20 settembre 2011

musica


UN OTTIMO INIZIO DI STAGIONE

Il ciclone MiTo, come previsto, ha travolto ogni cosa e ha trascinato la città in un vortice di musica. Non solo musica e non solo classica. Ma noi ci occupiamo di quella e dunque registriamo, nella sola prima metà del mese, l’inaugurazione con D. Barenboim e la Filarmonica della Scala, i recital di L. Cascioli, A. Gallo, C. Opalio, R. Cominati, R. Giordano, A. Nosé al Teatro Litta, D. Atherton con la London Sinfonietta al Dal Verme, Y. Temirkanov per due volte con la Filarmonica di San Pietroburgo e poi Jarvi con la Baltic Youth Philarmonic alla sala Verdi del Conservatorio, B. Petrushansky al Piccolo Teatro, Giaccaglia-Rosini-Laganà con i Sentieri Selvaggi al Museo del Novecento, il Quartetto di Cremona al San Fedele, E. C. Vianelli all’organo del Duomo, Latham König con F. Say e la Prague Philarmonia e poi ancora Z. Mehta con la Israel Philarmonic Orchestra agli Arcimboldi, L. Pfaff con l’orchestra dei Pomeriggi Musicali alla Pirelli di Settimo Milanese, P. da Col con l’Odhecaton Ensemble in Sant’Ambrogio, l’Open Trios ancora al Conservatorio, F. Ferri e A. C. Antonacci con l’Accademia degli Astrusi in Sant’Angelo, D. Kawka con la Filarmonica ‘900 all’Auditorium, A. Brendel all’Elfo Puccini, C. Cavina con La Venexiana al Parenti e infine M. Campanella con l’Orchestra Giovanile Cherubini alla Bocconi.

Tutto questo – e molto altro, un po’ meno “classico” ma non meno attraente e impegnativo – si è svolto fra il 4 e il 15 settembre, dunque in soli dodici giorni, ma il programma del Festival andrà avanti fino al 22 settembre, per altri sette giorni. Una vera e propria “occupazione” di ogni spazio disponibile in città, con una quantità di artisti a dir poco impressionante (fra orchestre, ensemble e solisti sono oltre mille musicisti!). C’è da chiedersi se questo enorme sforzo organizzativo e finanziario abbia un ritorno altrettanto significativo sul piano dell’immagine della città e sulla sua crescita culturale; potremo porre Milano, grazie a MiTo, sullo stesso piano di Lucerna o di Salisburgo? Mah…

Fra tutti questi concerti, molti dei quali di superba qualità, ci ha colpito in modo particolare quello interamente dedicato alle opere per pianoforte e orchestra di Liszt eseguite e dirette da Michele Campanella nella nuova Aula Magna dell’Università Bocconi, progettata dalle due giovani e brave architette inglesi Shelley McNamara e Yvonne Farell e ancora poco nota ai milanesi perché inaugurata solo tre anni fa.

In programma la “Fantasia su temi popolari ungheresi” e i due Concerti (numero 1 in mi bemolle maggiore e numero 2 in la maggiore) che – con la Totentanz – rappresentano praticamente la totalità delle opere lisztiane per pianoforte e orchestra. Si tratta di pezzi – come sempre in Liszt – di grande impegno tecnico che normalmente vengono eseguiti dai pianisti uno solo alla volta e senza l’onere della direzione dell’orchestra (è il caso dello stesso Campanella che fra pochi giorni a Chicago, con la splendida Orchestra Sinfonica che porta il nome di quella città, eseguirà con la direzione di Riccardo Muti solo il Concerto numero 2).

Inoltre dirigere una orchestra di giovani – che, come nel caso della Cherubini, si riuniscono solo per la tournée estiva – è ben più impegnativo e complesso che destreggiarsi con orchestre stabili e consolidate da anni. E nonostante tutto ciò, sprigionando un’energia che dal palco scendeva in platea e si trasmetteva a tutto il pubblico, Campanella ha restituito una esecuzione limpidissima, esemplare per raffinatezza e per profondità di pensiero, lontana mille miglia dal tradizionale approccio virtuosistico, frutto di un’intera vita dedicata in grandissima parte a questo autore (è di pochi mesi l’uscita in libreria del suo volume “Il mio Liszt, considerazioni di un interprete”, per i tipi di Bompiani, che affronta una serie di problemi interpretativi lisztiani mai risolti prima d’ora). Vorremmo osservare con un po’ di amarezza che di questo evento nessun giornale si è occupato, e vorremmo capire perché questo nostro pianista – uno dei grandi italiani che riscuote ovunque enormi successi – sia così poco amato da Milano, diremmo addirittura ignorato, nonostante le dedichi, in quelle rare occasioni in cui viene invitato, concerti appassionati e generosi come quest’ultimo.

Intanto è anche cominciata, alla grande, la stagione sinfonica dell’Auditorium, con un roboante concerto affidato alla sua direttrice stabile Zhang Xian che ha proposto in apertura il più amato dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven – il famosissimo quinto e ultimo in mi bemolle maggiore opera 73 detto l’Imperatore – con un Lars Vogt tecnicamente ineccepibile ma molto teso e in un conflitto endemico con il suo strumento. Nella seconda parte la straordinaria Sinfonia Fantastica opera 14, scritta solo vent’anni più tardi da un Berlioz ventisettenne, autodidatta, visionario, misconosciuto dai suoi contemporanei, e tuttavia ancora oggi di una freschezza incredibile. Molto brava questa minuta signora cinese, che tre anni fa debuttò sul podio della Verdi con un pancione di sette mesi e che oggi, non ancora quarantenne, è una delle più celebri direttrici d’orchestra al mondo: della Sinfonia di Berlioz – diretta a memoria nonostante la ben nota complessità – ha offerto una interpretazione perfetta, molto controllata ma anche incisiva e luminosa.

 

Musica per una settimana

Concluso il MI.TO. e non ancora iniziate le altre stagioni, ci consola l’Auditorium con il secondo concerto della stagione che si terrà il 22, il 23 e il 25 settembre; sarà diretto anch’esso da Xian Zhang e interamente dedicato a Pëtr Il’ič
Čajkowskij con due suoi grandi capolavori: il primo Concerto per pianoforte e orchestra in si bemolle maggiore opera 23, affidato a Simone Pedroni, e la meravigliosa quarta Sinfonia in fa minore opera 36.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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