4 ottobre 2011

PARTITI: CORRUZIONE O MORAL SUASION?


Delle riflessioni di Lorenzo Sacconi sulla corruzione esposte nel numero 30 e 31 di ArcipelagoMilano condivido l’importanza del “prevenire”, domandarsi non se le cose sono accadute (quella è l’indagine, della magistratura o di altri organi interni alle organizzazioni interessate), ma se e come le cose possano accadere. Non vedo ancora una riflessione del PD su questo fronte. È questione di analisi, politica e organizzativa, sul funzionamento dei sistemi politici e amministrativi, e sul rapporto tra politica e amministrazione.

Nelle vicende sestesi e milanesi emerge un tema specifico riguardante i funzionari pubblici, che non viene sottolineato. Resistere alla corruzione dovrebbe essere un attributo del funzionario pubblico, un suo valore etico/professionale, che non pare agire in regime di spoil system all’italiana (e alla milanese, come si è visto). Se l’unica mia fedeltà non è all’interesse “della Nazione” (vedasi la Costituzione della Repubblica), ma al politico che mi ha nominato o promosso, non ci sono argini. Su questo sono convinto non ci siano idee chiare nel PD.

Tornando al tema principale, Sacconi individua la prevenzione principale nella presenza di un’ideologia, come fonte di motivazione di comportamenti del personale politico. Lorenzo Sacconi sa che personalmente preferisco parlare di “sistema di valori”. Comunque condivido la sostanza, ma credo che la prospettiva della presenza di forti criteri di orientamento è un aspetto importante di una questione più ampia. Il politico (che governa) non dovrebbe essere appunto “autonomo” nel senso sbagliato. Non basta dire che risponde all’elettorato, e non credo che bastino la trasparenza e internet, che sono pure importanti, né la partecipazione atomizzata dei cittadini, né i movimenti, che sono sempre su temi parziali.

In passato i partiti svolgevano una funzione di maggiore controllo democratico, e l’amministratore aveva una community di riferimento, si direbbe oggi. La sinistra, lo dice qualcuno, ha dato il suo bel contributo a un eccesso di personalizzazione della politica, per cui l’amministratore è diventato il manovratore che non si deve disturbare. Personalmente penso che così sia andata alla Provincia di Milano, e non mi riferisco ai fatti che deve appurare la magistratura, ma in particolare allo stile di governo degli apparati, che, per ragioni professionali, ho seguito da vicino, e che era criticabile sin dall’inizio, ma che nessuno ha criticato (se non nei mal di pancia delle segrete stanze).

Un altro caso: il sottoscritto ha partecipato all’elaborazione di un progetto, e in parte allo sviluppo, negli anni novanta, che riguardava proprio le aree Falck, voluto da Fiorenza Bassoli, sindaco di Sesto S. Giovanni. Ebbene, al cambio del sindaco (eletto Penati), quel progetto è stato immediatamente troncato, per dare vita a un altro progetto, che poi è andato avanti. Non una parola di spiegazione è stata data di quella scelta, tutto si è risolto in un consiglio di amministrazione. Il progetto si chiamava Parco Scientifico per le Tecnologie Ambientali. Il caso richiama un altro argomento: se è comunque giusto un certo grado di personalizzazione, e di ricambio (elezione diretta e limite di numero di mandati), le strategie di governo locale soffrono di un limite di mancanza di continuità, limite che solo politiche di più lungo periodo e respiro possono ovviare.

E chi, se non le formazioni collettive senza limite di mandato temporale le possono elaborare queste politiche, in cui anche le singole personalità degli amministratori possano avere il proprio ruolo, che deriva dalla fiducia diretta dei cittadini? Il punto è quindi non solo la questione soft dell’ideologia, della cultura e dei valori, ma del ruolo del partito, e del rapporto tra partito e amministratori, passando per la riforma del funzionamento interno dei partiti stessi, su cui non entro, ma che è, ovviamente, l’altra faccia della medaglia.

Il caso del Parco Scientifico mi porta al secondo argomento. Sacconi pone un’importante domanda: “come può un amministratore pubblico locale ottenere il sostegno volontario da parte di imprenditori per interventi a favore delle sue politiche di coesione sociale o di sviluppo locale?” Lo sviluppo locale è “costituito dalla capacità dei soggetti istituzionali locali di cooperare per avviare e condurre percorsi di sviluppo condivisi che mobilitino risorse e competenze locali” (Carlo Trigilia). Il tema è troppo ampio per essere qui svolto. Qui voglio solo dire che la risposta può essere proprio nella ripresa di progetti espliciti e di cultura dello sviluppo locale.

Era un tema di moda, e di qualche caso di successo all’inizio di questo secolo, e poi abbandonato, stante lo stato comatoso dei nostri governi locali e della nostra politica. In questi progetti gli interessi possono trovare una collocazione esplicita e finalizzata, trovare forme di legittimazione trasparente non solo in termini di procedure, ma soprattutto di allineamento a scopi e obiettivi di interesse pubblico condiviso con forme di democrazia partecipata. La ripresa di questo terreno sarebbe anche la maniera per riaffermare un ruolo dei governi locali nella soluzione della crisi. Si pone a questo punto il problema delle competenze necessarie interne alle amministrazioni, dei politici e dei funzionari, competenze che costituiscono un capitale sociale locale che in altri paesi europei ha contribuito alla rinascita di intere aree colpite dalla deindustrializzazione. Anche questo è un altro tema, ma sarebbe il caso di riparlarne.

 

Carmelo Marazia



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