27 settembre 2011

cinema


 

LA PELLE CHE ABITO

di Pedro Almodovar [Spagna, 2011, 120′]

con Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Isabel Blanco, Bianca Suarez

Vera Cruz (Elena Anaya) abita una pelle che non è la sua. È la vittima degli esperimenti del noto chirurgo Robert Ledgard (Antonio Banderas) che la tiene segregata in una stanza asettica della sua villa-fortezza. Il medico opera su di lei qualunque tipo di esperimento pur di rendere inattaccabile “Gal”, la pelle perfetta resistente a qualsiasi fattore esterno. Questo accanimento serve al medico a espiare le colpe per la morte della moglie.

Lo spettatore è chiuso con Vera in quella piccola gabbia asettica. Nulla trapela dall’imperturbabile viso del chirurgo se non la compiacenza di fronte a ciò che lui reputa una vera e propria opera d’arte. Il suicidio della figlia di Ledgard porta il chirurgo all’estremo della sua follia mostrandoci la più sadica delle vendette. Almodovar ha studiato perfettamente lo schema della narrazione. I flashback iniziano nel momento in cui crediamo di afferrare la verità. Ci accorgiamo rapidamente di averne davanti agli occhi solo lo strato più superficiale.

L’universo di Almodovar, si sa, ruota attorno alla figura femminile. È un segno distintivo delle sue pellicole che unisce La pelle che abito al resto della sua filmografia. Ogni azione del cinico e imperturbabile chirurgo è la reazione a un evento accaduto alle donne che lo circondano. Chi ha visto Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Tutto su mia madre, Volver fa una naturale fatica a riconoscere Almodovar dietro la macchina da presa. Il regista spagnolo ha cambiato sicuramente pelle. Non ci si può che affidare al tempo per capire se ha scelto di cucirsela definitivamente o è solo un travestimento.

 Marco Santarpia

In sala a Milano: Apollo, UCI Cinemas Bicocca, Plinius, Ducale, Gloria Multisala, Colosseo, Arcobaleno.

 

 

HABEMUS PAPAM

di Nanni Moretti [Italia/Francia, 2011, 104′]

con: Michel Piccoli, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Margherita Buy

Un balcone vuoto. È questa l’immagine più forte di Habemus Papam [Italia/Francia, 2011, 104′] di Nanni Moretti. Perché non si tratta di un balcone qualunque, ma è quello da cui “sempre” si affaccia il Papa in Piazza S. Pietro. Sempre, ma non nel film di Moretti; il regista lo mostra vuoto, usando il cinema per disegnare un mondo che ancora non abbiamo visto e, forse, ancora non siamo pronti a vedere.

Tutto inizia nei pensieri dei cardinali chiusi nel conclave per eleggere il nuovo pontefice: «non io Signore», implorano sentendosi inadeguati. La preghiera è silenziosa, intima, ma è di nuovo il cinema che si insinua nelle loro teste e rende i bisbigli gridati. In quel dietro le quinte dove per tradizione lo sguardo umano è impedito, ci siamo anche noi. Partecipiamo al timore dei cardinali di non essere all’altezza di una tale responsabilità. Sarà il Cardinale Melville (Michel Piccoli) il prescelto. Fumata bianca. Habemus Papam gridano dalla Piazza.

Ma Melville è attonito, impotente davanti al peso della leadership: «non riesco a condurre, ma ho bisogno di essere condotto», dice pressappoco. Per aiutarlo viene portato in Vaticano il miglior psicoanalista (Nanni Moretti), ma il neoeletto Papa fugge da quelle mura e si perde per Roma. Da qui il paradosso: uno scienziato “imprigionato” in Vaticano tra centinaia di cardinali, e il Pontefice smarrito tra le strade di Roma. Una commedia e una tragedia, ecco la grande forza di Habemus Papam: si ride e si piange.

Sorridiamo assistendo alla partita a scopa tra i cardinali, o al torneo di pallavolo organizzato dallo psicoanalista. Ci commuoviamo guardando alla crisi umana che colpisce l’uomo di chiesa: «ma non si può fare che io scompaia?», chiede teneramente Melville. La sua non è una crisi di fede, ma la debolezza di un uomo che si sente piccolo davanti al ruolo che deve ricoprire.

Un uomo, prima di tutto. Moretti usa il Papa come un simbolo, ma potrebbe essere un politico, un professore, un genitore. Chiunque debba rivestire una carica giudicata al di là delle proprie possibilità. In gioventù voleva fare l’attore il Papa di Moretti, ma il palco sul quale dovrebbe salire adesso è troppo solenne; il pubblico eccessivamente vasto e pretenzioso. Con umiltà, allora, decide di scappare da quella “messa in scena”. Sale sul balcone fino a quel momento rimasto vuoto solamente per l’ultima rappresentazione, dopodiché il suo spettacolo finisce.

 Paolo Schipani

 In sala: Cinema Gnomo

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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