4 ottobre 2011

DEMANIO COMUNALE, UN GIACIMENTO UTILE


La condizione drammatica in cui versano le casse comunali è ormai nota e tale da fare addirittura temere il rischio del commissa-riamento. Per questo è necessario che i milanesi si rassegnino a pagare qualche balzello in più, ben sapendo che ciò non comporterà automaticamente e all’istante una migliore qualità dei servizi. Una manovra da oltre cinquanta milioni di euro imporrà tagli di spesa, nuove tasse e sacrifici che si aggiungeranno a quelli già imposti a tutti i cittadini dalla crisi economica in atto.

Ma se l’Amministrazione saprà divenire una amministrazione realmente virtuosa e trasparente, se farà della riduzione degli sprechi una regola, se riuscirà e far rendere i suoi beni immobili, avrà dato un importante segnale ai suoi cittadini e avrà compiuto un primo importante passo verso la riduzione del suo debito. A questo proposito vorrei porre l’attenzione sulla gestione del patrimonio demaniale del Comune.

Sappiamo bene che quello della messa a reddito degli immobili pubblici è un problema non solo locale, ma questo non esonera i Milanesi dal provare a cambiare le cose. Ed è proprio in questo senso che si stanno muovendo il Sindaco e la Giunta con il nuovo Assessore al Demanio, in linea con il Consiglio Comunale e i Consigli di Zona. Le azioni da intraprendere saranno molte e certamente complesse: bisognerà scalzare consuetudini radicate, ribaltare vecchi rapporti di forza, rinnovare contratti ormai obsoleti, rivedere le modalità con cui sono stati approvati contratti di locazione e canoni (a tutt’oggi il “tariffario” si basa su di una delibera di giunta del 1997, ancora in Lire!).

Sarà opportuno porre sotto controllo i criteri e l’operato di chi ha in carico la gestione delle case popolari e, in genere, del patrimonio abitativo pubblico (l’ALER): non è accettabile che vi sia il 32% di morosità tra gli inquilini del Comune; né, per contro, che siano dati in affitto appartamenti in un tale stato di degrado da essere di molto al di sotto di qualsiasi parametro di abitabilità (per questi, in alcuni casi, si potrebbe pensare di affidare agli stessi inquilini, quando essi siano in grado di sostenerlo, l’onere della ristrutturazione, a fronte di una riduzione del canone per i primi anni del nuovo contratto); per non dire del gran numero di appartamenti comunali sfitti. E non vi è ragione per cui i tanti esercizi commerciali (ristoranti, bar, pizzerie, negozi), che si affacciano su strade del centro, paghino affitti irrisori, se pure li pagano, pattuiti in contratti vecchissimi, spesso scaduti e mai più rinnovati o aggiornati.

Per quanto riguarda le grandi proprietà del Comune, i palazzi storici, patrimonio non solo immobiliare, ma artistico e culturale della città, si dovrebbe, attraverso nuovi bandi, affidarne la ristrutturazione a coloro che li prenderanno in locazione a prezzi che, pur tenendo conto dell’investimento iniziale, siano quelli di mercato. Altro discorso si dovrà dedicare e altro trattamento dovrà essere riservato agli Enti Pubblici, alle Associazioni, Onlus, ecc. che, a vario titolo, operano per il bene pubblico o che forniscono servizi utili alla cittadinanza. Quello che è certo è che lo stato di abbandono di luoghi (di grande valore eppure in gran parte inutilizzati) come la Galleria Vittorio Emanuele, Palazzo Dugnani, il palazzo già Collegio Calchi Taeggi in corso di Porta Vigentina 15 (solo per citarne alcuni), non fa onore né Milano né ai milanesi.

Anche la questione dei terreni e delle aree verdi, spesso dati in concessione a privati, merita alcune considerazioni. Il recente caso, del quale si è letto in questi giorni sulle pagine milanesi dei quotidiani, del contenzioso in corso tra il Comune e il Vivaio Riva, è un esempio di come fino a oggi si sia mossa (o sia rimasta inerte) l’amministrazione civica. Il Vivaio Riva è uno storico luogo di coltivazione e di vendita di fiori e piante, dai milanesi giustamente considerato una bellissima oasi di pace e di verde. Ma le proprietarie del vivaio (che occupa da quasi cinquant’anni un’area di proprietà del Comune di tremila metri quadrati e oggi è un luogo dove, oltre alla vendita di piante e fiori, si svolgono anche eventi commerciali di vario genere, feste, sfilate, presentazioni), non hanno corrisposto al Comune alcun canone di locazione almeno dall’ormai lontano 1965. Per questo non è stata ritenuta accettabile la proposta di un contratto di locazione agraria che prevedeva un canone modesto e del tutto sproporzionato all’effettivo uso commerciale dell’area da parte delle occupanti.

In questo senso dovrebbe muoversi l’Amministrazione: se e dove l’uso dell’immobile pubblico crea profitto privato, i canoni d’affitto dovranno tenerne conto. E’ arduo pensare che d’ora in avanti il Comune possa ancora permettersi di agire come una sorta di ente benefico inerte, che mette i suoi beni a disposizione di chiunque, senza vantaggio per l’interesse pubblico.

Un’ultima nota riguarda le piccole proprietà comunali: modesti appezzamenti di terreno, micro-aree intercluse tra le case o lungo le strade (date in uso o locazione a condomìni che vi confinano, a ospedali, enti, ecc), o ancora appartamenti isolati in edifici in condominio con altri soggetti, pubblici o privati. Sono questi i casi in cui la vendita dei beni sarebbe non solo auspicabile, ma molto utile, se non necessaria. In tal modo si realizzerebbe un immediato profitto, un benefico flusso di denaro verso le casse del Comune e, inoltre, si risparmierebbe tempo e denaro che oggi si impiega tenendo occupati gli uffici costantemente alle prese con macchinose pratiche amministrative.

Solo ritornando alla logica dell’utile da reimpiegare per il bene collettivo, potremo permetterci d’incrementare quelle politiche di solidarietà sociale che ogni comunità deve perseguire e che la città di Milano chiede.

 

Elena Grandi



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