18 febbraio 2009

UN NUOVO TUNNEL


Aprendo uno dei quotidiani cittadini l’occhio mi cade su un nuovo grandioso progetto con tanto di mappa: un tunnel sotterraneo stradale con più uscite in grado di attraversare in diagonale l’intera città, da Linate fino ai nuovi terreni dove dovrebbe sorgere l’Expo. Ricompare dal cilindro del prestigiatore un vecchio coniglio di qualche anno fa che speravamo dimenticato, oggi con qualche aggiunta.

Molte domande a questo punto.

Una prima riguarda Milano in generale e la sua storia perché i progetti che la riguardano sono quasi sempre pensati in grande ma realizzati (quando questo accade) in piccolo o in minimo. E’ un vizio storico: da quando agli inizi dell’Ottocento l’architetto Antolini inventava la vasta, pubblica e aulica piazza del Castello, luogo d’incontri e celebrazioni cittadine, e il progetto è stato scimmiottato poi anni dopo dai ricchi borghesi per le loro abitazioni private, ovviamente ridotta per respiro culturale, scopi e funzioni, ribattezandolo pomposamente Foro Bonaparte.

Oggi siamo all’ennesima fantasia progettuale: il tunnel che non mi pare, tra l’altro, faccia parte delle ipotesi accolte sinora nel Piano di Governo del Territorio per andare ad aggiungersi alle improbabili e improponibili vie d’acqua e vie di terra che i promotori dell’Expo stanno sbandierando a tutti i venti.

Possibile che all’ultimo minuto si aggiunga anche questa al già vasto programma di opere infrastrutturali? Con quali risorse finanziarie? Ci culliamo ancora la “finanza di progetto” all’italiana? Un tunnel a pedaggio che i privati costruiscono con i soldi garantiti dal pubblico e incassando i ricavi? C’è già la lista dei candidati eccellenti?

Proviamo comunque a riflettere.

Il tunnel parte da Linate, ossia tra un aeroporto il cui destino è nelle mani di Dio, o meglio di CAI, e giunge fino all’Expo, il cui futuro è invece nelle mani di Tremonti. Ossia parte dal “forse nulla” e giunge al “probabilmente nulla”.

L’idea prende corpo in un particolare momento storico ed economico, dove in tutto il mondo si è costretti a ripensare alle modalità di trasporto urbano e non, mentre tutti sembrano volersi mettere a calcolare i costi e i danni planetari derivati dalle quotidiane immissioni di Co2 nell’atmosfera terrestre. Ecco, come del resto stanno anche pensando nell’ara delle ex-Varesine o al Portello, che invece Milano s’inventa una super autostrada urbana, dedicata ovviamente al trasporto privato su gomma come se i gas di scarico se li mangiassero le viscere della terra.

Questa superautostrada prevede delle uscite intermedie, collocate abbastanza casualmente sul suo inflessibile tracciato diagonale: in dieci o più punti della cosiddetta città “consolidata” verranno a trovarsi nel bel mezzo delle nostre strade vere e proprie uscite autostradali, con rampe di accesso e uscita, oltre naturalmente alle torrette per lo sfiato dei gas di scarico. Dove il progettista pensi di trovare anche solo gli spazi fisici sufficienti per realizzare tutto ciò rimane un mistero e se spera che nessuno dei numerosissimi comitati cittadini, perennemente e giustamente sul piede di guerra di fronte a minimo mutare dei delicati equilibri della città, tacciano di fronte a questo mostro ecologico, pecca se non altro d’ingenuità.

Nelle grandi città americane, dove il problema del traffico su gomma è certamente più grave e sentito che in Italia, centri come Boston hanno scelto di chiudere e riutilizzare alcune delle autostrade più centrali trasformandole in luoghi verdi e di socializzazione riconnettendo così tra loro parti di città prima troncate dalla barriera autostradale.



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