26 luglio 2011

Scrivono vari – 27.07.2011


 

Scrive Cristina Majno a Luca Beltrami Gadola – Ho decisamente apprezzato i suoi ultimi due articoli su Expo perchè, con la lucidità e la chiarezza che la contraddistinguono, centra e da voce al nostro idem sentire e interrogarci sulla questione. Sono una cittadina milanese, libera professionista, che ha seguito con entusiasmo e passione tutta la campagna elettorale di Giuliano Pisapia, dalle primarie alle amministrative, votandolo in tutte e passando tutte tre le votazioni al seggio come rappresentante di lista.

Sono stata per lui Rappresentante di lista alle primarie e ho contribuito per quanto ho potuto sia alla campagna della Lista Civica che a quella dei verdi ecologisti, con i quali ho raccolto firme per i Referendum cittadini: intendendo con ciò sia esprimere la mia adesione a una politica indipendente, oltre i partiti, in appoggio al sindaco, sia la passione per la questione ambientale che ritengo una vera urgenza ed emergenza nella nostra città. Intendo con “ambientale” la sintesi di trasporti, inquinamento, città metropolitana, energia, differenziata rifiuti umidi e miglioramento della raccolta già in atto, risparmio energetico, controllo di consumi energetici pubblici e privati, modelli di consumo più sostenibili…

Sono, senza se e senza ma, nella schiera dei delusi / dubbiosi / preoccupati assai su quanto va profilandosi per Expo: consapevole senz’altro delle difficoltà del sindaco, che si trova a gestire / affrontare decisioni già prese, un BIE arrogante e sbrigativo (vedi Carlo Petrini su Repubblica), terreni convertiti in edificabili da agricoli, e nutro un IMMENSO RIMPIANTO del progetto Boeri e colleghi, e precisamente del parco agroalimentare.

Va detto anche che mi /ci sentiamo privi di una informazione sui contenuti ATTUALI dello stato dell’arte della materia, nonostante anche Lei abbia sollecitato da Arcipelago una trasparente informazione ai cittadini. La mia impressione è che l’incalzare del tempo detti decisioni e passaggi rapidi, sapendo che ciò che Expo sarà, oltre i sei mesi di durata evento, resterà a Milano ( e Rho!!!) . Che cosa ci resterà? Quanto e quale cemento? Con quale destinazione d’uso dopo? E che resterà del Parco agroalimentare??? Che spazio resta a Boeri con le sue deleghe? Per agire su cosa e con quali contenuti? E quali costi per la città, tenuto conto del buco di 180 milioni di euro e della feroce manovra con relativi tagli agli Enti locali?? E quali i costi sostenuti fin qui nei precedenti tre anni?? Perchè nessuno li dichiara?

Spero Lei comprenda che, non essendo “addetti ai lavori”, noi cittadini poco sappiamo e solo dalla stampa, e siamo MOLTO preoccupati per tutto quello che “a nostra insaputa” ci attende. Sono andata nel Sito di Expo (più scarno di così…): nessun aggiornamento, non sappiamo cosa Pisapia abbia firmato, nessun dato su costi, progetti ecc.

Quello che sappiamo bene però è come noi abbiamo risposto ai referendum cittadini, e che vorremmo essere tranquillizzati dal nostro amato Sindaco sulla sua fedeltà all’impegno su un Expo verde e coerente con il Parco agroalimentare già approvato a novembre 2010, sostenuto da Boeri, coerente con la nostra volontà referendaria … Non crede che l’esito referendario cittadino potesse essere un formidabile scudo/elemento di forza versus Bie e C. nell’incontro di Parigi e poi a Milano con BIE? Lei potrebbe pubblicare su Arcipelago tutti i documenti, iter, costi e lo stato dell’arte su Expo? (Avete fatto un ottimo lavoro, per esempio, nel documentare tutti i passaggi, iniziative, eventi e contatti di Bassetti e 50+1. Potreste fare lo stesso per Expo?)

Non capiamo né dove andremo né perchè tutto è stato così precipitoso, in quello che è parso un gioco “di rimessa” da parte del Sindaco verso gli altri organi in ballo. Mi sento dare da altri della catastrofista, (benché in autorevole compagnia: Petrini, Gardella, Basilio Rizzo…) ma ho la sensazione che ci si trovi tutti in una sorta di “ricatto” politico: o mangiare questa minestra o perdere la scommessa politica di questa festeggiatissima Giunta. Ma chiedo: che ne resterebbe della “nuova politica” che abbiamo fortemente voluto, se la mediazione fosse al massimo ribasso?

 

Scrive Renata Lovati – Bello il titolo dell’editoriale! Perchè pochi, forse, all’inizio hanno avuto il coraggio di dire No al carrozzone dell’Expo e Milano non è la Val di Susa, però l’opposizione c’è ed è costruttiva per chi vuole vederla. Forse basterebbe avere il coraggio di dire al commissario del Bie che siamo nel 2000 e certe manifestazioni sono ormai superate, inutili e non più compatibili. Quando l’assessore ai trasporti della Provincia dichiara che soldi per riqualificare la strada tra Vigevano e Magenta non ce ne sono e quindi non si può rinunciare ai soldi promessi in un progetto ANAS di tipo autostradale che lacera due Parchi, le braccia cadono veramente in basso…

 

Scrive Andrea Rui – L’Expo 2015 sarà senz’altro un fallimento come d’altronde lo sono tutte le manifestazioni di questo tipo dopo l’avvento della globalizzazione digitale. Mi chiedo a chi interesserà venire a Milano (o meglio a Rho…. ) per vedere un’esposizione di prodotti agricoli all’interno di un capannone. Per la città avrebbe avuto un senso solo se questa operazione portava con sé un progetto futuristico, un’integrazione città/campagna accompagnata magari dalla riapertura delle vie d’acqua fino ad arrivare alla Darsena e a un tratto della cerchia interna con i navigli riaperti e pedonalizzati. Capisco che questo significa volare troppo alto… L’Expo ci lascerà molti debiti qualche casa popolare, il nuovo ortomercato e forse un parco, capisco che i milanesi non ne siano entusiasti.

 

Risponde Jacopo Gardella a Marco Proverbio – Ringrazio per il parere favorevole e mi complimento a mia volta con voi per le foto della mostra sul “Naviglio-Cuore di Milano”. Cuore oggi silenzioso ma non spento, se siamo capaci di farlo tornare a battere. Mi fa piacere costatare che voi, a differenza dei disfattisti, i quali vedono nel costo della riapertura l’ostacolo insormontabile, siete invece capaci di valutare il costo per quel che deve essere valutato, senza prenderlo come scusa per non fare niente. Speriamo che l’idea della apertura integrale si faccia strada; e cominci a “navigare”.Ci aiuteremo reciprocamente nello sforzo di far rivivere l’acqua a Milano. 

 

Scrive Marinella Mandelli a Valentino Ballabio – Trovo realistica ed attuale la proposta di Valentino Ballabio (arcipelago del 20 luglio) di ridurre le province della Lombardia da 12 a 5 o 6 più la Città Metropolitana. Ma con quale criterio procedere a tale drastico sfoltimento? E’ sufficiente la soglia numerica degli abitanti? Oppure occorre prendere in considerazione altri parametri di tipo territoriale e logistico? E’ in grado l’autore di tale generica proposta formulare un’ipotesi di accorpamento con nomi e cognomi, capace di reggere alla prevedibile difesa egoistica e campanilistica (abolire le province si, ma quelle degli altri!).

 

Risponde Valentino Ballabio – Posto che i confini sono sempre originati da decisioni politiche (spesso arbitrarie e discutibili, a cominciare dal solco di Romolo contestato dal fratello gemello) spetta appunto alla politica, possibilmente senza la sua prosecuzione con altri mezzi, ovvero la guerra, assumere la responsabilità di deciderli.

Come potrebbe la politica ridisegnare la carta geografica della Lombardia nel senso di accorpare e modificare le sue province? Un primo rozzo criterio consiste nel taglio “lineare”, alla Tremonti: via quelle sotto i 500.000 abitanti. Questa soluzione però non tiene conto di fondamentali fattori territoriali e logistici nonché economici e sociali.

Allora è bene cominciare dalla definizione dell’area metropolitana, visto che la istituzione della Città Metropolitana, dopo anni di disprezzo ed ironia, comincia ad essere sdoganata nel linguaggio politico ufficiale. Uno sguardo dal satellite mostra subito che mentre a sud la soluzione di continuità è facilmente individuabile appunto nel Parco Sud, a nord la “città infinita” si estende sin quasi alle falde dei laghi. Posto dunque che l’area metropolitana riguarda il territorio urbanizzato entro il quale, secondo i sociologi, “avvengono spostamenti di massa quotidiani”, il confine nord non può che ricomprendere tutta la Brianza nonché la densa zona di Busto-Gallarate (per una puntuale e documentata dimostrazione vedi lo studio “L’Italia dei sistemi urbani” di G. Boatti, Mondatori, 2008).

Formulata così una Città Metropolitana corrispondente al bacino della metropoli reale, che assorbe quasi metà degli abitanti della Regione, diventa relativamente spontaneo pensare un’ipotesi di accorpamenti, sintetizzabili nella seguente tabella, per arrivare a non più di 6 province residue di popolazione compresa tra 750.000 / 1.250.000, con una sola eccezione di più piccole dimensioni. Chiaramente tale estensione deve essere compensata da una radicale redistribuzione delle competenze verso i Comuni, come da articolo citato.

 

Milano

Monza

Brianza lecchese e comasca (stima)

Bustocco (stima) 

3.156.000 

850.000 

200.000 

200.000 

Città Metropolitana 

4.406.000 

Como meno brianza

Varese meno bustocco

495.000 

683.000 

Como e Varese 

1.178.000 

Lecco meno brianza

Sondrio 

240.000 

183.000 

Lecco e Sondrio 

423.000 

Bergamo 

1.098.000 

Brescia 

1.256.000 

Pavia

Lodi 

548.000 

227.000 

Pavia e Lodi 

775.000 

Cremona

Mantova 

363.000 

415.000 

Cremona e Mantova

778.000 

LOMBARDIA 

9.914.000 

 

Certamente tale soluzione può apparire forzata e incontrare resistenze e riluttanze, magari nel nome di anacronistiche “identità”, ma qual è l’alternativa? Mantenere le attuali 12 in Lombardia e 120 in Italia con l’effetto di delegittimarle tutte a furor di popolo, dopo gli incauti ma ripetuti ed autorevoli proclami multi-partisan per l’abolizione tout court?

 



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