18 febbraio 2009

MILANO ALL’INDICE


Pars destruens

Con la deliberazione n. 53 del 10 dicembre 2008, il Comune di Milano, il Sindaco, la sua maggioranza e l’assessore Masseroli hanno decretato, modificando l’indice territoriale, l’esplosione della città.

Due milioni di abitanti. La massa critica (parole che riecheggiano meltdown nucleari) indispensabile per innescare processi virtuosi di rigenerazione della città, di start up economico e sociale. Secondo gli amministratori meneghini.

Ammesso e non concesso che ciò sia vero, la domanda sorge spontanea. Li deportiamo in massa da Desio, Seregno e Carate Brianza i cittadini necessari a fare cifra tonda? Dove li mettiamo? E chi li paga i nuovi alloggi? Perché a vedere i prezzi del “nuovo” in Milano c’è da mettersi le mani nei capelli. Se a Citylife bisogna sborsare dagli 8 ai 12 mila euro a metro quadro per abitare a “Casa Hadid”, cifre analoghe si raggiungono per Santa Giulia (quando poi spostandosi di pochi metri a Rogoredo il prezzo medio non supera i 2 mila euro), che infatti rischia il fallimento per le mancate vendite. Ma anche qui forse arrivano gli sceicchi di Dubai come a Sesto San Giovanni.

Andiamo con ordine. La nuova delibera, che modifica il Documento di Inquadramento intitolato enfaticamente “Costruire la Grande Milano”, introduce la possibilità di utilizzare nei nuovi PII (Piani Integrati di Intervento) un indice di utilizzazione territoriale (UT) di 1mq/mq invece del precedente 0,65 mq/mq. Un terzo in più, in buona sostanza.

“Densificazione”, per il Comune. Speculazione edilizia, direbbe Calvino.

La scusa è che si può attuare un indice pari ad 1 mq/mq a patto che ci sia una quota parte di edilizia convenzionata compresa in quelle superfici. Salvo poi, poche righe dopo, scrivere che si può sostituire l’edilizia convenzionata con “una o più opere pubbliche, ritenute strategiche”. Già, ma ritenute strategiche da chi? Quanti Arcimboldi ci aspettano nel prossimo futuro?

Forse quella dell’indice può sembrare una pignoleria da addetti ai lavori. In realtà è una questione che riguarda tutti i cittadini, perché rischia, se mal governata, di trasformare Milano nel terreno di cultura dove far proliferare indisturbati e contenti palazzinari ed immobiliaristi.

Cerchiamo di spiegarci con un esempio concreto. 700 mila nuovi abitanti, perché tanti ne servono per raggiungere il traguardo dei 2 milioni, equivalgono, secondo i canoni dell’urbanistica (50 mq per abitante teorico) a 35.000.000 metri quadrati. In teoria con un indice di 1mq/mq arriviamo al paradosso di aver bisogno di 35 milioni di mq di aree libere edificabili. Considerando che il territorio comunale è di 182 kmq stiamo parlando del 20% della superficie totale.

Di più. Se prendiamo come riferimento una delle torri residenziali di Cino Zucchi al Portello, esempio garbato di architettura attenta e rispettosa della “milanesità”, e lo utilizziamo come modulo insediativo base, un rapido calcolo ci dice che, per ospitare i famosi 700 mila, ne servono 7292 di quelle torri. Oppure 135 corsi Buenos Aires (considerando un altezza media di 6 piani e il doppio fronte da Piazzale Loreto a Piazza Oberdan).

Questi esempi dimostrano come non si possa prendere sul serio la questione dei due milioni di abitanti, anche se la delibera comunale con le modifiche all’indice è approvata. È quindi necessario vigilare sulle prossime trasformazioni (magari vendute come necessarie per l’Expo 2015) perché, se mal governate, rischierebbero di causare deflagrazioni edilizie in tutta la città con conseguenze difficili da immaginare.

Non sarebbe però giusto se ci limitassimo ad una critica, pure aspra e legittima, senza riflettere sugli scenari possibili e soprattutto sulle priorità reali di una metropoli come Milano.

Pars construens (più o meno)

Per fare di Milano una “Grande” città serve a poco rinzepparla di cittadini, se prima non ne si ferma l’emorragia degli ultimi decenni a favore dell’hinterland e dei comuni più lontani. Ma come si possono “trattenere” le persone in città quando la dotazione dei servizi, la qualità dei trasporti pubblici e la crescita dei prezzi (e degli affitti) delle case sfuggono a qualsiasi logica di buon governo?

Il tema dei trasporti è strettamente legato a quello della mobilità e delle infrastrutture. Ed anche a quello dell’abitare e del lavorare. Nel resto del mondo civilizzato prima di costruire un nuovo quartiere, prima di approvare un progetto urbano di grandi dimensioni, ci si accerta che la dotazione infrastrutturale sia adeguata al “carico insediativo” e se ne pretende la realizzazione, se non prima almeno in contemporanea. Detto in parole povere: tot nuovi abitanti, tot scuole, asili e linee di trasporto pubblico. Da costruire prima di vendere anche solo un metro quadro, e possibilmente non a carico della pubblica amministrazione.

Invece a Milano si consente la realizzazione di maestosi (sulla carta) progetti urbani, senza imporre che i servizi e gli standard urbanistici vengano messi in opera nei tempi e nei modi che il buon senso suggerirebbe. E infatti la linea di tram che attraversa la Bicocca (che nel progetto originale doveva essere una metropolitana sopraelevata) è stata terminata solo di recente. A City Life si scava, ma non per il prolungamento della linea 5 proveniente da Garibaldi, che dovrebbe toccare anche San Siro e il Portello (in cui si abita già da un paio di anni), ma per gettare le fondazioni dei nuovi edifici. In compenso per la stessa linea fervono i lavori sulla tratta da Garibaldi a Bignami (Fulvio Testi) su un tracciato che sostanzialmente duplica l’appena inaugurata metrotranvia per Cinisello Balsamo. Allo stesso modo della linea 4 (che verrà realizzata dopo la 5, logico no?) si costruirà prima il lotto S. Cristoforo – Policlinico (entro il 2013), mentre il collegamento con l’aeroporto di Linate non sarà pronto prima del 2016, a Expo terminata. Ma quando finalmente si potrà andare in metropolitana all’aeroporto cittadino questo verrà chiuso perché incompatibile con Malpensa. Non è chiara la logica della programmazione in queste scelte.

Comunque, se ci limitiamo al quadro generale, osserviamo che nel prossimo decennio sono previste due nuove linee della metropolitana (tre se si considera il probabile “sbinamento” della linea 1 per razionalizzare i flussi di visitatori diretti all’Expo), prolungamenti delle metrotranvie esistenti e un secondo passante ferroviario, visto che il primo è nato già “vecchio”. Opere necessarie alla città del presente, e quindi presumibilmente insufficienti per la “Grande Milano” che verrà. Tutto questo a prescindere da qualsiasi ragionamento sull’inesorabilità del magmatico traffico metropolitano e sulla scarsità e pessima localizzazione dei parcheggi, ai primi posti nei problemi avvertiti dai cittadini, secondo tutti i sondaggi degli ultimi anni.

Se volgiamo infine lo sguardo al desolante panorama edilizio, sono due le questioni degne di nota. In primo luogo la mancanza di una politica efficace dell’alloggio, della quale i lodevoli interventi scaturiti dai concorsi “Abitare a Milano” non costituiscono una soluzione, ma al limite la traccia labile di un percorso assai lungo ancora tutto da compiere. Se c’è realmente la volontà di “ripopolare” Milano, servono profonde riflessioni sul tema dell’edilizia convenzionata e sull’housing sociale, che non possono essere lasciati solo alla libera iniziativa dei privati o trattati come merce di scambio nell’esercizio del governo del territorio, ma vanno inseriti in un ragionamento più ampio sul tipo di città che si vuole.

Il secondo elemento è la scarsa qualità dell’edilizia cittadina in generale. Sia costruttiva che estetica. E non è scontato che l’assalto delle archistar alla diligenza milanese sia la soluzione del problema perché c’è il rischio è che il paziente venga ucciso dalla cura, visto l’alto tasso di autoreferenzialità di questi luminari.

In realtà le questioni da dibattere sono molte di più. Il verde, i servizi, la città metropolitana, solo per citarne alcune, meritano una trattazione più approfondita e saranno oggetto di successivi articoli. Possiamo però dire che viste le trasformazioni in atto (vedi l’Expo, ma non solo) ci troviamo in un momento di svolta.

L’importante è trovare un buon conducente e non sbagliare strada.

Pietro Cafiero



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