12 ottobre 2011

MILANO REFERENDUM: ANNO ZERO


Ve li ricordate i 5 Referendum per Milano? La domanda non è retorica. Festeggiata la vittoria che ha ristabilito priorità per troppo tempo disattese, soddisfatti della sberla data alla Giunta uscente, coloro che il 13 Giugno hanno votato “Si” oggi si domandano quali saranno gli effetti dei loro voti. Ricordiamoci però che i referendum milanesi erano “consultivi di indirizzo”, ovvero, a differenza di quelli nazionali, privi di efficacia abrogativa o normativa. Il Regolamento dà al Comune 60 giorni per definire un programma di attuazione, avendo oltretutto facoltà di modificare gli obiettivi, sia pure con motivazione esplicita. Questo termine è scaduto il 6 ottobre, e i cittadini a quella data non hanno visto alcun programma.

Dal punto di vista pratico la vittoria del “Si” dunque rischia di impantanarsi in procedure rese faticose dalla vischiosità del sistema politico e dalla scarsità di risorse. Anche se al primo dei 5 referendum, quello dedicato al controllo del traffico, la revisione dell’Ecopass darà di sicuro qualche risposta parziale. Comunque tanto la massiccia partecipazione quanto il plebiscito dei “Sì” hanno dimostrato in modo inconfutabile la volontà dei cittadini di riprendersi il controllo sulla gestione della città in cui vivono. Per l’accumulata sfiducia nella classe politica, ma non solo: anche per la consapevolezza di dover risalire una china impegnativa, e soprattutto di avere poco tempo per farlo.

Non dimentichiamo che in ambito europeo per quanto riguarda la qualità dell’ambiente Milano arranca nelle retrovie. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha emesso recentemente una classifica che, mettendo sulla bilancia traffico, trasporti pubblici, verde, risparmio energetico, ovvero quasi tutti i temi del nostro referendum, inchioda Milano al sedicesimo e penultimo posto (all’ultimo c’è Roma) su diciassette città esaminate.

Dunque questo è il vero problema: se vogliamo poterci confrontare con altre città europee più virtuose ci dobbiamo anche rendere conto che la buona qualità dell’ambiente è dovunque il frutto di decenni di buon governo e di investimenti mirati, cose entrambe mancate nella “Milano del fare”, non di interventi-lampo o da quattro soldi, che è ciò che ci possiamo permettere ora. Quello che chiedevano i 5 referendum è il minimo che dobbiamo offrire non solo a noi stessi ma anche al pubblico atteso per l’Expo nel 2015, ciò vuol dire che scarseggia non solo il danaro da investire, anche il tempo.

La mancanza di segni di vita da parte del Comune non è di buon auspicio, però intanto possiamo prepararci stabilendo le priorità all’interno dei programmi di attuazione che si faranno. I 5 referendum trattavano tutti temi legati all’ambiente, e attribuire priorità in questo campo non è facile, ma c’è un “fil rouge” che collega i primi 4, e che deve rimanere forte e teso: risparmiare risorse.

Ridare priorità al mezzo pubblico, alle piste ciclabili, alle aree pedonali, come chiede il 1° referendum, ha come obiettivo ridurre congestione e inquinamento, ma comporta anche un uso più razionale, e quindi un risparmio, delle risorse non rinnovabili che l’attuale sistema dei trasporti brucia quotidianamente.

Aumentare il verde, come chiede sia il 2° referendum che il 3° referendum, significa in definitiva riportare i cicli della natura nell’ambiente urbano, rendendolo più vivibile. Ma aggiungiamo che un bosco non consuma risorse non rinnovabili, mentre un palazzo per uffici sì. Costruire di meno e solo ciò che serve significa davvero ancora una volta migliorare l’ambiente, ma anche risparmiare risorse. Sappiamo tutti che Milano è piena di edifici inutilizzati, riutilizziamoli e di nuovi non ne avremo bisogno. Inoltre il verde in città migliora il clima estivo e riduce l’effetto “isola di calore”, riducendo il consumo degli impianti di condizionamento.

Ma a chiudere il cerchio è il 4° referendum. Chiede che Milano “adotti il piano per l’energia sostenibile e il clima che lo impegni negli obiettivi europei di riduzione di almeno il 20% delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra nel dimezzamento delle principali emissioni inquinanti connesse al riscaldamento degli edifici”.

In effetti se esistesse un governo che se ne occupa, questi obiettivi dovrebbero essere espressi da una politica energetica a livello nazionale. Il 4° referendum è quello più importante, che collega, rafforza e integra i tre referendum precedenti, e li ricollega a un altro referendum, questa volta efficace e abrogativo perché nazionale, quello che ha chiuso il progetto di investimenti sull’energia nucleare.

Il blocco del programma nucleare implicherà tenere i consumi energetici al palo per decenni, visto la crescita lenta di quanto prodotto da sistemi eolici o fotovoltaici, e non potremo neppure contare sull’aumento di energia importata, visto che la produzione di energia dal nucleare si ridurrà anche all’estero: in parole povere dovremo tirare la cinghia e imparare davvero a consumare meno, molto meno. Usare in modo oculato ogni briciola di energia diventerà una necessità primaria e assoluta.

A questo punto la Giunta comunale dovrebbe guardare con rispetto ai referendum milanesi. Questi non rappresentano un’utopia un po’ velleitaria, da idealisti o radical-chic, ma la mappa di un percorso preciso, faticoso e obbligato che non potremo comunque fare a meno di percorrere.

 

Giorgio Origlia



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