13 settembre 2011

RAPPRESENTANZA E CORRUZIONE: CHE FARE?


La corruzione della politica è figlia inevitabile della rappresentanza, prendiamone atto. La corruzione è uso di poteri pubblici per fini privati. Quando avviene? Quando chi ha ricevuto da altri il potere pubblico, pensa che sia cosa sua. Nel momento in cui deleghiamo qualcuno alla cura dei nostri diritti, si crea il contesto che può partorire comportamenti ai nostri danni. Un contesto tanto più ampio e lesivo quanto più forti sono i poteri concessi, più ampia la sfera discrezionale, più esteso il campo in cui si esplicano, meno forte l’etica pubblica e meno forte, attenta e sistematica, la pressione del rappresentato sul rappresentante.

Senza rappresentanza non ci sarebbe corruzione, ma la rappresentanza, si dice, non è evitabile. Nonostante l’esperienza storica, l’istituto della rappresentanza detta ancora legge in politica, dove si assume per definizione che essa sola possa garantire la necessaria capacità tecnica di governo da parte di elitès professionalmente preparate alla mediazione degli interessi, limitandosi il popolo a legittimarle una tantum con l’atto elettivo. Dopodiché, un motto su tutti “Non disturbate il manovratore!!!”, e soprattutto cooptazione dei rappresentanti eletti nella gestione delle risorse di potere.

Evidentemente, con tutti i suoi limiti, siamo di fronte ad uno schema politico ancora in grado di offrire servigi, ma fino a quando e a che prezzo? A quali condizioni si può ancora accettare la sua prevalenza? E soprattutto, come limitare diffusione ed effetti della sua postilla velenosa, la corruzione? Possibile che sul versante opposto vi sia solo lo scomposto assemblearismo dove la volontà popolare si esprime sì, ma nella tragica forma del dilemma Cristo – Barabba? Possiamo invece pensare a uno schema politico rinnovato in cui le ragioni della rappresentanza siano integrate da forme crescenti di partecipazione diretta e di controllo popolare? E possiamo articolare questa direzione di ricerca e innovazione alla forma partito e alla forma più ampia con cui può esplicarsi un aggiornato concetto di cittadinanza?

Stiamo alle cose più vicine a noi e ahimè più scottanti. Lasciamo ovviamente perdere il centrodestra, dove tuttora prevalgono populismo sfrenato, espropriazione sistematica del cittadino, monopolio dei mezzi di comunicazione, in tal misura che si può ben dire che siamo in presenza di un vulnus sostanziale del meccanismo democratico. Passiamo alla sinistra e al Partito Democratico, soprattutto, non perché a esso vogliamo male, ma al contrario perché gli vogliamo molto più bene che ad altre formazioni, dove peraltro il costume cesaristico scalza progressivamente un meccanismo partecipativo più articolato ed effettivamente capace di produrre rappresentanza “condita” da capacità di controllo.

Dunque il PD. Chiediamoci se, oggi, la sua modalità di selezione dei rappresentanti sia adeguata a garantire la riduzione del rischio della corruzione, rafforzando con la forza dei meccanismi istituzionali la dote etica di ciascuno. Chiediamocelo, e rispondiamo esaminando come, quando, con quali check and balance, la rappresentanza nel PD limita la germinazione di comportamenti corrotti o semplicemente inadeguati a rappresentare gli interessi dei rappresentati. In breve, il PD ci appare come una macedonia di principi e procedure contraddittorie: da un lato l’innovazione delle primarie, con il ricorso sistematico al Principe elettore. Dall’altra, meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti del tutto sconnessi dalla pratica dei circoli e dalla rappresentanza dei territori e fondati sulla cooptazione.

Fin dalla loro cellula elementare (il circolo), i dirigenti sono determinati secondo il principio di fedeltà al ras della corrente, che, via via discendendo giù per li rami regionali, provinciali e cittadini, stabilisce sue liste bloccate, negando il diritto di scelta dell’iscritto e dell’elettore e con questo, radicalmente, l’effettiva rappresentanza. Gli eletti del PD son uomini suoi! Mentre si grida al porcellum, se ne istituisce una versione peggiorativa interna per scegliere i dirigenti del partito!! E’ un’enormità tale che perfino Bersani se ne accorge, e ipotizza il ritorno a meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti espressi dai territori. Da un lato, gruppi autoreferenziali, poco o nulla legittimati, rinchiusi in una logica da guerra per bande, sconnessi da un’effettiva rappresentanza degli interessi sociali di cui dovrebbero invece essere custodi, dall’altro porte aperte a chi vuole fare politica senza iscriversi a questa o quella corrente, stando sui contenuti (i fondamentali) e lasciando sull’uscio le logiche di appartenenza.

Non ci vuole molto a capire come questa cultura politica vertical – correntizia produca autoreferenzialità, scollegamento sistematico tra base e vertici, selezionando non per meriti e per autorevolezza ma per vicinanza e piaggeria, generando infine il terreno di cultura di comportamenti corrotti, perché slegati dalla rappresentanza degli interessi. Allora tutti i dirigenti del PD sono corrotti o corruttibili? No, ma solo, e non è poco, che si creano le premesse perché siano più esposti alla condizione di cooptazione serva che è la via maestra per la caduta etica. Ma la questione non è solo targata PD e chi ci marcia si illude di non ritrovarsi a fare i conti con la sostanza del problema, che è sempre ricordiamolo una questione di sistema.

La vittoria di Pisapia è stata accompagnata da una forte tensione partecipativa, ma ora che si “è preso il potere” si pone il sempiterno problema dei vincitori di sinistra: esercitare il potere “nel nome di” o “assieme ai” cittadini e con quali forme. Non basta, dovremmo saperlo, esercitare il potere con buone intenzioni, poiché di queste è sempre lastricata la strada per l’inferno, da Robespierre in poi, ed è sempre diversa la visione del rappresentato e del rappresentante. Occorre che il potere sia condiviso il più possibile e con forme adeguate al contesto civile, all’enorme serbatoio di competenze, conoscenze e soggettività espressi dalla città.

Non basta azzerare il vertice ATM (mossa eccellente), non basta metterci degli amministratori onesti e capaci (che non è neppure poco), ma occorrono forme di partecipazione, elaborazione e condivisione delle decisioni, che pongano il cittadino nelle condizioni di esprimere bisogni, di orientare politiche, di strutturare scelte. In caso contrario, il gioco sarà sempre lo stesso: quante rivoluzioni e speranze, ben altra cosa che la timida primavera arancione, si sono mangiate con la separazione dei dirigenti dal popolo la stessa possibilità di cambiamento!

Avremmo voluto parlare di Penati, e infine diamocene atto ne abbiamo pur parlato. Non come vorrebbero tanti, dentro e fuori il PD, sollevando la sua vicenda personale per regolare vecchi e nuovi conti, ma per collocarla in un contesto di riflessione che superi i contorni di un caso individuale e si sforzi di collocare diagnosi e terapia su di un crinale più ampio, capace di dare, con le spiegazioni, anche le speranze.

 

Giuseppe Ucciero



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