27 settembre 2011

arte


ARTEMISIA GENTILESCHI. VITA, AMORI E OPERE DI UNA PRIMADONNA DEL ‘600

Artemisia Lomi Gentileschi è stata una delle numerose donne pittrici dell’arte moderna, ma la sola, forse, ad aver ricevuto successo, notorietà, fama e commissioni importanti in quantità. Ecco perché la mostra “Artemisia Gentileschi -Storia di una passione”, ospitata a Palazzo Reale e da poco aperta, si propone di ristudiare, approfondire e far conoscere al grande pubblico la “pittora” e le sue opere, per cercare di slegarla all’episodio celeberrimo di violenza di cui fu vittima. Sì perché il nome di Artemisia è spesso associato a quello stupro da lei subito, appena diciottenne, da parte del collega e amico del padre, Agostino Tassi, che la violentò per nove mesi, promettendole in cambio un matrimonio riparatore.

Donna coraggiosa, che ebbe il coraggio di ribellarsi e denunciare il Tassi, subendone in cambio un lungo e umiliante processo pubblico, il primo di tal genere di cui ci siano rimasti gli atti scritti. La mostra, quasi una monografica, si propone anche di dare una individualità tutta sua alla giovane pittrice, senza trascurare però gli esordi con il padre, l’ingombrante e severo Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio e iniziatore della figlia verso quel gusto caravaggesco che tanto fu di moda; o senza tralasciare lo zio, fratello di Orazio, Aurelio Lomi, pittore manierista che tanto fece per la nipote.

Il percorso si snoda dunque dalla giovanile formazione nella bottega paterna, per una donna pittrice ai tempi non poteva essere altrimenti, per arrivare alle prime opere totalmente autonome e magnifiche, dipinte per il signore di Firenze Cosimo II de’ Medici. La vita di Artemisia fu rocambolesca e passionale. Dopo il processo a Roma si spostò a Firenze con il neo marito Pietro Stiattesi, e fu lì che conobbe i primi successi – fu la prima donna a essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze- e un grande, vero amore, Francesco Maria Maringhi, nobile fiorentino con cui avrà una relazione che durerà per tutta la loro vita. Dati, questi, che si sono recuperati solo in tempi recentissimi grazie a uno straordinario carteggio autografo di Artemisia, del marito e dell’amante. E proprio le lettere sono state un punto di partenza importante per nuove attribuzioni, scoperte e ipotesi su dipinti prima nel limbo delle incertezze.

In mostra ci sono quasi tutte le opere più famose di Artemisia (peccato per un paio di prestiti importanti che non sono arrivati): le due cruente e violentissime Giuditte che decapitano Oloferne, da Napoli e dagli Uffizi, lette così spesso in chiave autobiografica (Artemisia-Giuditta che decapita in un tripudio di sangue Oloferne/Agostino Tassi); le sensuali Maddalene penitenti; eroine bibliche come Ester, Giaele, Betsabea e Susanna; miti senza tempo come Cleopatra e Danae, varie Allegorie e Vergini con Bambino. Ma Artemisia fu famosa anche per i suoi ritratti, di cui pochi esempi ci sono rimasti, come il “Ritratto di gonfaloniere” o il “Ritratto di Antoine de Ville”, così come per i suoi autoritratti. Le fonti ce la raccontano come donna bellissima e sensuale, pienamente consapevole del suo fascino e del suo ruolo, che amava dipingersi allo specchio e regalare queste opere ai suoi ammiratori.

Così la mostra si snoda tra Firenze, da cui i coniugi Stiattesi scappano coperti dai debiti, per arrivare a Roma, Venezia, Napoli e perfino in Inghilterra, dove la volle il re Carlo I. Una vita ricca di passioni, appunto, come l’amore per la figlia Palmira, che diverrà anch’essa pittrice e valido aiuto nella bottega materna che Artemisia aprirà a Napoli fin dagli anni Trenta del Seicento, ricca di giovani promettenti pittori come Bernardo Cavallino. Una vita ricca anche di conoscenze e amicizie importanti: ventennale il rapporto epistolare con Galileo Galilei, conosciuto a Firenze, con Michelangelo il Giovane, pronipote del genio fiorentino, e anche con una serie di nobili e committenti per cui dipinse le sue opere più celebri: Antonio Ruffo, Cassiano dal Pozzo, i cardinali Barberini e l’arcivescovo di Pozzuoli, per il quale fece tre enormi tele per adornare la nuova cattedrale nel 1637, la sua prima vera commissione pubblica.

Insomma una donna, una madre e un’artista straordinaria, finalmente messa in luce in tutta la sua grandezza, inquadrata certo nell’alveo del padre Orazio e di quel caravaggismo che la resa tanto famosa, ma vista anche come pittrice camaleontica e dall’inventiva straordinaria, capace di riproporre uno stesso soggetto con mille varianti, secondo quella varietas e originalità per cui fu, giustamente, così ricercata.

Artemisia Gentileschi. Storia di una passione– Fino al 29 gennaio Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.30-22.30. Intero: € 9,00. Ridotto: € 7,50

 

 

START. AL VIA LA STAGIONE ARTISTICA MILANESE

Agitazione da primo giorno di scuola per il mondo dell’arte milanese. Il week end appena concluso è stato infatti dedicato alla presentazione e all’inaugurazione di mostre, artisti e gallerie. Gara tra gli irriducibili per accaparrarsi inviti e anteprime, dopo di che tutto è stato un gran via vai-corri in giro-entra ed esci dai luoghi più interessanti della città. Anche quest’anno l’evento è stato organizzato da START MILANO, associazione no profit che riunisce trentasette gallerie tra le più dinamiche e attive nell’ambito dell’arte contemporanea. Gallerie che durante lo scorso week end hanno tenuto orari speciali, serali e prolungati, per permettere al pubblico, sempre numeroso, di visitare e vedere “che cosa c’è di nuovo” in galleria. Molte le proposte, che rimarranno visitabili per lo più fino a novembre, sparse per tutta la città, rintracciabili sul sito dell’associazione, www.startmilano.com

Vorrei dare però un’attenzione particolare alla zona di Lambrate, nuovo centro pulsante del design e dell’arte contemporanea. Un po’ scomodo forse, ma adatto per ospitare le grandi gallerie che di negozio hanno ormai ben poco, e che assomigliano sempre più a garage e hangar per ospitare opere di inusitate proporzioni. Dopo anni di gloriosa attività in corso di Porta Nuova, ha fatto capolino qui anche la galleria Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea, proprio in un ex complesso industriale Hyundai. La mostra inaugurale si intitola “What?“, una collettiva di ventisei artisti, nomi nuovi e vecchi, che vuole interrogarsi e interrogare sul percorso artistico della galleria, le tendenze emerse e quello che invece potrebbe nascere da progetti e collaborazioni future. Paladino, Neumann, il Batman gigante di Adrian Tranquilli e l’Andy Warhol di Gavin Turk sono solo alcuni degli interessanti lavori esposti, completati dalle installazioni sulla terrazza di Lucio Perone, Philippe Perrin, Peppe Perone e Alex Pinna.

Accanto un altro spazio interessante, non legato al circuito START: la Galleria Alessandro De March, con una mostra, che prende il nome dal suo autore, sul giovane artista di Pordenone Mauro Vignando. Un artista che lavora con i materiali più diversi, pittura, scultura, fotografia e video arte. Sono opere concettuali, che prevedono il lavoro dello spettatore nella costruzione di un senso tutto personale. Specchi, legno, alluminio e marmo di Carrara sono alcuni dei materiali usati per creare moduli geometrici, blocchi e serrande da indagare.

Non si può dimenticare poi la Massimo De Carlo, caposaldo tra le gallerie milanesi, che ospita la mostra personale “Basements” di Massimo Bartolini. Una grande scultura in bronzo, che dà il titolo all’esposizione, ha per protagonista la terra, vista come madre e connessa alla necessità di mettere radici. C’è anche “La strada di sotto”, installazione fatta da centinaia di lampadine colorate e luminarie, che si accendono a intermittenza seguendo i suoni e le parole del protagonista di un video, esposto in una seconda sala, don Valentino, il parroco che davvero monta quelle luminarie nella festa del suo paese, in Sicilia. Ultima galleria da menzionare la Francesca Minini Gallery, con la mostra di Simon Dybbroe Moller, intitolata “O”, che si interroga sulle valenze del segno O: un’apertura, un cerchio, un volume, attraverso video, segni e sculture dell’artista danese.

Ma non c’è stato solo START a movimentare questo week end milanese. Ha finalmente aperto, tra stupore e incredulità, anche la prima sede italiana di una delle gallerie più importanti della scena mondiale: la Lisson Gallery. Perché in tempi di crisi una galleria come la Lisson apre in Italia? Intanto non dimentichiamo che, a diversificare ulteriormente la scena milanese, a breve ripartiranno le grandi retrospettive di Palazzo Reale, dedicate a due protagonisti della storia dell’arte: Artemisia Gentileschi e Paul Cezanne.

Galleria Francesca Minini – Simon Dybbroe Møller – “O“. Fino al 5 novembre 2011via Massimiano, 25 . Martedì>sabato 11>19.30; – Mimmo Scognamiglio ArteContemporanea– “What?“. Fino al 31 ottobre via Ventura, 6 . Lunedì>sabato 15>19.30 – Galleria Alessandro De March, “Mauro Vignando. 15 : 09 : 112, fino al 5 novembre. via Massimiano 25. Martedì>venerdì 12>19. Sabato 14>19.

 

 

FOTOGRAFIE E UN’ULTIMA CENA PER NON DIMENTICARE L’11 SETTEMBRE

Dieci anni fa il crollo delle Torri Gemelle ha cambiato il mondo e ha destabilizzato la nostra sicurezza e la realtà a cui eravamo abituati. Tante, tantissime le celebrazioni in tutto il mondo; tante, tantissime le foto a cui siamo stati esposti in questi dieci anni. Foto che testimoniano, ricordano, mostrano e ci fanno riflettere sull’immane tragedia di quel giorno. Sono proprio le fotografie le protagoniste di una mostra, visitabile fino al 2 ottobre presso Palazzo Reale, promossa dal Comune di Milano, dalla Fondazione Forma per la Fotografia con la collaborazione del Corriere della Sera.

“11.9 Il giorno che ha cambiato il mondo. Dieci anni dopo. Documenti e immagini” mostra esattamente questo. Fotografie dal grande formato fatte dai testimoni di quella tragedia in quel giorno che sembrava uguale a tanti. Passanti salvatisi per caso, ma anche fotografi dai nomi importanti, quali James Nachtwey, e i grandi autori della Magnum Photos come Steve McCurry, Alex Webb, Gilles Peress, Susan Meiselas e altri. La mostra, raccolta in poche sale, è una testimonianza forte di quello che accadde.

L’eroismo dei soccorritori, gente comune irriconoscibile, coperta di sangue e polvere che si abbraccia e guarda il cielo con fare impotente, pezzi di edificio, frammenti volati qua e là, un angolo di terreno coperto da fiori e candele, parenti e amici che guardano le foto degli amici appese al muro dei dispersi. Immagini a tutti fin troppo note che, anche a un decennio di distanza, ancora ci fanno emozionare. Anche la stampa è stata un mezzo importante in quell’evento, ecco perché la prima sala è dedicata alle copertine dei principali quotidiani nazionali degli Stati Uniti del 12 settembre, con foto, commenti e titoli altrettanto scioccanti e sconvolti.

Ma non ci sono solo fotografie in questo omaggio milanese. Una sala è dedicata, con immagini, disegni e fotografie, a spiegare nel dettaglio il progetto di Antonio Paradiso, artista italiano che ha creato una grande scultura, “L’ultima cena globalizzata”, usando proprio alcuni resti degli edifici delle Torri. Dopo l’11 settembre artisti da tutto il mondo chiesero alla città di New York di poter avere e usare pezzi, travi e quel che rimaneva delle due Torri per crearne opere d’arte. Il comune di New York bandì allora un concorso affinché gli artisti pensassero e progettassero dei lavori su questi materiali, per riservarsi poi di scegliere solo i più significativi a cui inviare i resti. Paradiso è stato l’unico italiano ad aver vinto quel concorso, insieme con una quarantina di artisti, e ne ha creato una nuova versione dell’Ultima Cena, esposta nella corte interna di Palazzo Reale.

Un tavolo contorto, accartocciato, così come le tredici “persone” intorno ad esso, simboleggianti tredici nazionalità del mondo. Venti tonnellate di travi, sbarre e lamiere contorte, del colore della ruggine, simili a persone sofferenti, mute, solitarie e senza più nulla da dirsi, rimodellate secondo il progetto artistico dopo esser giunte in Italia nel dicembre 2010. Sicuramente un’opera di grande impatto emozionale.

11.9 Il giorno che ha cambiato il mondo. Dieci anni dopo. Documenti e immagini“; Antonio Paradiso “Ultima cena globalizzata”. – fino al 2 ottobre. Palazzo Reale, orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.30-22.30. Ingresso gratuito.

 

 

CATTELAN TRA PICCIONI IMBALSAMATI E FOTO SURREALISTE

Nuovo scandalo (preannunciato) per l’enfant prodige dell’arte nostrana, Maurizio Cattelan. Alla 54esima Biennale di Venezia, inaugurata il 4 giugno e che andrà avanti fino al 27 novembre, l’artista padovano, chiamato in extremis a partecipare, ha proposto una particolarissima opera-installazione: The others, 2000 piccioni imbalsamati e collocati sui solai, le travi e gli impianti del Padiglione centrale della Biennale. In realtà l’idea tanto nuova non è visto che riprende un’installazione del 1997, Tourists, già esposta nella Biennale di quell’anno, curata da Germano Celant, e che consisteva in duecento colombi imbalsamati. Alcuni dei quali, è bene dirlo, sono stati poi battuti all’asta da Christie’s per l’incredibile somma di 150 mila sterline.

Insomma altri piccioni tassidermizzati appollaiati su travi. Questo ha comportato una inevitabile protesta da parte degli animalisti, che hanno manifestato con slogan e cartelli all’ingresso dei Giardini. Certo Cattelan non è nuovo all’uso di animali nelle sue opere, come fece nel 1996 per La ballata di Trotskij, in cui appese un cavallo imbalsamato a uno dei soffitti del Castello di Rivoli (stima: due milioni di dollari), oppure un altro cavallo, sempre imbalsamato, trafitto da un cartello con la scritta INRI, esposto nel 2009 alla Tate Modern di Londra; la “statua animale” dei quattro musicanti di Brema, o ancora l’irriverente regalo alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento in occasione del conferimento della laurea honoris causa: un asino impagliato dal titolo Un asino tra i dottori. Ultimo ma non meno crudele, il topolino incastrato in una bottiglia di vodka Absolut per uno degli eventi legati alla Biennale del 2003 organizzato proprio dal marchio Absolut.

Magra consolazione far notare che i piccioni non sono stati imbalsamati appositamente per l’evento e che, in realtà, nel 2007, per la giornata dell’arte contemporanea promossa da Amaci (Associazione dei musei d’arte contemporanea italiani) Cattelan aveva realizzato un canguro nascosto dietro un albero dal quale spuntavano solo le orecchie dell’animale, un lavoro eseguito con il sostegno del Wwf stesso.

“Quattrocento di questi piccioni andranno poi alla mia retrospettiva al Guggenheim di New York che aprirà il 4 novembre. Confermo che quello sarà il mio ultimo impegno prima di lasciare il mondo dell’arte”. Così si giustifica Cattelan, sostenendo ancora una volta che il suo ritiro dal mondo dell’arte è davvero imminente. Verità o strategia? Sarebbe in ogni caso un ritiro parziale, perché l’obiettivo di Cattelan è occuparsi sempre di arte, ma in modo collaterale, attraverso la sua nuova rivista Toilet Paper. “Come annunciato mi ritiro a occuparmi della mia rivista Toilet Paper, anzi ne farò anche altre”. Per l’appunto. Questa nuova impresa editoriale, diretta e curata insieme all’amico e fotografo Pierpaolo Ferrari, presentato nello spazio milanese “Le Dictateur“, è una rivista fotografica, una sorta di moderno giornale dada-surrealista (abbondano occhi, nasi e dita mozzate), dedicata solo alle immagini, niente spiegazioni, che accosta fotografie diverse e un tantino scioccanti, per permettere allo spettatore pindarici voli interpretativi e suggestivi. L’importante, suggeriscono gli autori, è la sequenza con cui le foto sono proposte. Insomma il solito, irriverente e autoreferenziale Cattelan.

54. Esposizione Internazionale d’arte Biennale di Venezia, Giardini e Arsenale
dal 4 giugno al 27 novembre, Orari: 10 18 chiuso il lunedì. Costi: 6 € per ciascuna sede, 10 € per entrambe le sedi

 

 

DOPPIO KAPOOR A MILANO

Sono tre gli appuntamenti che l’Italia dedica quest’anno ad Anish Kapoor, artista concettuale anglo-indiano. Due di questi sono a Milano, e si preannunciano già essere le mostre più visitate dell’estate. Il primo è alla Rotonda della Besana, dove sono esposte sette opere a creare una mini antologica; il secondo è “Dirty Corner“, installazione site-specific creata apposta per la Fabbrica del Vapore di via Procaccini. Entrambe curate da Demetrio Paparoni e Gianni Mercurio, con la collaborazione di MADEINART, gli stessi nomi che hanno curato anche la retrospettiva di Oursler al Pac.

Una mostra di grande impatto visivo, quella della Besana, con opere fatte di metallo e cera, realizzate negli ultimi dieci anni e che sono presentate in Italia per la prima volta. Opere di grande impatto sì, ma dal significato non subito comprensibile. Kapoor è un artista che si muove attraverso lo spazio e la materia, in una continua sperimentazione e compenetrazione tra i due, interagendo con l’ambiente circostante per “cercare di generare sensazioni, spaesamenti percettivi, che porteranno a ognuno, diversi, magari insospettabili significati”, come spiega l’artista stesso. Ecco perché non tutto è lineare, come si può capire guardando le sculture in acciaio “C-Curve” (2007), “Non Object (Door)” 2008, “Non Object (Plane)” del 2010, ed altre che provocano nello spettatore una percezione alterata dello spazio. Figure capovolte, deformate, modificate a seconda della prospettiva da cui si guarda, un forte senso di straniamento che porta quasi a perdere l’equilibrio. Queste solo alcune delle sensazioni che lo spettatore, a seconda dell’età e della sensibilità, potrebbe provare davanti a questi enormi specchi metallici.

Ma non c’è solo il metallo tra i materiali di Kapoor. Al centro della Rotonda troneggia l’enorme “My Red Homeland“, 2003, monumentale installazione formata da cera rossa (il famoso rosso Kapoor), disposta in un immenso contenitore circolare e composta da un braccio metallico connesso a un motore idraulico che gira sopra un asse centrale, spingendo e schiacciando la cera, in un lentissimo e silenzioso scambio tra creazione e distruzione. Un’opera, come spiegano i curatori, che non potrebbe esistere senza la presenza indissolubile della cera e del braccio metallico, in una sorta di positivo e negativo (il braccio che buca la cera), e di cui la mente dello spettatore è comunque in grado di ricostruirne la totalità originaria.

Il lavoro di Kapoor parte sempre da una spiritualità tutta indiana che si caratterizza per una tensione mistica verso la leggerezza e il vuoto, verso l’immaterialità, intesi come luoghi primari della creazione. Ecco perché gli altri due interessanti appuntamenti hanno sempre a che fare con queste tematiche: “Dirty Corner“, presso la Fabbrica del Vapore, un immenso tunnel in acciaio di 60 metri e alto 8, all’interno dei quali i visitatori potranno entrare, e “Ascension”, esposta nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, in occasione della 54° Biennale di Venezia. Opera già proposta in Brasile e a Pechino ma che per l’occasione prende nuovo significato. Un’installazione site-specific che materializza una colonna di fumo da una base circolare posta in corrispondenza dell’incrocio fra transetto e navata della maestosa Basilica e che sale fino alla cupola.

ANISH KAPOOR – Rotonda di via Besana – fino al 9 ottobre Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 – fino all’11 dicembre Orari: lun 14.30 – 19.30. Mar-dom 9.30-19.30. Giov e sab 9.30-22.30. Costi: 6 € per ciascuna sede, 10 € per entrambe le sedi.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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