4 ottobre 2011

cinema


 

A DANGEROUS METHOD

di David Cronenberg [Canada/Germania/Gran Bretagna/Svizzera, 2011, 99′]

con: Viggo Mortensen, Michael Fassbender, Keira Knightley, Vincent Cassel

Si può disegnare come un triangolo la storia raccontata da David Cronenberg in A Dangerous Method [Canada/Germania/Gran Bretagna/Svizzera, 2011, 99′]. È quasi un ménage à trois tra i protagonisti che si confrontano, si studiano, si amano. Sigmund Freud (Viggo Mortensen), Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) e Sabina Spielrein (Keira Knightley) intrecciano i loro intelletti e condividono una tensione sessuale simile all’agitazione che viviamo noi in sala vedendo il film, quasi consapevoli che da un momento all’altro qualcosa stia per esplodere. Parlare di “esplosione” commentando un film di Cronenberg porta a pensare alla metamorfosi del corpo vista in Videodrome [1983] o La mosca [1986], alla testa che scoppia in Scanners [1981] e a tutti quei demoni sotto la pelle che fanno dell’uomo una creatura instabile e in mutazione continua. Insomma, ciò che da molti è definito “l’universo cronenberghiano”.

Ma non è così in A Dangerous Method, almeno a prima vista. Il regista canadese stesso disdegna la semplice riduzione dell’opera artistica al banale confronto con la sua poetica precedente: «per me ogni film è un film cronenberghiano per il semplice motivo che è opera mia. E nessun altro l’avrebbe fatta allo stesso modo. Non penso mai ai miei film precedenti, insomma non cerco di inserire per forza degli elementi che avrebbero potuto farlo sembrare un “film di Cronenberg”, per il semplice motivo che è già un film di Cronenberg», dice.

Il trucco – credo – stia nell’evitare di bloccarsi alla superficie del film gridando come tromboni saccenti che Cronenberg non ha fatto un film “alla Cronenberg”, cercando invece di lasciarsi trasportare dalle immagini e dalle realtà create dal regista; magari, in questo modo, potremmo riuscire a insinuarci nella ragnatela tessuta dal film e scorgere da qualche parte quegli stilemi narrativi che da sempre accompagnano il cinema del regista canadese.

In A Dangerous Method la sceneggiatura di Christopher Hampton procede lentamente, come se seguisse lo scambio epistolare avvenuto tra Freud e Jung. Parole scritte nero-su-bianco incarnate in un’epoca storica (siamo nei primi anni del XX secolo) in cui la psicanalisi e la società non erano ancora pronte alle idee di Freud. Lo scienziato, infatti, ha sempre dato rilevanza al corpo e alla sessualità: parlava di pene e di vagina, di bambini stuprati e traumi provocati da relazioni incestuose. L’altalena tra intelletto e sessualità è riproposta nel film dalla relazione tra i protagonisti.

La mente disturbata di Sabina Spielrein grida fin dalle prime sequenze di A Dangerous Method, quando la vediamo scendere dalla carrozza diretta nella casa di cura dove il dottor Jung proverà a sanarla per mezzo della “talking cure” inventata da Freud. Il suo grido di pazzia percorrerà tutto il film, fino a penetrare nella testa di Jung quasi fosse un parassita assassino. La paziente incuriosisce anche Freud che, per questo motivo, inizia a frequentare il più giovane psicanalista Jung. Tra i due germina un rapporto di amicizia intima alternata a gelosie e invidie, una fascinazione tra maestro e allievo che non è lontana dal sentimento amoroso.

«Accettare il mondo per com’è è la via per la sanità mentale, altrimenti è come sostituire un’illusione con un’altra», secondo Freud. Si potrebbe trovare qui la lettura di Cronenberg – Freud riguardo al tema dell’identità e della sua fragilità. Interpretazione che marca il distacco dal punto di vista di Jung, molto più trascendente al corpo. Allora, la strada di Cronenberg incontrandosi con quella di Freud mostra come sotto la razionalità umana si celino forze che da un momento all’altro potrebbero esplodere. Noi, incontrando la strada di Cronenberg, non dobbiamo dimenticare che “l’esplosione” può essere esterna [Scanners?] o interna [Inseparabili?] ma, a volte, può essere soltanto inconscia.

Paolo Schipani

In sala: The Space Milano Odeon, UCI Cinemas Bicocca, Plinius multisala, Gloria Multisala, Le Giraffe Multisala, The Space Cinema Le Torri Bianche, The Space Cinema Cerro Maggiore, Rondinella, Multisala Teodolinda SpazioCinema

 

DRIVE

di Nicolas Winding Refn [Usa, 2011, 95′]

con Ryan Gosling, Bryan Cranston, Carey Mulligan, Albert Brooks.

“Tu che cosa fai?” “Guido”. Il protagonista di Drive, ultima pellicola di Nicolas Winding Refn, non spende più di un verbo per descrivere la propria vita. “Drive” è ciò che gli viene urlato in tutta la prima parte del film. È ciò che il regista ha deciso di fargli fare ossessivamente. Guida veicoli rubati assoldato dai malviventi per le fughe dopo le rapine, guida come controfigura e stunt man nei film d’azione hollywoodiani e guida come pilota di auto da corsa finanziate dai soldi della mafia.

Il personaggio interpretato da Ryan Gosling è ermetico, taciturno; il suo passato è misterioso. Lo sguardo che indirizza allo spettatore è impassibile, inespressivo. Rivela determinazione solo nelle strette inquadrature dello specchio retrovisore dei veicoli che conduce. Il regista ne fa un uso frequente per evidenziare la metamorfosi di un personaggio che appare a suo agio solo con la schiena appoggiata allo schienale del sedile e le mani ben strette al volante. Non sembra esserci discontinuità tra l’uomo e la macchina.

È indispensabile l’entrata in scena di qualcosa che non abbia un motore per tirare fuori la sua umanità. Il senso cavalleresco di protezione verso la fragile e indifesa vicina di casa lo spinge a guidare l’auto sbagliata, quella che serve al marito della donna a compiere la rapina che possa sanare i debiti contratti in carcere. L’esito è ovviamente tragico e la velocità durante la fuga è il preludio a una seconda parte di pellicola in cui Refn non stacca mai il piede dall’acceleratore.

Il desiderio imprescindibile di difesa della donna spinge il protagonista a un’inaspettata esplosione di brutalità. La sua ferocia e il piacere sadico nell’uccidere razionalmente ogni minaccia alle persone che ama creano un forte parallelismo con A history of violence di David Cronenberg. Refn ha cercato, tuttavia, un proprio percorso grazie a un riuscito connubio tra velocità e adrenalina, componenti indissolubili di questo pilota cinico e romantico.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Colosseo, Orfeo, The Space Cinema Odeon, Plinius, UCI Cinemas Bicocca, UCI Cinemas Certosa

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org



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