19 luglio 2011

PISAPIA E LA STAGIONE DELLA PARTECIPAZIONE: UN LIBRO


Beato il paese che non ha bisogno di eroi” scriveva Bertold Brecht nella sua celebre opera teatrale sulla storia di Galileo. Si potrebbe partire da qui per provare a com-prendere la lunga stagione della partecipa-zione che si è vissuta a Milano nell’ultimo anno. L’emozionante corsa verso le primarie, il tempo dello scontro interno al centrosinistra, la sorpresa del 14 novembre, l’unità ritrovata, la sfida verso di Palazzo Marino, la vittoria finale.

Un susseguirsi di incontri, dibattiti, iniziative, sogni, desideri e fortissime emozioni che l’attento occhio  della giornalista Miriam Giovenzana ha provato a raccogliere (a tempo di record) in un bel libretto fresco di stampa dal titolo inequivocabile: “Il vento è cambiato. Giuliano Pisapia, un anno da ricordare“. Così dunque recita la copertina del libro di Giovenzana, che si è posta un compito assai arduo: fare memoria, nel senso di ricordare, o meglio, bloccare nel tempo non un attimo, ma un’intera stagione.

Uno degli aspetti più interessanti dell’opera è che non si scorge nessun intento celebrativo sfogliando le pagine, ma soltanto il desiderio di non far scivolare via dei sentimenti, delle emozioni, un percorso. Sono difficili da palpare, le emozioni, ma leggendo questo piccolo “manuale di buona politica” ci si può esercitare nella sfida impossibile. Il racconto dell’autrice infatti è allo stesso tempo appassionante e appassionato e proprio per questo è dedicato a “coloro che c’erano” e che “hanno patito”.

In aggiunta, lo scritto ha il merito di partire da lontano, cioè dall’afoso luglio 2010, quando un avvocato penalista di successo e da sempre appassionato di politica, ma sconosciuto al grande pubblico, decide di intraprendere una lunga e faticosa salita verso la guida della sua (e nostra) Milano.

Giuliano Pisapia si presenta come è sempre stato: schivo, pacato, “anticarismatico” come scrisse Gad Lerner. Eppure riesce a catalizzare intorno a sé un popolo che torna a respirare aria di cittadinanza attiva. Nel gioco a scacchi della politica, la sua mossa, quasi ingenua e di certo inattesa, muove altre “pedine”, e si giunge così ad un autunno intenso in cui, attorno ai quattro candidati alle primarie (Pisapia, Boeri, Onida e Sacerdoti) un’intera città torna a parlare in termini costruttivi di politica, idee, progetti.

Non ci sono eroi, come detto, né tanto meno uomini forti (e soli) al comando. Ma persone in carne e ossa che, dopo tanto tempo, si sentono legittimati a dire la loro e si vedono coinvolti tanto quanto loro stessi si lasciano coinvolgere. Insomma, tanti milanesi, tra lo scorso autunno e questa primavera, hanno improvvisamente compreso la magnifica frase che si legge nel finale del libro di Umberto Ambrosoli dedicato alla storia di suo padre Giorgio: “il mondo in una certa misura, và nella direzione in cui noi vogliamo che vada. Ciascuno di noi è responsabile per qualche grado di questa direzione“.

Proprio per questo motivo, dunque, in uno dei momenti storici in cui la distanza tra politica e cittadini è sembrata sempre più incolmabile, la stagione milanese della politica gentile meritava di essere immortalata. Chi, a qualsiasi titolo, ha in qualche modo partecipato a questa lunga e appassionata vicenda elettorale e cittadina, ritroverà nel libro luoghi e incontri familiari. Ripenserà al quel teatro Dal Verme del 6 novembre 2010 in cui non si riusciva a entrare per quanti erano accorsi, o allo Smeraldo del 18 maggio 2011, quando si dovettero fare due turni (come al cinema) per la serata “Ballottaggio, istruzioni per l’uso”.

Riemergeranno, tra le righe del libro, tante occasioni di partecipazione, comprese, come giusto e quasi ovvio, anche quelle organizzate da Boeri, Onida e Sacerdoti, sconfitti alle primarie ma anch’essi protagonisti appassionati di una stagione feconda. Anch’essi in grado di coinvolgere pezzi e frammenti di città che da tempo non si appassionavano più alla cosa pubblica. La “primavera milanese” di cui parla Giovenzana, facendo forse eco al Cardinale Tettamanzi, grazie a una dovizia di particolari e retroscena invidiabili (completata infondo da tre brevi scritti di Caterina Sarfatti, Filippo Del Corno e Chiara Lazzaretto) diventa tangibile agli occhi di quelli, compreso chi scrive, che in qualche modo si sono lasciati scaldare dal vento che ha scosso Milano.

Probabilmente c’è un unico inconveniente in questo racconto che si legge d’un fiato. Quando si svolta l’ultima pagina, si rischia di avvertire un senso di leggera malinconia per un periodo storico vivacissimo e più che mai affascinante, ora concluso. Ma poi ci si ricorda che proprio quel lungo cammino, di cui forse si sente già nostalgia, era funzionale per incominciarne un altro, ancor più arduo, che è solo all’inizio e ci vede, non ne dubitiamo, ancora coinvolti.

Martino Liva




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