6 settembre 2011

L’UMILTÀ DEI CORRUTTORI


Che cosa ci fa dire di “essere di sinistra”? La nostra formazione può essere iniziata dalla opposizione a una condizione di oppressione vissuta o condivisa o sentita come tale e combattuta. Oppure dalle parole o dall’esempio di figure di riferimento (anche familiari…). Oppure il condividere una spinta generazionale (“l’aria che tira”) a innovare, a ribellarsi, a scandalizzarsi e indignarsi per le ingiustizie e le diseguaglianze sentendosi cosi parte (“compagno”) di un movimento più ampio. Oppure come estensione del proprio criterio morale e religioso dalla sfera privata all’intera vita sociale, come ideale di umanizzazione (o cristianizzazione…) della civis. Oppure tutte queste cose insieme e altre.

E all’inizio (da giovani) con una forte passione e “militanza”, spesso con l’idea che la rivoluzione sia a portata di mano, e solo la pigrizia dei “vecchi” più ancora che la durezza del nemico, siano l’ostacolo. Ma come in tutte le emozioni c’è un rapporto inversamente proporzionale tra l’intensità e la durata. Viene poi il tempo in cui l’ideale diviene quotidianità, tempi lunghi. Allora si converte in esperienza professionale, in pratica che può tenere dentro più o meno certi valori, può essere “micropolitica”, oppure assenza di politica. La politica si riduce a opinione, a lettura di giornali, al voto ogni tanto. Ma per chi continua a fare “politica professionale” negli anni “di bassa” (…e a Milano dal ’92 al 2010 sono stati “anni di bassa”…) il fine, l’ideale diviene un mezzo, un brand si direbbe oggi. L’identità di un partito e di una politica è più il posizionamento sul mercato, che non la pratica coerente della ricerca di un bene comune.

Per chi viene da una tradizione comunista (mai seriamente revisionata), di partito “unico” e “centralismo democratico”, la consuetudine con un fideismo partitico (che sembra riprendere il motto ecclesiastico “nulla salus, nisi ecclesia” in “senza partito, nessuna salvezza”…) e con la sostituzione del partito stesso e dei suoi interessi alla causa ideale, porta anche a una abdicazione della responsabilità personale. Chi “fa politica” scopre di non poterla fare “da solo”, deve fare gruppo, associarsi a una corrente. E una corrente ha bisogno di spazio, di potere, di seguito, di fedeltà… chi esprime posizioni critiche è un “rompic..”, un inaffidabile, uno che disturba il manovratore… di qui all’assuefazione ai gruppi dominanti il passo è breve.

Dunque, di fronte all’emergere di una probabile “questione morale” nel PD, il segretario Bersani ha precisato “non siamo diversi antropologicamente ma lo siamo politicamente”. Giusto! …Ma forse non sufficiente…. Si può negare un’origine morale nel divenire “di sinistra”? Si può negare una certa presunzione “moralista” della sinistra nel giudicare il consumismo, il capitalismo, il berlusconismo, la società liquida della spettacolarizzazione, e via via tutte le pratiche ritenute “di destra” e “conformiste”?

E allora forse un po’ di questa presunzione andrebbe abbandonata per cercare di più di capire come le “umili” attrattive del male corruttivo prendano piede anche tra noi (prendo a prestito il termine da “L’umiltà del male” di Franco Cassano, una lettura consigliabile a tutta la sinistra…). Intanto andrebbe tolta tutta quella nebbia che staziona intorno a finanziamenti, lobby, scambio tra “economia pubblica” e partiti. Se nel ’92 i partiti potevano lamentare leggi vecchie che non prevedevano i costi della politica, oggi tra finanziamenti alla stampa di partito, rimborsi elettorali regionali e nazionali, …i partiti (anche quelli che non esistono più) sono sommersi di soldi. E tutto questo mentre c’è crisi e a tutti si chiedono sacrifici!!

In secondo luogo i partiti (anche quello che ha voluto chiamarsi democratico) sono sempre più autocratici, leaderistici, mancano di reale democrazia interna. In questo quadro è facile per i pochi che hanno ruoli istituzionali (presidenti, sindaci, assessori, deputati,…) esercitare un ruolo di comando con pochi elementi di controllo. Questi ruoli nel ventennio “di bassa” milanese citato sono stati veramente pochissimi, ma ora potrebbero essere di più, da cui un ulteriore motivo ad attrezzarsi con vaccini. Diverse potrebbero essere le misure ma le riassumo in una: vera democrazia, vera contendibilità del potere politico, battaglia trasparente sulle idee e i comportamenti.

Faccio, provocatoriamente ma non troppo, un esempio/metafora. Supponiamo che il partito sia l’equivalente di un’industria culturale per esempio quella della moda. Un’industria culturale produce beni materiali e immateriali, comunica con pubblici diversi, propone modelli di comportamento e atteggiamento. Ogni marchio, ogni “brand” ha una linea di sviluppo che ricorda i compiti di un partito, deve confermare una identità e insieme, ogni stagione, innovare.

Al prodotto finale ogni stagione contribuisce un lavoro di equipe straordinario: dal creativo stilista, alla scelta dei materiali, dalle soluzioni tecniche al confronto con i punti vendita, dalle foto alle sfilate, dai giornalisti di moda alla campagna di comunicazione.

Ma qual è il meccanismo di produzione delle idee/pratiche di un partito democratico? Ci sono realtà territoriali (punti vendita?): ma quanto interagiscono nella valutazione delle nuove idee? Ci sono consulenti comunicativi: ma con chi si confrontano? C’è un gruppo dirigente che fa le scelte, a volte sorretto da commissioni settoriali che esprimono pareri tecnici, ma sembra immutabile: indipendentemente dai suoi risultati si autoperpetua.

Ecco forse abbandonare la presunzione di superiorità (politica o morale che sia), mettere in atto meccanismi di trasparenza amministrativa, attuare meccanismi partecipativi e democratici di elaborazione delle scelte, applicare criteri di responsabilità personale e politica e prevedere rotazione dei ruoli possono essere vaccini che riducono il fascino e il successo dell’umiltà dei corruttori. Insomma chi si iscrive a un partito non può essere “figlio di una libertà minore”. Non può avere solo il diritto di aderire e mai di poter proporre, quello di non avere e quindi non poter chiedere conto della responsabilità, quello di poter scegliere solo tra essere servitore o essere ai margini…

 

Pier Vito Antoniazzi



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