20 settembre 2011

CRISI: È IL MOMENTO DEL TERZO SETTORE


Ferragosto 2011, una estate catastrofica in termini economici, finanziari e politici, durante la quale abbiamo assistito nelle ultime sei settimane alla “proclamazione” di ben tre manovre finanziarie, di cui l’ultima emanata e già annullata dalle diatribe nella maggioranza che ci governa. Una maggioranza divisa capeggiata da un premier che dopo aver per anni promesso di “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, non vuol passare per colui che ha tradito i suoi elettori, a costo di mettere in serio pericolo il Paese Italia. Un governo irrealmente ottimista e vacanziero che solo dietro le sollecitazioni delle “parti sociali”, degli economisti Monti, Draghi e della BCE ha faticosamente preso coscienza della tragica realtà nostra e internazionale.

Un governo che di fronte all’esigenza di equilibrare gli interventi economici in termini di rigore, sviluppo ed equità ha solo privilegiato i tagli di spesa lineari che colpiscono indiscriminatamente tutti i cittadini, senza alcuna attenzione alla capacità contributiva di ognuno. Compresi i tagli alle deduzioni e detrazioni fiscali, intervenendo sulla “carne viva” delle famiglie (colpendo sanità, carichi famigliari, istruzione, ecc.) e che indeboliscono le associazioni del non-profit decurtando i benefici a favore di quanti le sostengono con iniziative di beneficenza. Sono inoltre particolarmente preoccupato dal progettato azzeramento (20 miliardi di euro) dell’assistenza che distruggerebbe il già debole e zoppicante Welfare italiano.

La crisi profonda del nostro Paese non è solo economica, ma anche culturale. Una cultura che per anni ha vissuto sullo slogan “Meno Stato, più mercato”, “piccolo è bello”, “fai da te”, ecc. irridendo i valori della solidarietà ed esaltando il consumismo e la cultura dell’avidità. Una cultura che con i tagli governativi sopra esposti, dimostra in maniera palese come in Italia lo Stato Sociale è sempre più visto come uno spreco, un onere in quanto pensato in chiave essenzialmente assistenziale, anziché essere percepito come risorsa per tutta la comunità, un investimento capace di mettere in attività le persone.

In questa logica, come afferma Stefano Zamagni (Presidente dell’Agenzia per le ONLUS) in una intervista del giugno scorso: “Abbiamo due sistemi economici del Welfare – State, uno di matrice inglese e l’altro americano. Il sistema dello “Stato benevolo”. C’è il mercato che produce con efficienza e lo Stato che ridistribuisce secondo equità quanto il mercato ha prodotto. Se si elimina la redistribuzione ecco il modello “capitalismo caritatevole”. Il mercato è la leva del sistema, e deve essere lasciato libero senza intralci, come insegna il neoliberismo. In questo modo il mercato produce ricchezza, e i “ricchi” fanno la “carità” ai poveri, “utilizzando” la società civile e le sue organizzazioni (le Charities e le Foundations).

Lo Stato Sociale è un sacrosanto diritto di cittadinanza, non può essere legato esclusivamente all’andamento del mercato. Assistiamo sempre più preoccupati alle difficoltà se non all’inefficienza dello Stato a svolgere la propria funzione a favore del bene-essere dei propri cittadini e nello stesso tempo alle criticità del mercato che viviamo giorno dopo giorno, dove la ricerca estrema del profitto disumanizza la società.

Per salvare il Welfare – State si deve rompere il dualismo Stato – mercato inserendo a pieno titolo il Terzo Settore e la Società Civile, cioè il volontariato che mosso dalla cultura del dono e della gratuità si è sviluppato negli anni realizzando una miriade di associazioni non-profit e pro-profit tipo: Cooperative di consumo e produzione, Cooperative sociali, banche Cooperative, Ong, Onlus, istituti di micro-finanza, organizzazione di commercio equo e solidale, ecc..

Un settore di tutto rispetto (dati del “Libro Bianco del Terzo Settore” presentato il 13/6/2011) che si stima arrivi a sfiorare il 5% del PIL, occupando in forma retribuita 750.000 persone e 3.300.000 come volontari. In effetti il non-profit con 4 milioni di operatori pari al 18% del totale dei lavoratori italiani rappresenta il più grande “contenitore sociale” in Italia, ma anche il più qualificato, costituito per il 60% da donne, per il 72% da lavoratori laureati con età media attorno ai 40 anni. Dati ISTAT indicano in 221.000 le associazioni non profit che restituiscono a circa 20 milioni di italiani servizi di assistenza, di cura alla persona, all’ambiente e ai beni culturali.

E’ necessario che lo Stato finalmente riconosca la funzione pubblica e di vera autonomia dei soggetti sociali, non considerandoli più come supplenti o sostituti in quei settori dove esistono esigenze economiche di bilancio, una “buona cenerentola” per risparmiare sui servizi. Una cosa è certa, non è tagliando le spese sociali che si uscirà dalla crisi economica, anzi questo metodo provocherà inevitabilmente aspri conflitti sociali, è necessario invece risparmiare attraverso l’efficienza dei servizi, attuando appieno le capacità conoscitive, progettuali e di relazione del Terzo Settore, riconoscendogli piena autonomia, sostegno e rappresentanza.

Al riguardo condivido pienamente le osservazioni della dottoressa Natalia Montinari dell’Università di Padova in un intervento dello scorso anno: “Assistiamo ad una crisi irreversibile del modello di Welfare tradizionale certamente legata a fattori di natura quantitativa (riduzione delle risorse), ma dovuta in special modo a ragioni di natura qualitativa (emergere di nuove categorie di bisogni legati alla sfera relazionale della persona). L’esigenza di contenimento della spesa appare irrinunciabile dopo anni in cui i livelli di spesa pubblica hanno raggiunto percentuali sproporzionate rispetto all’efficienza qualitativa dei servizi.

A ciò si aggiunga che il panorama dei bisogni sociali di Welfare, oggigiorno, si compone di bisogni sociali sempre più complessi e più vasti che richiedono un cambiamento qualitativo nell’allocazione delle risorse e una certa dose di innovazione sociale relativa al contenuto del servizio offerto e alla modalità di erogazione”. Attività da attribuire al Terzo Settore il più vicino alle persone specialmente a livello locale. Faccio qui un invito pressante, a quanti hanno responsabilità politiche a tutti i livelli, affinché operino al fine di attuare da subito la legge 328 del 2000 sulla sussidiarietà, una vera riforma che non aspetta altro che di essere realizzata.

 

Giovanni Agnesi


 



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