancora una volta “grazie Lissner” e – cara Tilla – diamo il più cordiale benvenuto a Barenboim con i migliori auguri di buon lavoro.

 

Musica per una settimana

 

Le Serate Musicali propongono ben tre concerti: * il 19 l’Orchestra di Padova e del Veneto, al Dal Verme, con i Brandeburghesi di Bach; * il 21 l’Orchestra Filarmonica Italiana con il Concerto per violino di Čajkowskij, la Rapsodia Slovacca di Fabrizio e la Prima Sinfonia di Gounod (violinista Dalibor Karway) * e il 24 l’Orchestra Camerata Ducale con i Concerti per violino n. 24 di Viotti e il n. 6 di Paganini (violinista Guido Rimonda), entrambi al Conservatorio.

La Società del Quartetto salta il concerto di martedì 25, mentre la Società dei Concerti mercoledì 26 ripropone il curioso pianista turco, Fazil Say, con la Ciaccona di Bach-Busoni (resa immortale da Arturo Benedetti Michelangeli), Enchiridion di Zimmermann e la Sonata in sol maggiore D. 894 di Schubert.

Giovedì 20, venerdì 21 e domenica 23 all‘Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta da Eugeny Bushkov eseguirà il Capriccio Italiano e due Suite dallo Schiaccianoci di Čajkovskij che incastoneranno il magnifico Concerto per pianoforte, tromba ed archi n. 1 opera 35 di Šostakovič eseguito con Boris Petrushansky al pianoforte e Alessandro Caruana alla tromba.

Giovedì 27 e sabato 29 inizia la stagione dei Pomeriggi musicali al Dal Verme con un concerto tutto Brahms (direttore Corrado Rovaris, violino Valeriy Sokolov): il Concerto per violino e orchestra opera 77 e la prima Sinfonia opera 68

Ricordiamo infine che alla Scala
mercoledì 26 – con altre sei repliche fra ottobre e novembre – andrà in scena “La donna del Lago” di Rossini, opera da non perdere anche perché diretta da Roberto Abbado.

 

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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