20 settembre 2011

IL PARTITO DEL SINDACO A MILANO


Nel vecchio manuale Cencelli il sindaco di Milano valeva abbondantemente un ministero di prima fascia e per convincersi che è sempre stato così, basta guardare l’albo dei consiglieri o degli aspiranti tali: da Mussolini a Berlusconi, da Craxi a Vittorini, da Turati a Toscanini, da Marinetti a Spadolini. Quasi tutti i sindaci milanesi hanno avuto un ruolo politico nazionale importante e molti sono stati a un passo dall’essere protagonisti di prima grandezza nazionale. Caldara tenne in piedi la corrente turatiana del Psi garantendogli un consenso e una popolarità che consentirono ai riformisti di sconfiggere per lungo tempo i rivoluzionari, senza di lui non sarebbe stata possibile neppure la vittoria del rivoluzionario Filippetti. Per comprendere l’importanza politica di Caldara basti ricordare che ancora nel 1934 il suo incontro con Mussolini venne visto come una possibile svolta del regime.

Mangiagalli fu illusoriamente pensato come una barriera alla totale fascistizzazione dell’amministrazione. Greppi fu una delle pedine fondamentali dello scontro/incontro tra socialisti e socialdemocratici. Bucalossi fu per un certo tempo candidato a leader del PRI, come Aniasi che fu una delle alternative possibili a De Martino al Midas. Tognoli venne indicato dal Corriere della Sera di Cavallari come un’alternativa a Craxi (provocandone l’ira funesta). Albertini viene invocato ancor oggi come salvatore della patria moderata milanese. A nessuno è arriso però il successo massimo, tutti sono stati ridimensionati dal partito di appartenenza, vuoi perché è prevalsa una corrente di diversa impostazione ideologica, vuoi per il peso delle tessere in genere più consistenti altrove, vuoi per la tendenza comune ai dirigenti nazionali di tutti i partiti di non volere tra i piedi il sindaco più importante d’Italia.

Destino anche peggiore subì la ricorrente idea (in genere sollecitata da esterni ai partiti, da giornalisti, da società civili varie) a varare un partito del sindaco, cosa ben diversa da una lista civica di appoggio. Solo Bucalossi, in verità ormai ex, ci provò presentando una lista propria insieme a uno sconosciuto federalista a nome Umberto Bossi con risultati elettorali disastrosi. Albertini fu quello che ci pensò di più ma vi rinunciò, lasciando molti in gramaglie, i suoi ex assessori in primis. Visto le esperienze precedenti verrebbe voglia di consigliare a Pisapia (se mai gli fosse passato per l’anticamera del cervello): “lascia perdere”.

Ma….1) con l’elezione diretta del sindaco è stata accantonata definitivamente il deterrente maggiore nei confronti del sindaco: la crisi di giunta; 2) le liste civiche e personali un tempo frutto di accorta ingegneria politica guidata dai partiti sono oggi una realtà autonoma non solo numerica ma anche politica; 3) i partiti tradizionali a livello cittadino sono o scomparsi o si sono trasformati in un comitato elettorale dipendente grazie al porcellum in tutto e per tutto dai leader nazionali.

Nel centro sinistra in particolare vi sono diverse aggregazioni: 1) comunisti vari, idv, sel, socialisti, ecologisti, radicali; partiti piccoli anche se di grandi tradizioni spesso in permanente litigio interno e tra di loro, privi di forti leadership e privi se presi singolarmente di grandi chances elettorali (a legge elettorale vigente); 2) svariati comitati più o meno spontanei in genere protestanti contro qualcosa; 3) un vasto numero di club, circoli, associazioni che hanno come unico momento unificante l’antiberlusconismo ma che al momento del voto sono border line con l’astensione; 4) i grillini, una realtà fatta principalmente da elettori che non vogliono scegliere nell’ambito delle liste tradizionali. Singolarmente presi questi pezzi sono organizzativamente ed elettoralmente deboli ma tutti insieme hanno un peso determinante, superiore al 20%

Poi c’è il PD. Un partito ancora diviso tra ex qualche cosa, che ha ereditato dalla DC e dal PCI milanese la profonda incapacità di esprimere leaders nazionali, tant’è che il più rappresentativo fino a ieri era Penati, che al di là delle disavventure attuali non sembrava comunque un grande statista o un fine intellettuale. Un partito che non riesce a proporre una leadership credibile neanche attraverso quel bagno di umiltà e di rigenerazione che sono le primarie, dove anzi il suo candidato viene palesemente osteggiato da parte consistente dei suoi elettori e militanti. Un partito che della tradizionale capacità organizzativa dei comunisti non ha più molto e anzi in termini di capacità di organizzare le preferenze sembra dipendere sempre di più dalle parrocchie.

Insomma un partito contenitore dove si può trovare di tutto e dove tutti possono trovare casa, un partito strumento dove si sale e si scende, un partito elettorale nel senso nobile del termine, un partito che per alcuni suoi leader o aspiranti tali è da rifondare o da rigenerare ogni fine settimana. Nessuno di questi giudizi è di per sé negativo: i Democratici statunitensi sono più o meno la stessa cosa. Questo significa però che nel milanese (altrove la storia è diversa) la tradizionale barriera al partito del sindaco realizzata dai partiti tradizionali è debole per non dire debolissima.

Pisapia può quindi per la prima volta realizzare un partito del sindaco? Federare tutte le componenti di quel popolo arancione che riempì piazza del Duomo? Realizzare quel mitico “nuovo soggetto politico” di cui si favella da decenni? Tecnicamente si, mai le circostanze furono più favorevoli, (è circondato anche da seri professionisti della politica che hanno fatto di una avventura rischiosa il più positivo risultato per la sinistra dell’ultimo ventennio) e deve vedersela con concorrenti che ha già battuto in scioltezza.

La domanda però è: perché farlo? Per eleggere un pugno di deputati amici? Per favorire la leadership di uno o l’altro dei contendenti nazionali? Per candidarsi lui stesso? Per esportare l’esperienza dell’alleanza e del programma innanzitutto in regione (dove si voterà sicuramente prima della scadenza naturale) e/o a Roma? Ai più solo l’ultima ragione interessa ma basterebbe e avanzerebbe.

 

Walter Marossi



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