11 ottobre 2011

CERVELLI IN FUGA: IMPORT A COSTO ZERO


Ingegneri che puliscono le scale, laureati in economia che fanno i muratori, chimici che si dedicano all’assistenza degli anziani. I dati parlano chiaro: un terzo degli occupati immi-grati è impiegato in lavori cosiddetti umili, mentre per gli italiani si parla di meno del 10%. Manovale edile, bracciante agricolo, operaio nelle imprese di pulizia o saldatore, per quanto riguarda gli uomini. Colf o badanti per le donne. Sono queste le professioni principali svolte dagli stranieri in Italia. E non importa che abbiano una laurea o un diploma. A prescindere dalla loro effettiva qualifica professionale, gli immigrati vengono impiegati in mansioni servili e sotto qualificate. Lo ha rivelato l’ultimo Dossier Caritas – Migrantes, secondo cui oltre la metà degli occupati stranieri in Italia possiede un diploma o una laurea (54,1%), poco meno degli italiani (62,3%). Di questi, però, circa tre quarti svolge una professione operaia o non qualificata: il 73,4%, rispetto al 32,9% degli italiani (percentuale comunque alta).

Eppure quattro ogni dieci addetti a lavori non qualificati possiedono un diploma di scuola media superiore. Purtroppo quasi il 40% di coloro che hanno una laurea svolge un lavoro non qualificato o un’attività comunque manuale. I ricercatori lo definiscono un vero brain waste, uno “spreco di cervelli”. Uno spreco e un’ingiustizia confermati anche dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, che ha calcolato l’incidenza dei lavoratori altamente qualificati (dirigenti e impiegati) sul totale degli immigrati occupati presso le aziende (al netto di operai e apprendisti). Risultato: il 37,35% dei lavoratori italiani svolge una mansione con una qualifica elevata, mentre tra gli immigrati questa percentuale scende al 7,49%.

Ma ci sono anche segnali positivi. Secondo il “Rapporto Excelsior 2010” di Unioncamere qualche miglioramento sta già avvenendo. Le assunzioni di immigrati non qualificati sono comunque state la maggioranza (69,5%), ma in calo del 2,5% rispetto al 2009. E sono aumentati gli sbocchi professionali con una maggiore qualificazione. In crescita, infatti, gli immigrati assunti per svolgere professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (dal 22,7% al 23,7%) e gli operai specializzati. 

I lavoratori che svolgono un impiego ad alta qualifica sono soprattutto asiatici: principalmente indiani – lì il tasso di laureati in materie scientifiche è altissimo e tutti parlano perfettamente inglese – e cinesi. Molti brasiliani sono assunti nei prestigiosi studi degli architetti italiani, mentre per quanto riguarda il campo della moda i nuovi designer arrivano soprattutto dalla Corea del Sud e ancora una volta dalla Cina. Insomma sono i cittadini dei Paesi ad economia emergente a fare la parte del leone nei lavori qualificati in Italia. Peccato che la crisi in corso da due anni abbia rallentato questo processo.

Il brain waste è un problema centrale per l’Italia. Il risultato è che da noi quando vengono immigrati laureati non possono contribuire allo sviluppo del Paese come “cervelli”, ma solo come manovalanza bassa. In Lombardia un immigrato su quattro ha fatto l’università. Questo perché non si investe né in ricerca, né in innovazione. E la crisi ha ulteriormente acuito questo fenomeno. I più recenti dati Istat – se guardiamo alla distribuzione degli immigrati per livello professionale – mostrano come negli ultimi due anni ci sia stato un aumento molto marcato di occupati nei livelli elementari. Ormai nei lavori meno qualificati (badanti, lavapiatti, manovali, ecc.) gli stranieri occupano trenta posti su cento. Con il triste risultato che esportiamo cervelli italiani all’estero e che non siamo in grado di mettere a frutto le intelligenze che qui arrivano, portando a un sostanziale blocco del Paese.  

 

Francesco Bianco



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