4 ottobre 2011

musica


DUE CONCERTI FUORI DAL CORO

Ci voleva la Zarina di Russia – la Svetlana consorte di Medvedev, arrivata con il solito corteo di automobili a sirene urlanti – per mettere insieme in suo onore un concerto tanto straordinario dal punto di vista politico – mondano quanto debole dal punto di vista musicale. Già l’ambiente era molto scenografico: una Santa Maria delle Grazie splendidamente illuminata e gremita di gente elegante che, nonostante i ponteggi per i lavori sulla cupola e la gran quantità di polizia e di guardie del corpo dentro e fuori dalla chiesa, si presentava in tutta la sua sontuosa bellezza.

Poi il programma, un fascicolo di ben 46 pagine, tutto saluti e foto di illustri politici e presidenti di ogni cosa, sia in italiano che in russo (con quei decorativi e misteriosi caratteri cirillici), distribuito con dovizia su ogni sedia; e infine le cosiddette autorità russe e italiane (presidenti, sindaci, ambasciatori, vescovi, metropoliti e via di seguito) circondate dalla Milano – che – conta tutta rigorosamente in abito scuro. Insomma il trionfo dell’ufficialità per celebrare il 2011 come “Anno incrociato della cultura russa in Italia e della cultura italiana in Russia”.

Il concerto era affidato a una orchestra, nata non molto tempo fa con il nome di “Accademia delle Opere” (con il sottile profumo della omonima Compagnia) e ribattezzata “Accademia Musica Sacra” per i servizi di natura religiosa, diretta dal suo fondatore Diego Montrone, e al Coro Sinodale di Mosca che vanta nominalmente una tradizione secolare (creato nel 1721, sciolto nel 1911, ma rifondato solo nel 2009) diretto da Alexey Puzakov: due complessi animati dalle migliori intenzioni che non hanno ancora raggiunto una completa maturità musicale, ma sono più che decorosi per queste occasioni sostanzialmente celebrative.

Il programma, evidentemente ispirato a quel famoso Cencelli di democristiana memoria, prevedeva due russi e due italiani, e di ciascun paese un grande e noto compositore del passato (Rachmaninov e Verdi) e un compositore sacerdote contemporaneo (il metropolita Hilarion e il francescano Pierucci).

I Vespri (Vsenošnaja) op. 37 di Sergej Rachmaninov, per coro misto “a cappella”, sono un capolavoro del 1915 scritto in un momento cruciale per la Russia, impegnata nella grande guerra e prossima agli eventi della rivoluzione bolscevica: quindici pezzi magici, nati per accompagnare i riti dell’intera notte del Natale russo – ortodosso, pieni di tensione morale e di grande bellezza e spiritualità, basati su antiche melodie delle liturgie cristiano – orientali. Magnifici, sono stati eseguiti più che decorosamente dal coro moscovita; ma è giusto proporne solo due, a caso, mutilando un’opera che lo stesso autore riteneva tanto unica da chiamarla familiarmente “la mia Messa”?

Passando alla musica del metropolita di Mosca, duole dire che ci è parsa piuttosto elementare, sostanzialmente priva di ispirazione e di ambizione, come ci è stato confermato dal bis dello stesso autore che Montrone ha proposto, probabilmente, per puro senso di ospitalità.

Di Armando Pierucci invece (ma perché si presenta come “padre Pierucci”, che è come scrivere “padre Vivaldi”?) dobbiamo dire che è stata una rivelazione. Pierucci è un frate minore, settantacinquenne, di cui si dice essere un bravo organista che da anni vive a Gerusalemme dove ha alimentato alcune polemiche a proposito di semitismo e antisemitismo. Fatto sta che il suo De Profundis – di cui non si è ben capito se abbiamo ascoltato una esecuzione completa o solo alcune parti (il programma recita “meditazioni dalla cantata …”) – è una potente e bella opera per mezzosoprano (la ruvida ma potente Polina Shamaeva), flauto (un ottimo solista il cui nome non compare nel programma), coro e orchestra, scritta dieci anni fa e in mirabile equilibrio fra classicità e modernità, con un impianto armonico tanto solido quanto ardito, ricca di profonde e suggestive interrogazioni sul significato della vita e della morte.

Ciò che veramente ha lasciato tutti perplessi è stato il Te Deum verdiano, ultimo dei noti “Quattro pezzi sacri” del 1898, un’opera sicuramente minore di un Verdi già molto invecchiato e provato dalla scomparsa dell’ultima moglie; un vero “péché de vieillesse” di cui lo stesso autore ebbe a dire – in una lettera all’amico Boito, quando si voleva eseguirli alla Scala – “lasciate in pace quei poveri pezzi“. La lettura che ne ha dato il Montrone non ci è parsa adeguata, piena di effetti eccessivi e di contrasti violenti, sopratutto priva di tensione mistica e morale, di scarsa spiritualità.

Una grande occasione persa per aver privilegiato gli aspetti celebrativi, diplomatici, ufficiali rispetto ai contenuti artistici e alla qualità musicale, per giunta in occasione dell’incontro fra due straordinarie culture che proprio nella meditazione sul sacro hanno dato grandissimi capolavori, musicali e non solo.

 

Prima di andare in stampa, come si dice, vogliamo dar conto di un altro simpatico evento musicale, il concerto che il “Quartetto dell’Orchestra Verdi” ha offerto domenica alla Palazzina Liberty eseguendo un Trio e un Quartetto della poco nota compositrice inglese Ethel Smyth. Quattro bravissime musiciste – Giorgia Righetti ed Elsa Martignoni che si sono alternate nel ruolo di primo violino, la violista Miho Yamagishi e la violoncellista Yuriko Mikami – si sono letteralmente profuse per dare senso e contenuto a queste musiche molto eclettiche, scritte fra l’otto e il novecento dalla leader delle famigerate “suffragette”, riuscendo a renderle gradevoli, sfiziose, interessanti. Forza dalla fantasia e della professionalità delle coraggiose interpreti.

Peccato che il concerto sia stato funestato all’inizio da una serie di noiosissimi interventi verbali e – strada facendo – disturbato dagli applausi di un pubblico che, evidentemente poco avvezzo alle sale da concerto, applaudiva meccanicamente alla fine di ogni tempo interrompendo così quell’attenzione e quella tensione che sono alla base della “magia” della musica. Che, come si sa, ha bisogno anche di un buon pubblico per manifestarsi in tutto il suo splendore.

 

 

Musica per una settimana

 

Innanzitutto ricordiamo che il Museo Diocesano, per il decennale della sua fondazione, ha organizzato un favoloso concerto alla Basilica di Sant’Eustorgio, giovedì 6 ottobre, con la Filarmonica della Scala diretta da Lorin Maazel che eseguirà l’Exultate Jubilate di Mozart (soprano Jane Archibald) e la Sinfonia n. 3 – l’Eroica – in mi bemolle maggiore op. 55 di Beethoven.

Sempre giovedì 6, con repliche venerdì 7 e domenica 9 all’Auditorium, Aldo Ceccato dirigerà l’Orchestra Verdi in un concerto interamente dedicato a Dvorak con due Serenate – opera 22 in mi maggiore e opera 44 in re minore – e la grandiosa Sinfonia n. 9 in mi minore opera 95, universalmente nota come “Sinfonia dal nuovo mondo”

Ancora giovedì 6 al Conservatorio inizia la stagione della Società dei Concerti con il recital dell’ottantaquattrenne Paul Badura Skoda che eseguirà tre grandi capolavori della letteratura pianistica: la Fantasia in do minore K. 475 di Mozart, l’ultima Sonata di Beethoven – la numero 32 opera 111 in do minore – e la Sonata in si bemolle maggiore D 960 di Schubert.

Il concerto successivo della Società dei Concerti si terrà mercoledì 12 con la Südwestfalen Philharmonie diretta da Dirk Kaftan che eseguirà, con la pianista Martyna Jatkau Skaite, il Concerto n. 3 in do maggiore opera 26 per pianoforte e orchestra di Prokofiev per concludere, anche lui, con la Sinfonia n. 9 di Dvořák. Si potranno così mettere a confronto due interpretazioni, probabilmente molto diverse fra loro, di questa celeberrima musica.

Infine ricordiamo che la stagione della Filarmonica della Scala inizierà il 16, quella delle Serate Musicali il 17, quella della Società del Quartetto il 18, mentre della stagione dei Pomeriggi Musicali non si hanno ancora notizie; si sa però che sabato 8 l’orchestra dei Pomeriggi, diretta da Johannes Kalitzke, terrà al teatro Dal Verme un concerto del ciclo “Percorsi di musica d’oggi” con musiche di Rivas, Clementi, Lachenmann, Franceschini e Francesconi (sic!) e con la partecipazione di Alain Billard al clarinetto e di Francesco Dillon al violoncello.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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