18 ottobre 2011

cinema



 

THIS MUST BE THE PLACE

di Paolo Sorrentino [Italia/Francia/Irlanda, 2011, 118′]

con: Sean Penn, Frances McDormand, Judd Hirsch, Eve Hewson, Kerry Condon, David Byrne

Una maschera. È il primo piano di un viso truccato a riempire lo schermo: chioma rock e rossetto. Ma sono gli occhi a fare di Cheyenne (Sean Penn, ottimo) un personaggio favoloso. Favoloso nel senso di fantastico, fiabesco, proprio perché si muove all’interno del racconto di Paolo Sorrentino: This Must Be the Place [Italia/Francia/Irlanda, 2011, 118′]. Sono occhi di bimbo quelli di Cheyenne, cinquantenne mai cresciuto, sguardi incuriositi verso un mondo che pare inafferrabile. Ex rockstar abituato a osservare la vita da un palco, ma adesso, spenti i riflettori, deve imparare a camminare da solo. Il suo passo è ingenuo e insicuro, come quello di un bambino: si trascina lento appoggiandosi al suo trolley.

Cheyenne è un uomo immerso in una “realtà” che non gli appartiene, con la sua maschera tenta di riempire quel vuoto che sente dentro ma – voltandosi – c’è solo rammarico. Al suo fianco Jane (Frances McDormand), donna decisa e pragmatica, coltiva un rapporto giocoso col compagno: «tu confondi la depressione con la noia», fa notare la donna al pigro Cheyenne. La scintilla per evadere dal tedio si accende con la morte del padre, figura assente dalla vita di Cheyenne. Però, morendo lascia in eredità un desiderio o – meglio ancora – un “prurito”: scovare il suo carnefice nazista che l’umiliò durante la reclusione nei lager tedeschi.

Comincia qui il viaggio di Cheyenne: attraversa gli Stati Uniti per trovare il vecchio tedesco e vendicarsi. Ma per la sceneggiatura, scritta da Sorrentino con l’aiuto di Umberto Contarello, il motivo di questo viaggio è quasi superfluo. «Nel mio mondo ideale i film non dovrebbero più prevedere le trame», dice il regista. Infatti, seguendo Cheyenne dedichiamo ogni attenzione al personaggio, guardiamo attraverso i suoi occhi e incontriamo – assieme a lui – un curioso pezzo d’America. Intanto, camminando, il personaggio cresce, si evolve; Cheyenne capisce che «bisogna scegliere una volta nella vita in cui non avere paura», e sceglie questo percorso per battere se stesso e farsi nuovo.

Ma forse, pensandoci un poco meglio, il percorso di Cheyenne arriva dal profondo, da dietro la sua maschera, e non è frutto di una scelta razionale: «non sto cercando me stesso; sono in New Mexico non in India», dice. Impara a camminare come un bambino, quasi inconsapevole, spinto dalla curiosità di crescere. Lento ma inesorabile. Viaggiamo all’interno della metamorfosi di Cheyenne, pagina dopo pagina sfogliamo il “romanzo di formazione” scritto e diretto da Sorrentino. Storia di un personaggio candido, positivo. Favola di un bambino di cinquant’anni che impara a camminare: uscirà da quella maschera alla fine Cheyenne, e abbandonerà il suo trolley perché, ormai, è diventato grande.

 

Paolo Schipani

 

In sala: The Space Milano Odeon, Apollo spazio Cinema, Anteo spazio Cinema, The Space Cinema Rozzano, UCI Cinemas Bicocca, Plinius multisala, UCI Cinemas MilanoFiori, Ducale Multisala, Skyline Multiplex, Le Giraffe Multisala, UCI Cinemas Pioltello, The Space Cinema Le Torri Bianche, UCI Cinemas Lissone, The Space Cinema Cerro Maggiore, Arcadia Bellinzago Lombardo, Troisi.

 

  

IL DEBITO

di John Madden [USA, 2010, 114′]

con Sam Worthington, Marton Csokas, Ciarán Hinds, Jessica Chastain, Helen Mirren, Tom Wilkinson, Jesper Christensen

Adolf Hitler ha detto: “Al vincitore non verrà chiesto, poi, se ha detto la verità”. La frase di uno dei mostri più cinici e inumani del secolo scorso riassume perfettamente l’essenza dell’ultimo film di John Madden, Il Debito. Tre giovani israeliani, agenti del Mossad, nel 1965 avrebbero dovuto rapire e condurre in Israele il “chirurgo di Birkenau” (Jesper Christensen), medico capace di indicibili atrocità sui corpi dei prigionieri ebrei. La presunta uccisione dell’uomo da parte di una di loro ha spinto la patria a celebrarli come eroi e nessuno, è ovvio, si è preso la responsabilità di chiedergliela, la verità.

Il desiderio personale di gloria e il peso del fallimento della vendetta hanno fatto il resto. Rachel Singer (Jessica Chastain – Helen Mirren), David Peretz (Sam Worthington – Ciarán Hinds) e Stephan Gold (Marton Csokas – Tom Wilkinson) hanno taciuto per anni la versione dei fatti realmente accaduti nell’appartamento di Berlino. Il regista ha scelto perciò di fare perno sul rimorso e il senso di colpa della donna per sviluppare uno schema narrativo che centellina le verità svelate allo spettatore. Un continuo alternarsi tra presente e passato permette di ricostruire ciò che i tre protagonisti tengono nascosto da lunghissimo tempo.

La tensione e la drammaticità che caratterizzano le scene ambientate in Germania non vengono però sviluppate adeguatamente nella parte contemporanea del film. Tutte le conseguenze psicologiche e relazionali del fallimento si riducono alla mera e semplicistica ricerca del fuggitivo. Il chirurgo di Birkenau, quindi, visto solo come linea di confine tra l’eroismo e la viltà, tra la celebrazione e il vergognoso fallimento.

La vendetta israeliana non è una novità in ambito cinematografico. Steven Spielberg ci aveva mostrato in Munich tutte le contraddizioni e la sofferenza che questo atavico sentimento di rivalsa può comportare negli esecutori materiali. Il Debito possiede tutti gli elementi per dar vita a una pellicola a tutto tondo ma resta incastrato in un thriller dai toni leggeri. Il regista dà troppa importanza all’inseguimento tardivo della verità da parte dei protagonisti senza riuscire a mostrarci tutto ciò che il suo occultamento ha eroso interiormente.

 

Marco Santarpia

 

In sala a Milano: Cinema Mexico giovedì 20 ottobre in lingua originale

 

   

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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