18 febbraio 2009

DUE MOSTRE ANZI TRE: CARAVAGGIO, FUNI, BORRA


A chi avesse gia visitato la mostra che espone quattro opere di Caravaggio presso la sala XV della Pinacoteca di Brera  e quelle dedicate ad Achille Funi e a Pompeo Borra al Museo della Permanente, vorrei rivolgere alcune osservazioni. Non vi sono relazioni tra le due manifestazioni che rappresentano storie prestigiose della nostra storia artistica lombarda indagata da eccellenti studiosi che si sono applicati ancora alla fortuna critica di Caravaggio ed ai due maestri del novecento italiano, certamente meno noti, ma interessanti per quello che ciascuno ha rappresentato nel contesto culturale in cui ha vissuto.

L’elemento che le può accomunare può essere soltanto il sistema espositivo adottato per le opere che può fare riflettere sui danni che questi sistemi, loro malgrado, comportano. Danni, bene s’intende, che non riguardano la sicurezza delle opere, ma danni che riguardano lo spirito. Cercherò di spiegarmi meglio:  la tecnica espositiva di un’opera d’arte non si improvvisa perché richiede una profonda conoscenza non solo dell’opera e delle sue peculiarità tecniche ma anche del pubblico che a queste opere si avvicinerà. L’esposizione rientra a tutto tondo nei sistemi di comunicazione che possono stabilire una relazione tra opera d’arte, spazio architettonico e l’anima di chi guarda e percepisce. Le tre coordinate assumono ruoli fondamentali che si coordinano tra loro a nostra insaputa ed agiscono in profondità. L’abilità di chi progetta un allestimento sta dunque, a mio parere, nella scelta e nella realizzazione di un ambiente complessivo in cui il corpo e la mente possano attivare una comunicazione reciproca che si apre agli occhi, all’emotività, all’udito, all’intelligenza per aggiungere alla conoscenza quello che in ciascuno di noi  manca e che nell’opera si va cercando.

Tornando a Caravaggio vorrei dire che il luogo in cui è stato esposto mi pare poco adatto perché appartiene alla pinacoteca nella parte aperta al pubblico dove i quadri alla pareti rientrano nel percorso espositivo tradizionale. Si mescolano dunque due categorie di utenza  anche se Caravaggio è esposto su quattro espositori che si dispongono al centro della sala, iscritti in un cerchio, creando simmetrie, un recto ed un verso. Il percorso contempla la osservazione di quattro opere visibili dal centro del cerchio con piccoli spostamenti del corpo. Solitamente l’ordinamento richiede una sequenza di lettura che esprime un pensiero e che in questo caso non emerge perché sembra indifferente leggere partendo da destra o da sinistra, partire dunque dal Fanciullo con il Canestro di frutta, oppure dal Concerto, oppure iniziare dal confronto tra le due tele che raffigurano la Cena di Emmaus che, per chi entra ,risultano più evidenti.

La sala è attraversata nello spazio che ci sovrasta da archetti metallici con le alimentazioni elettriche  che invadono anche i pavimento. La luce naturale che proviene dal lucernario interferisce con quella artificiale che crea sui fondali espositivi ombre che con il loro disegno interagiscono  con le opere. Le opere sono appese ai fondali di legno che adottano il colore di fondo delle cene di Emmaus senza favorire quei distacchi che molto spesso sono opportuni per aiutare la concentrazione sull’opera. Potrei continuare ancora per documentare una sciatteria  generale che non costa meno dell’eleganza e che invece  rende più difficile il rapporto con l’anima.

Alla Permanente il problema diventa ancora più serio perché gli spazi destinati all’esposizione mantengono lo squallore che dura da troppo tempo e che rende quasi impossibile comporre con le opere esposte quelle relazioni di cui abbiamo accennato.

La stampa di questi giorni ci informa di nuovi progetti per il rinnovo del Castello Sforzesco: e l’Arengario? E Palazzo Reale?, E l’Ansaldo? E il Museo d’Arte Contemporanea? Con quale pudore è possibile continuamente annunciare e tradire le aspettative? I cantieri aperti potrebbero essere una benedizione mentre il silenzio pesa quanto la sciatteria che ci allontana dalle conquiste del pensiero e della ricerca che affogano  nella banalità provinciale di quello che possiamo vedere.

Antonio Piva



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