13 settembre 2011

cinema



TERRAFERMA

Emanuele Crialese [Italia/Francia, 2011, 88′]

Con: Filippo Pucillo, Mimmo Cuticchio, Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello, Timnit T.

«Io cristiani a mare unn’aiu lassati mai», dice nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio) difendendo la legge del mare. Il vecchio pescatore è ancorato alla tradizione e alla sua storia, e mai le rinnegherebbe. Terraferma [Italia/Francia, 2011, 88′] di Emanuele Crialese indugia davanti a questo bivio: tradizione o modernità. Rallenta anche la telecamera quando si sofferma sul mare e sulla terra, li inquadra da vicino, li scruta fino a penetrarli sottopelle; come se fossero vivi, come se fossero morti. E a essere sospeso tra due forze opposte è anche il giovane Filippo (Filippo Pucillo), da una parte influenzato dalla saggezza di nonno Ernesto, dall’altra provocato dai vaneggiamenti effimeri dello zio (Beppe Fiorello), che pur di racimolare qualche euro vende l’anima al turismo sfrenato.

Crialese racconta di un’isola siciliana; una terra “ferma”, appunto, anch’essa in stallo tra un passato quasi mitico e un desiderio di novità. Come Giulietta (Donatella Finocchiaro), mamma di Filippo, che serba in cuore il miraggio di un nuovo mondo. Desiderio di un Nuovomondo [Francia/Italia, 2006, 112′] osservato da Crialese qualche anno fa – era il 2006 – raccontando del sogno americano dei migranti italiani di inizio secolo scorso. Ora, quei barconi in mezzo al mare sono colmi di africani, uomini disposti a morire tentando di raggiungere il loro sogno: la Terraferma. «Questi che partono sono come semi per terre più fertile», si diceva allora per rincuorarsi. Allora come ora: tentativo di consolazione che nasconde l’incertezza di un viaggio disperato; le paure di un paese forse ostile.

Più che ostile, il paese è pauroso. Fermo. Le leggi che lo governano sbattono contro il codice del mare che impone a ogni buon marinaio di tendere la mano al bisognoso. Ed è questa la falla che mette in discussione l’equilibrio: la mano di nonno Ernesto che raccoglie quei clandestini risucchiati dal mare. Contro la legge, contro la volontà di una terra che è paralizzata dalla paura del nuovo, del diverso. Il terrore è reso bene dal regista quando Filippo, in navigazione notturna, si accorge di quei corpi in mare che, quasi all’improvviso, nuotano verso la sua barca, come fossero zombie (luci, ombre e sguardi ricordano un po’ gli zombie di Romero o Carpenter).

È Crialese stesso a rivelare la sua intenzione: «negli ultimi anni ho messo in dubbio la nostra presunta civiltà», dice a Repubblica [Domenica, 11 settembre 2011]. Ma l’esperienza straziante dell’abbandonare il proprio paese per rimanere alla deriva in acque sconosciute, non è comprensibile soltanto leggendola sul giornale o sentendone parlare in televisione. È necessario guardare negli occhi; proprio come quando Giulietta si perde nello sguardo di Sara (Timnit T., che davvero ha affrontato la migrazione dalle coste africane), e raggiunge quel livello di empatia tale da portare a commozione lei e noi in sala.

Forse allora, quella Terraferma siamo un po’ tutti noi, con le nostre paure e la nostra falsa coscienza. Bravi a predicare parole di solidarietà, ma ancora più bravi a ballare Maracaibo godendo degli sfarzi e chiudendo gli occhi, stando ben attenti a non incrociare quello sguardo che potrebbe realmente commuoverci.

Ma intanto la mano di nonno Ernesto si tende, Crialese lascia il timone a Filippo che – attraversando il mare – condivide il sogno di Sara. Fine. Titoli di coda. Noi dovremmo decidere cosa ci sarà di qua ad attenderli: un nuovomondo o una terraferma?

Paolo Schipani

In sala: Apollo SpazioCinema, Plinius multisala, The Space Cinema Rozzano, UCI Cinemas Bicocca, Skyline Multiplex, Le Giraffe Multisala, UCI Cinemas Pioltello, The Space Cinema Le Torri Bianche, Arcadia Bellinzago Lombardo, Nuovo Cinema Gloria.

 

THIS IS ENGLAND

di Shane Meadows [Gran Bretagna, 2006, 101′]

con Thomas Turgoose, Stephen Graham, Jo Hartley, Andrew Shim

Questa é l’Inghilterra, ci anticipa nel titolo Shane Meadows. È l’Inghilterra degli anni ottanta, delle politiche impopolari della Thatcher, del matrimonio sfarzoso di Carlo e Diana, degli scioperi, delle proteste, delle cariche della polizia e della guerra nelle Falkland. È proprio nel conflitto su queste isole lontane migliaia di chilometri dalla madre patria che Shaun, ragazzino dodicenne, ha perso il padre soldato. L’adolescenza è il periodo più problematico e il pregiudizio altrui ci colpisce spesso con violenza. Shaun ha bisogno di una figura paterna, di un modello di comportamento e, al tempo stesso, di una guida che gli mostri come schivare le meschinità e i giudizi degli altri.

Un gruppo di skinhead, accogliendolo per scherzo come mascotte, prova a raccogliere la sfida. Il ragazzino acquista rapidamente sicurezza nelle bravate che riempiono i pomeriggi altrimenti desolanti. Quello che sembra un gioco si trasforma in qualcosa di serio con l’uscita dal carcere di Combo, nuovo capo della banda. Shaun gli resta vicino perché in questo modo è convinto di colpire il sistema, reo di avergli portato via suo padre. La spensieratezza e le fughe goliardiche dal paese lasciano spazio alle riunioni politiche, al nazionalismo, al razzismo manifestato prima a parole contro ragazzi musulmani poi messo in pratica rubando e devastando il negozio di un pakistano.

Combo ha capito che gli emarginati e i repressi sono disposti a tutto pur di appartenere al branco, la protezione che ne ricavano li spinge a una accondiscendenza incondizionata. I suoi seguaci, compreso Shaun, hanno perso il potere di scelta e di opinione. Come in ogni dittatura non si può che seguire il proprio leader fino al delirio.

This is England si inserisce nel gruppo di film che ha trattato in questi ultimi anni il tema del neonazismo. I più noti sono American History X di Tony Kaye, The Believer di Henry Bean e L’Onda di Dennis Gansel. La pellicola di Shane Meadows ha il merito, rispetto alle altre opere, di scavare più profondamente negli animi dei personaggi. L’azione non è frenetica, non c’è un eccessivo ricorso alla violenza per mostrarci l’estremizzazione delle idee dei protagonisti, c’è però una fine sceneggiatura che grazie a fitti e intensi dialoghi ci porta a comprendere le dinamiche sociali e le pericolose involuzioni psicologiche.

È grandioso il lavoro svolto dal regista e da Thomas Turgoose. Il giovane attore rende coinvolgente e convincente la più difficile delle metamorfosi a cui è sottoposto Shaun, il suo personaggio, che, in poche settimane, da bambino è costretto a diventare adulto.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Cinema Arlecchino

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org



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