6 settembre 2011

DECENTRAMENTO COMUNALE E MOBILITÀ


Una radicale riforma e potenziamento del decentramento comunale, come sembra essere nei programmi dell’amministrazione Pisapia, può presentare rilevanti benefici anche dal punto di vista della mobilità e dei trasporti, come vedremo. Occorre solo un “caveat” iniziale: occorre che i vincoli alla spesa siano fatti osservare rigidamente, perché si avrà maggiore separazione tra chi gestisce le risorse (il comune), e i potenziali decisori di spesa (gli organi di quartiere), si sa, questo in sé può generare tentazioni.

Parlando ora di mobilità urbana, occorre innanzitutto osservare che gli interventi di “grana fine” sono assai più critici di quanto si pensi, e la scala di quartiere è senz’altro quella più adatta a suggerirli e a controllarne l’esecuzione. Si pensi a titolo di esempio (ma la casistica è molto vasta), alla segnaletica orizzontale, oggi del tutto trascurata. Una efficace segnaletica delle aree di sosta, e delle corsie di marcia, può aumentare di molto la capacità della rete stradale con costi bassissimi (se fatta rispettare con severità “americana”).

La capacità di una rete urbana è infatti proporzionale al deflusso di veicoli ottenibile a ogni ciclo semaforico, e la segnaletica può massimizzare questo deflusso delimitando le corsie di marcia ed evidenziando l’assoluto divieto di sostarvi in prossimità dei semafori. Si ricorda poi, a beneficio di alcuni ambientalisti dilettanti, che fluidificare la circolazione, a traffico dato, diminuisce drasticamente le emissioni, che sono massime con i regimi di “stop and go”. Ma questo, si ripete, è solo un esempio delle molte cose importanti che una logica di “grana fine” può conseguire, anche in termini di arredo urbano e di immagine complessiva della città (che fu definita dall’Economist la “capitale europea della sosta in doppia fila”).

Un altro aspetto importante è quello del trasporto pubblico, cioè della gestione di ATM. Pisapia ha promesso di estenderne i servizi in modo capillare, soprattutto nelle periferie. Ma in un servizio ad alta intensità di lavoro e con altissimi livelli di sussidio come il trasporto pubblico, questo è costosissimo per le esangui casse comunali. Se non si vogliono alzare ulteriormente le tariffe (che pure dopo l’aumento non sono ancora al livello di quelle europee), occorre allora ridurre i costi di produzione del servizio, anche questi molto elevati rispetto al resto d’Europa.

Ovviamente non si può chiedere all’impresa monopolista di “suicidarsi” abbassando spontaneamente i costi: bisogna fare una gara seria, e forse la manovra finanziaria in corso lo consentirà (la “liberista” giunta Moratti ben se ne è guardata, per ragioni di voto di scambio). Si ricorda qui la storia del servizio “radio bus”, che è costato ai contribuenti 124€ per passeggero trasportato, e anche l’odioso episodio dell’extracomunitario escluso da ATM pur avendo i titoli per essere assunto, per chiarire le difficoltà dello “spontaneo” abbattimento dei costi.

E una gara vera richiede lo “spezzatino”, cioè di mettere in gara il maggior numero possibile di lotti. Infatti l’esperienza più di successo di gare nel TPL è stata fatta a Londra, dove sono stati messi in gara 550 lotti separati (cioè piccoli gruppi di linee). Poi i vincitori sono stati meno di una decina. Questa procedura non solo consente l’ingresso di operatori piccoli, spesso più efficienti di quelli grossi e politicamente protetti, ma garantisce anche l’amministrazione: se un vincitore si comporta male, non è puntuale ecc., è semplice sostituirlo. Se si fa un lotto unico, il vero padrone del servizio diventa quel vincitore, e si rischia di passare da un monopolio pubblico a uno privato.

A Milano si potrebbero mettere in gara sei lotti, quanti sono i maggiori depositi attuali di ATM, forse con vincoli specifici che una impresa non possa vincerne più di due, per evitare una “posizione dominante”. Una delle obiezioni (legittime) del sindacato è che la sua forza contrattuale diminuirebbe. Certo, ma così diminuirebbero i meccanismi, citati sopra, di voto di scambio, che sono pervasivi in questo settore. Credo che i lavoratori vadano difesi in modo “orizzontale”, e cominciando da quelli più deboli, che non si trovano certo in questo settore. La protezione “verticale” del lavoro si chiama corporativismo.

Il ruolo dei quartieri in questo modello “a spezzatino” sarebbe ovviamente ottimizzato, sia nel controllo delle prestazioni dei vincitori, che nel dialogo con essi per una migliore calibrazione del servizio rispetto alle esigenze locali. E gli operatori, sapendo di dover affrontare una gara successiva dopo alcuni anni, saranno anche molto solleciti a dare ascolto alle richieste della rappresentanza locale degli utenti, certo molto attenta e informata.

La prospettata liberalizzazione dei taxi aprirebbe ulteriori spazi all’innovazione funzionale dei trasporti collettivi, ma di questo parleremo una prossima volta….

 

Marco Ponti



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