19 luglio 2011

DESTINO. NON C’È PACE PER L’EXPÒ


L’Expò milanese, soprattutto a causa dei lobbismi e delle ambizioni della coppia Moratti – Formigoni, è un progetto senza pace. Ci sono dubbi su tutto, sul profilo della manifestazione (alto o basso?), sulla sua ragion d’essere (culturale o economica?), sul modo in cui debba essere realizzato (orto botanico o più case?), sulle procedure (quale stazione appaltante? Appalto integrato? Concorsi?). Gregotti, a cui le braccia sono cascate da tempo vista l’aria che tira, dice che le esposizioni universali sono roba ottocentesca e che forse sarebbe stato meglio lasciare a Smirne, che del resto ci teneva non poco. Difficile dargli del tutto torto, adesso.

Prima dell’assegnazione della rassegna a Milano, quando forti erano ancora le incertezze e i timori della politica (per la possibile sconfitta da parte di alcuni e per i risvolti speculativi da parte di altri), proposi in consiglio provinciale di discutere sulla possibilità di realizzare (e quindi di proporre al bureau e a Smirne) un Expò a due teste. Non Milano o Smirne, ma Milano e Smirne. Poteva essere, a parer mio, un modo non scontato per ridare valore a una manifestazione usurata e che il competitor di Milano fosse una città turca non era certo primo di significato.

Non sono del tutto certo che la cosa potesse essere giuridicamente realizzabile, ma probabilmente una discussione nel merito non sarebbe stata tempo sprecato (visto poi come sono andate le cose…). In ogni caso, nessuno ritenne di riprendere la proposta e la seduta si chiuse, se ricordo bene, con l’intervento del presidente Penati che, grosso modo, disse che le esposizioni universali sono manifestazioni superate e anacronistiche nell’era di internet, ma sono tuttavia grandi occasioni per attrarre risorse nelle città che le organizzano. Sarà, ma il primo effetto della vittoria di Milano, prima ancora della sfilata trionfale, fu il rimbalzo in borsa delle aziende del gruppo Cabassi, in controtendenza sull’andamento della borsa stessa su cui si era già abbattuta la crisi finanziaria.

Forse le esposizioni universali erano già superate nell’ottocento e, comunque, già allora si discuteva sull’utilità della loro esistenza. Victor Hugo, dalle’esilio, dove si trovava per le sue idee repubblicane e antibonapartiste, vedeva nella manifestazione programmata a Parigi per il 1867 la consacrazione della capitale francese come capitale della nascente Europa, definitivamente avviata sulla strada dell’universalismo e della pace perpetua. Già famoso per aver scritto “I miserabili”, nell’occasione sentenziò: “Chi non ha ballato, cantato, predicato, parlato sulla scena di Parigi non ha mai veramente ballato, cantato, predicato e parlato” (V. Hugo, Parigi 1867). L’evento sarebbe stato il trionfo, la definitiva consacrazione della città. E per qualche settimana fu realmente così, finché, inesorabile, la storia si abbatté su Parigi e la Francia. La grande esposizione del 1867 è ancora oggi ricordata come una delle più affascinanti della storia, a Parigi per l’occasione confluirono realmente i regnanti di tutto il mondo, ma niente poté arrestare l’inesorabile declino di un grande paese.

Nel romanzo “Il denaro” di Émile Zola si svolge un curioso siparietto tra due trader di borsa, il rialzista Pillerault, l’ottimista, e il ribassista Moser, pessimista sul futuro dei mercati azionari e della Francia stessa. La discussione termina con l’imprecazione di Pillerault: (…) “Ah, no, caro amico non ricominciate a seccarci con i vostri terrori a proposito del Messico… Il Messico sarà la pagina gloriosa del regno… Come potete affermare che l’impero sia in cattive acque? Il prestito di trecento milioni, fatto a gennaio, non è stato coperto più di quindici volte? Un successo formidabile! Ascoltate: vi do appuntamento nel ’67, sì, tra tre anni, quando si aprirà l’Esposizione universale decretata dall’imperatore”.

Siamo nel 1864 e già allora in molti riponevano, tra i francesi, una parte delle loro speranze, per il secondo impero e per le finanze della Francia, nel grande evento mondiale, che nell’occasione era intitolato Exposition universelle d’Art e d’Industrie. L’Esposizione coincise con una delle più grandi bolle della storia, la Francia fu abbandonata dagli alleati nell’impresa messicana, i rivoluzionari di Benito Juarez fucilarono l’imperatore Massimiliano, l’Expò stessa fu teatro dell’attentato allo zar, nel 1870 il maresciallo di Francia Patrice de Mac Mahon fu sonoramente sconfitto dai Prussiani a Sedan, l’impero di Luigi Bonaparte crollò inesorabilmente e l’esperienza rivoluzionaria e patriottica della Comune di Parigi fu infine repressa nel sangue.

Solo per dire che, se pur è doveroso cercare di cogliere le occasioni, la storia non è mai puramente événementielle e che, in fondo, anche l’idea del grande evento come innesco per il rinascimento urbano pare abbastanza antiquata, se non addirittura controproducente. Jane Jacobs parlava di “crediti cataclismici” a proposito di quegli investimenti che si riversano su una zona “in modo concentrato, producendovi cambiamenti radicali” estranei al tessuto sociale e suggeriva, in alternativa, iniziative urbanistiche dotate di basi più solide, “in grado di produrre mutamenti continui e graduali, e quindi diversificazioni complesse”. Non saranno né l’Expò, né qualche ministero, né un avveniristico tunnel a rifare grande Milano. Meglio, molto meglio, come ha voluto Pisapia, riguardo alla vicenda del paino territoriale, ripartire dalle structures e dalle opinioni dei cittadini, che in fondo, molto più delle banche e degli immobiliaristi, hanno il diritto di dire la loro sul presente e il futuro della città.

 

Mario De Gaspari



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