19 luglio 2011

arte


L’ARTE POVERA RUSSA ARRIVA A MILANO

Fino all’11 settembre il PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea, ospita una mostra curiosa, interessante e di quelle che non ti aspetti, “Materia prima. Russkoe Bednoe”, ovvero l’arte povera in Russia, a cura di Marat Gelman. La mostra, promossa dal Comune di Milano e organizzata dall’Associazione Italia Russia e dal Museo d’Arte Contemporanea di Perm, è solo la prima di una serie di iniziative previste per il 2011 in occasione dell’Anno della Cultura e della Lingua Italiana in Russia e della Cultura e della Lingua Russa in Italia. Dopo Mosca e Parigi, tocca a Milano ospitare questa selezione di ventitre artisti russi, che “voleranno” poi al MoMA di New York come tappa successiva.

Come già spiega il titolo, le 116 opere in questione sono state create dai più rappresentativi artisti russi contemporanei usando appunto “materie prime”, povere, per lo più risorse naturali della Russia: legno, carbone, ferro, petrolio, ma anche materiali semplici come il cartone, l’argilla e la gommapiuma, oltre che materiali riciclati e recuperati per darne nuova vita. In mostra ci sono sculture, ma anche, ed è questa la novità, videoarte, fotografie, grandi installazioni e pitture.

I ventitre artisti esposti non fanno parte di un unico movimento artistico, gruppo o manifesto, a differenza di quanto si potrebbe pensare associando questa arte povera alla “nostra” arte povera. Sebbene per alcuni aspetti formali le due correnti abbiano molto in comune, diversissimo è il background in cui si sono formate. Se gli artisti italiani hanno “creato” l’arte povera in risposta a una società consumistica, del lusso e del kitsch, gli artisti russi “hanno cercato di creare qualcosa di bello e sublime fatto con dei materiali poveri. Non è negazione della bellezza, anzi, al contrario, è desiderio di bellezza”, spiega il curatore Gelman.

Partendo da un deficit, la mancanza di materiali e di tecniche avanzate come quelle degli artisti occidentali, gli artisti russi hanno usato quello che li circondava, che avevano a portata. Non è un’arte né politica né sociale, ha come scopo solamente quello di trovare la bellezza e di fare arte anche a partire dalla quotidianità di ciò che ci circonda.

Attenzione però. Ne nascono opere assolutamente interattive e affascinanti, come il “Tempo forgiato” di Leonid Sokov, una linea del tempo che mostra la creazione dei monumenti e degli edifici più importanti dell’umanità; le opere in argilla di Aleksandr Brodsky, a cui si mischiano elementi audiovisivi e un suggestivo carillon con la neve; il “Tritacinema” di Sergey Teterin, una sorta di proiettore degli antipodi fai-da-te; il Suprematismo culinario fotografico di Sinie Nosy e gli scheletri di animali formati con oggetti antichi e di recupero della coppia Olga & Aleksndr Florensky, solo per citarne alcuni.

Un’occasione unica per passare un pomeriggio d’estate (a ingresso libero), in compagnia delle opere di artisti cosi lontani da noi, riflettendo su come l’arte sia un linguaggio davvero universale, a prescindere dai materiali scelti.

Materia prima. Russkoe bednoe. “L’arte povera” in Russia. Fino all’11 settembre. Presso il PAC. Ingresso libero. Orari: lunedì dalle ore 14.30 alle ore 19.30. Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle ore 09.30 alle ore 19.30. Giovedì dalle ore 09.30 alle ore 22.30

SERE D’ESTATE AL MUSEO DIOCESANO

Anche quest’anno il Museo Diocesano propone una ricca serie di iniziative per le sere d’estate. Il Museo infatti, smesso il consueto orario diurno, apre le sue porte dalle 19 alle 24, con una serie di attività interessanti e insolite che si protrarranno fino al 3 settembre. La formula è quella già collaudata nelle scorse estati: aperitivo nei suggestivi chiostri del museo, appartenenti all’ex convento domenicano di sant’Eustorgio, dove ci si può rilassare godendo della quiete e del verde del prato, nonostante ci si trovi nel pieno centro della città.

Dopo l’aperitivo sarà possibile visitare le collezioni permanenti del museo, eccezionalmente gratuite, e aperte fino alle ore 24. Meritano sicuramente una visita i fondi oro della Collezione Crespi, 41 tavole, eseguite tra Trecento e Quattrocento, di ambito toscano e umbro; la Collezione Pozzobonelli con i suoi paesaggi arcadici; la Collezione Monti, che vanta nomi come Tintoretto, Peterzano (maestro di Caravaggio), opere dei fratelli Campi e un Guido Reni; ma notabili sono anche tante opere provenienti dalla Diocesi di Milano, tra cui una Crocifissione di Francesco Hayez e Il furto sacrilego del Magnasco.

Dipinti ma non solo. Nell’ipogeo sarà possibile ammirare una vasta gamma di arredi liturgici, reliquiari e messali, così come nel corridoio d’ingresso, dedicato a sant’Ambrogio, sarà possibile ammirare un nucleo di opere provenienti dal soppresso Museo della Basilica di Sant’Ambrogio. Tra questi, di particolare importanza il Busto di Sant’Ambrogio benedicente, X secolo circa, e la Lettiera di Sant’Ambrogio (IV secolo), dove, secondo la tradizione, sarebbe stato esposto il corpo del santo durante le esequie avvenute nella basilica che prende il suo nome.

Ma il Museo non è solo arte dei secoli scorsi. Quest’anno sono cinque le mostre di arte contemporanea, sempre gratuite, che si potranno visitare all’interno del museo stesso, in un connubio di storia e modernità che da sempre caratterizza le scelte espositive del museo.

Espone Giovanni Frangi, con “La règle du jeu. Atto secondo. Dieci giardini“, dove protagonista è la natura, vista secondo una forte idea di teatralità, con tele di grosse dimensioni che spingono lo spettatore a guardare gli alberi e le loro ombre da un diverso punto di vista, quasi onirico. La seconda mostra è quella di Nazzareno Guglielmi, “Sei ore per la mia testa“, ovvero una riflessione sul rapporto tra le tre dimensioni dello spazio e la quarta dimensione del tempo. L’opera è una videoinstallazione costituita da 365 fotografie, incentrate sul tema della croce e della sua visualizzazione attraverso immagini rintracciate dall’artista in tutte le esperienze del quotidiano. Inoltre, nel corridoio d’ingresso del museo è presente anche una selezione dei libri dell’artista, che costituiscono parte importante della sua produzione.

La terza mostra è quella di Giorgio Majno, che attraverso fotografie e ritratti studia il tema della bellezza, in relazione alle persone e alla natura: donne e uomini ma anche elementi vegetali che hanno pari dignità all’interno della sua opera. E’ presente anche Franco Marrocco, con “Trittico“, prima tappa di un viaggio che porterà questa imponente opera in altre città italiane. Dell’artista sono presenti anche altre opere, tra cui “Alito o costato“, tutte tele caratterizzate da grandi dimensioni e da un uso del colore molto intenso ed evocativo.

L’ultima artista presente in queste sere d’estate è Paola Marzoli, con il suo “Bètfage. Opere 2009-2011“, pitture che sembrano fotografie, opere che sono più un diario di viaggio, come indicano i titoli stessi, e che raccontano esperienze spirituali e sensazioni raccolte durante i suoi viaggi in Terra Santa. Ulivi, sole abbagliante, animali e paesaggi sono i segni di una pittura che vuole raccontare il cammino quotidiano compiuto dall’artista.

Ma il museo non è solo arte. Nel chiostro, infatti, tutte le sere sono previste attività ludico-culturali con proposte sempre diverse: si inizia il martedì, con i concerti di musica jazz e di classica a cura del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano; il mercoledì si terrà un ciclo di conferenze su Leonardo da Vinci; il giovedì sono previsti spettacoli teatrali a cura dei comici di Zelig; il venerdì concerti e intrattenimenti musicali a cura della Scuola Civica di Jazz; infine il sabato è dedicato ai bambini e alle famiglie con burattini, fiabe e spettacoli dedicati.

Museo Diocesano di Milano, fino al 3 settembre. Da martedì a sabato, ore 19-24. Ingresso gratuito per tutte le attività.

HAYEZ NELLA MILANO DI VERDI E MANZONI

Per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, la Pinacoteca di Brera ospita una grande mostra, dedicata a uno dei suoi artisti più celebri e significativi, il veneziano Francesco Hayez. Ideata da Fernando Mazzocca, uno dei più importanti studiosi italiani di Hayez, e da Isabella Marelli, conservatrice delle opere dell’Ottocento della Pinacoteca di Brera, con la collaborazione di Sandrina Bandera, direttrice della Pinacoteca, la mostra è divisa in sei sezioni tematiche, che analizzano buona parte della produzione artistica e della vita del grande maestro.

Una mostra a tutto tondo che coinvolge anche altri illustri protagonisti dell’Ottocento nella Milano pre-unitaria, come Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi, uniti da personale amicizia al pittore del “Bacio”. Pittore romantico ma di formazione classicista, Hayez ebbe grande successo come ritrattista presso le nobili famiglie milanesi, come dimostrano il ritratto del Manzoni stesso, 1841, di solito schivo e riservato ma che accettò di farsi ritrarre in una posa informale dall’amico, e quelli della sua seconda moglie Teresa Stampa, ma anche quello dell’amico Antonio Rosmini e di Massimo d’Azeglio (che aveva sposato una figlia del Manzoni).

Attraverso i 24 dipinti esposti (insieme e opere di Boldini, Beretta e Bertini), si passa dalla giovanile produzione a soggetto storico-romantico, che richiama direttamente alcune opere del Manzoni, come i dipinti ispirati alla tragedia del Conte di Carmagnola, il Ritratto dell’Innominato, 1845, fino ai due dipinti sacri, L’Arcangelo San Michele e La Vergine Addolorata, opere amate dal Manzoni e che rimandano ai suoi stessi Inni Sacri.

Ma l’altro importante protagonista è anche Giuseppe Verdi, con cui l’Hayez collaborò per la messinscena di alcune opere. Hayez infatti aveva già trattato in pittura alcuni di questi temi tratti dai melodrammi verdiani, come I Lombardi alla prima Crociata, I Vespri siciliani e I due Foscari, esposti in mostra accanto ai ritratti dei loro antichi proprietari, quale l’imperatore Ferdinando I d’Austria per la prima versione de L’ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia, o il poeta Andrea Maffei e la moglie Clara, animatori di un celebre salotto sociale, proprietari della seconda versione di questo soggetto. Tele di incredibili dimensioni e intensità, che mostrano tutta la forza melodrammatica e i tumulti di un secolo. Accompagnati, per l’occasione, da un sottofondo di musiche verdiane.

Ed è proprio nell’ultima sezione che compare un altro grande protagonista musicale italiano, Gioacchino Rossini, con il quale Hayez ebbe un rapporto privilegiato, come dimostra anche il Ritratto di Giocchino Rossini, 1870, affiancato a quello di Verdi eseguito da Boldini. Purtroppo Hayez, nonostante la grande amicizia, non riuscirà mai a ritrarre l’amico compositore.

Chiude la rassegna l’opera più famosa di Hayez e della Pinacoteca, “Il Bacio”. Un’opera tutt’altro che innocente, ma che anzi, come spesso accade nella sua pittura, Hayez usa per mascherare, dietro temi apparentemente innocui ed episodi di storia del passato, istanze e aspirazioni risorgimentali, ai tempi impossibili da esprimere liberamente a causa della censura austriaca. Nella prima versione de «Il Bacio» (1859), esposto a Brera dopo la liberazione della Lombardia dall’Austria, si può leggere infatti il saluto del patriota alla sua amata, ma anche il sacrificio e l’amore dei giovani per la nuova nazione, loro che saranno poi i progenitori di un’Italia nuova, libera e finalmente unita.

Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi – Pinacoteca di Brera, fino al 25 settembre Orari: 8.30 -19.15 da martedì a domenica Biglietti: Intero euro 11. Ridotto euro 8.50

ALL’HANGAR BICOCCA SI GIOCA A PING PONG

La nuova mostra all’HangarBicocca è dedicata all’artista tailandese Surasi Kusolwong, che realizza una insolita installazione site specific nello shed, la parte iniziale del grande spazio dell’Hangar. Nelle navate grandi è possibile ancora vedere, per le ultime settimane, la mostra del progetto Terre Vulnerabili.

L’installazione prevede cinque tavoli da ping-pong, che i visitatori potranno davvero utilizzare per giocare. Sopra ogni tavolo sono posizionati diversi tipi di oggetti e materiali dedicati a vari aspetti del lavoro di Kusolwong: oggetti di uso quotidiano, semplici, domestici e a volte kitsch come animali in gesso coperti da pezzi di conchiglie, o animali intagliati in legno o ancora oggetti tipici di diverse culture collezionati durante i suoi viaggi o fatti dall’artista. Nell’installazione sono presenti anche materiali e oggetti che rimandano al mondo dell’arte povera: specchi e forme ritagliate collegate ai simboli e ai manoscritti di Alighiero Boetti.

Lo “scopo del gioco” è semplice: il progetto è una sorta di specchio che proietta i visitatori dentro quella complessa e a volte contraddittoria rete di comunicazione che avvolge la società contemporanea: un dialogo non stop fatto di domande e risposte.

Nell’installazione trovano posto però anche altre forme d’arte: una scultura a forma di cubo collegata a una macchina del fumo; una scultura-vulcano fatta da una montagna di sale con al centro una lampada; un gruppo di sculture-tenda fatte di marmo, ferro, legno e specchio; una scultura fatta di tutte le pagine del libro “Living in the End Times” di Slavoj Zizek; una scultura morbida fatta di spugne con un cartello dalla scritta “Prenditi del tempo per sederti e pensare”; e una serie di lampade pendenti realizzate da Kusolwong.

Un lavoro giocoso e di grande impatto visivo, ma che riflette, e fa riflettere, sui temi della comunicazione e delle relazioni.

Ping-Pong, Panda, Povera, Pop-Punk, Planet, Politics and P-Art- Surasi Kusolwong HangarBicocca. Fino al 15 settembre Orario: 11.00-19.00, giov dalle 14.30 fino alle 22.00, lun chiuso
Ingresso: intero 8 euro, ridotto 6 euro

CATTELAN TRA PICCIONI IMBALSAMATI E FOTO SURREALISTE

Nuovo scandalo (preannunciato) per l’enfant prodige dell’arte nostrana, Maurizio Cattelan. Alla 54esima Biennale di Venezia, inaugurata il 4 giugno e che andrà avanti fino al 27 novembre, l’artista padovano, chiamato in extremis a partecipare, ha proposto una particolarissima opera-installazione: The others, 2000 piccioni imbalsamati e collocati sui solai, le travi e gli impianti del Padiglione centrale della Biennale. In realtà l’idea tanto nuova non è visto che riprende un’installazione del 1997, Tourists, già esposta nella Biennale di quell’anno, curata da Germano Celant, e che consisteva in duecento colombi imbalsamati. Alcuni dei quali, è bene dirlo, sono stati poi battuti all’asta da Christie’s per l’incredibile somma di 150 mila sterline.

Insomma altri piccioni tassidermizzati appollaiati su travi. Questo ha comportato una inevitabile protesta da parte degli animalisti, che hanno manifestato con slogan e cartelli all’ingresso dei Giardini. Certo Cattelan non è nuovo all’uso di animali nelle sue opere, come fece nel 1996 per La ballata di Trotskij, in cui appese un cavallo imbalsamato a uno dei soffitti del Castello di Rivoli (stima: due milioni di dollari), oppure un altro cavallo, sempre imbalsamato, trafitto da un cartello con la scritta INRI, esposto nel 2009 alla Tate Modern di Londra; la “statua animale” dei quattro musicanti di Brema, o ancora l’irriverente regalo alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento in occasione del conferimento della laurea honoris causa: un asino impagliato dal titolo Un asino tra i dottori. Ultimo ma non meno crudele, il topolino incastrato in una bottiglia di vodka Absolut per uno degli eventi legati alla Biennale del 2003 organizzato proprio dal marchio Absolut.

Magra consolazione far notare che i piccioni non sono stati imbalsamati appositamente per l’evento e che, in realtà, nel 2007, per la giornata dell’arte contemporanea promossa da Amaci (Associazione dei musei d’arte contemporanea italiani) Cattelan aveva realizzato un canguro nascosto dietro un albero dal quale spuntavano solo le orecchie dell’animale, un lavoro eseguito con il sostegno del Wwf stesso.

“Quattrocento di questi piccioni andranno poi alla mia retrospettiva al Guggenheim di New York che aprirà il 4 novembre. Confermo che quello sarà il mio ultimo impegno prima di lasciare il mondo dell’arte”. Così si giustifica Cattelan, sostenendo ancora una volta che il suo ritiro dal mondo dell’arte è davvero imminente. Verità o strategia? Sarebbe in ogni caso un ritiro parziale, perché l’obiettivo di Cattelan è occuparsi sempre di arte, ma in modo collaterale, attraverso la sua nuova rivista Toilet Paper. “Come annunciato mi ritiro a occuparmi della mia rivista Toilet Paper, anzi ne farò anche altre”. Per l’appunto. Questa nuova impresa editoriale, diretta e curata insieme all’amico e fotografo Pierpaolo Ferrari, presentato nello spazio milanese “Le Dictateur“, è una rivista fotografica, una sorta di moderno giornale dada-surrealista (abbondano occhi, nasi e dita mozzate), dedicata solo alle immagini, niente spiegazioni, che accosta fotografie diverse e un tantino scioccanti, per permettere allo spettatore pindarici voli interpretativi e suggestivi. L’importante, suggeriscono gli autori, è la sequenza con cui le foto sono proposte. Insomma il solito, irriverente e autoreferenziale Cattelan.

54. Esposizione Internazionale d’arte Biennale di Venezia, Giardini e Arsenale
dal 4 giugno al 27 novembre, Orari: 10 18 chiuso il lunedì. Costi: 6 € per ciascuna sede, 10 € per entrambe le sedi

DOPPIO KAPOOR A MILANO

Sono tre gli appuntamenti che l’Italia dedica quest’anno ad Anish Kapoor, artista concettuale anglo-indiano. Due di questi sono a Milano, e si preannunciano già essere le mostre più visitate dell’estate. Il primo è alla Rotonda della Besana, dove sono esposte sette opere a creare una mini antologica; il secondo è “Dirty Corner“, installazione site-specific creata apposta per la Fabbrica del Vapore di via Procaccini. Entrambe curate da Demetrio Paparoni e Gianni Mercurio, con la collaborazione di MADEINART, gli stessi nomi che hanno curato anche la retrospettiva di Oursler al Pac.

Una mostra di grande impatto visivo, quella della Besana, con opere fatte di metallo e cera, realizzate negli ultimi dieci anni e che sono presentate in Italia per la prima volta. Opere di grande impatto sì, ma dal significato non subito comprensibile. Kapoor è un artista che si muove attraverso lo spazio e la materia, in una continua sperimentazione e compenetrazione tra i due, interagendo con l’ambiente circostante per “cercare di generare sensazioni, spaesamenti percettivi, che porteranno a ognuno, diversi, magari insospettabili significati”, come spiega l’artista stesso. Ecco perché non tutto è lineare, come si può capire guardando le sculture in acciaio “C-Curve” (2007), “Non Object (Door)” 2008, “Non Object (Plane)” del 2010, ed altre che provocano nello spettatore una percezione alterata dello spazio. Figure capovolte, deformate, modificate a seconda della prospettiva da cui si guarda, un forte senso di straniamento che porta quasi a perdere l’equilibrio. Queste solo alcune delle sensazioni che lo spettatore, a seconda dell’età e della sensibilità, potrebbe provare davanti a questi enormi specchi metallici.

Ma non c’è solo il metallo tra i materiali di Kapoor. Al centro della Rotonda troneggia l’enorme “My Red Homeland“, 2003, monumentale installazione formata da cera rossa (il famoso rosso Kapoor), disposta in un immenso contenitore circolare e composta da un braccio metallico connesso a un motore idraulico che gira sopra un asse centrale, spingendo e schiacciando la cera, in un lentissimo e silenzioso scambio tra creazione e distruzione. Un’opera, come spiegano i curatori, che non potrebbe esistere senza la presenza indissolubile della cera e del braccio metallico, in una sorta di positivo e negativo (il braccio che buca la cera), e di cui la mente dello spettatore è comunque in grado di ricostruirne la totalità originaria.

Il lavoro di Kapoor parte sempre da una spiritualità tutta indiana che si caratterizza per una tensione mistica verso la leggerezza e il vuoto, verso l’immaterialità, intesi come luoghi primari della creazione. Ecco perché gli altri due interessanti appuntamenti hanno sempre a che fare con queste tematiche: “Dirty Corner“, presso la Fabbrica del Vapore, un immenso tunnel in acciaio di 60 metri e alto 8, all’interno dei quali i visitatori potranno entrare, e “Ascension”, esposta nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, in occasione della 54° Biennale di Venezia. Opera già proposta in Brasile e a Pechino ma che per l’occasione prende nuovo significato. Un’installazione site-specific che materializza una colonna di fumo da una base circolare posta in corrispondenza dell’incrocio fra transetto e navata della maestosa Basilica e che sale fino alla cupola.

ANISH KAPOOR – Rotonda di via Besana – fino al 9 ottobre Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 – fino all’11 dicembre Orari: lun 14.30 – 19.30. Mar-dom 9.30-19.30. Giov e sab 9.30-22.30. Costi: 6 € per ciascuna sede, 10 € per entrambe le sedi.

RITORNA “BRERA MAI VISTA”

Dopo tre anni di assenza riprende l’iniziativa “Brera mai vista”, un’occasione unica per vedere dal vivo, nelle sale della sempre affascinante Pinacoteca di Brera, dipinti poco noti, generalmente conservati nei depositi della Pinacoteca per problemi di spazio, ma che prendono vita attraverso speciali esposizioni incentrate su di essi. Importante anche la presentazione che di questi dipinti viene fatta: studiosi e storici dell’arte si mettono in prima linea per studiarli, analizzarli e presentarli al grande pubblico. Ma quest’anno c’è una novità. L’opera in questione non è da sempre un bene di Brera, bensì un nuovo acquisto.

E’ la piccola ma preziosa tavola della Madonna con il Bambino, datata 1445 circa, attribuita al Maestro di Pratovecchio. Una tavola presumibilmente creata per la devozione privata, visto il piccolo formato, e che mostra una giovane Madonna dallo sguardo rassegnato, intenta a scrutare l’avvenire, che sa essere già carico di dolore. La madre e il Bambino, nell’atto di benedire, sono racchiusi in una sorta di nicchia coperta da quello che sembra essere un motivo damascato. La tavola è un dipinto poco noto, non solo per il pubblico ma anche per gli esperti, e che fu studiato e fotografato già da Roberto Longhi, che dedicò anche un saggio per ricostruire le vicende del misterioso pittore.

Un artista fino a poco tempo fa anonimo, conosciuto appunto come Maestro di Pratovecchio, ma a cui recentemente si è potuto dare un nome: Giovanni di Francesco del Cervelliera. Non un illustre sconosciuto però, ma un collaboratore artistico di Filippo Lippi, tra gli anni 1440-1442. E che sia proprio di quegli anni è evidente guardando il suo disegno, attento al rigore prospettico tipico fiorentino, ma anche interessato ai colori luminosi e cangianti che compaiono nelle vesti della Madonna. Riprendendo in questo sia il più noto Filippo Lippi, con i suoi personaggi inquieti, che i colori di Domenico Veneziano. La somiglianza con lo sfondo damascato della sua Madonna Berenson è davvero notevole. Gli stessi espedienti e artifici formali che hanno ispirato anche altri artisti, presenti nella raccolta della Pinacoteca: Giovanni Boccati, Giovanni Angelo di Antonio, Fra Carnevale e naturalmente Piero della Francesca, allievo di Domenico Veneziano.

Prima di essere esposta la tavola ha subito anche un restauro conservativo, ma che non ha alterato i tratti e la storia del dipinto, fattore importante per ricostruirne le vicende e non cancellare quelli che sono i segni del tempo della storia dell’arte. Ecco dunque che la piccola tavola potrà essere un’utile “scusa” per rivedere la Pinacoteca, integrando anche questo dipinto nel percorso storico e cronologico che la Pinacoteca propone.

Brera mai vista. La Madonna con il Bambino del Maestro di Pratovecchio – Pinacoteca di Brera, sala XXXI, fino all’11 settembre – Orari: 8.30 -19.15 da martedì a domenica – Costo: intero euro 9, ridotto euro 6.50.

AL MUSEO DEL NOVECENTO L’ARTE SCENDE IN PIAZZA

Il Museo del Novecento ha da poco inaugurato la sua prima mostra temporanea, intitolata “Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976”. La mostra, curata da Silvia Bignami e Alessandra Pioselli, è allestita al piano terra del museo, uno spazio piccolo e raccolto ma forse, c’è da dirlo, non troppo funzionale per questa mostra, fatta da video, filmati, pannelli e grandi fotografie. Il tema è tra i più interessanti: far luce su un periodo particolare della vita politica, artistica e sociale italiana, quella manciata d’anni che va dalle contestazioni giovanili del ’68 fino al decennio successivo. Momento sociale importante ma non solo, anche l’arte e gli artisti giocarono un ruolo cruciale nel risveglio delle coscienze popolari. Sono gli anni in cui l’arte si allontana da musei, gallerie e luoghi tradizionalmente deputati alla fruizione, per uscire “fuori”, appunto, in strada, per coinvolgere il pubblico e il mondo reale. Performance, azioni, installazioni, poco importa il medium, l’importante era la riappropriazione del tessuto urbano cittadino e il farlo insieme al pubblico.

Per capire la vicenda artistica di quegli anni, la mostra ne ripercorre alcune tappe significate, quali “Arte povera + azioni povere” (Amalfi, 1968; a cura di Germano Celant); “Campo Urbano” (Como, 1969; a cura di Luciano Caramel); il Festival del Nouveau Réalisme (Milano, 1970; a cura di Pierre Restany); “Volterra ’73” (Volterra, 1973; a cura di Enrico Crispolti), ma anche la Biennale di Venezia del 1976. Per spiegare queste azioni e performance così effimere sono stati usati video, filmati restaurati, registrazioni sonore, fotografie e manifesti, le “armi” di quella rivoluzione artistica che tanta importanza ebbe nel risvegliare pensieri e passioni.

Ecco allora in mostra le fotografie di Ugo Mulas per Campo Urbano; i gonfiabili di Franco Mazzucchelli allestiti fuori dai cancelli dell’Alfa Romeo di Milano (1971); i “lenzuoli” di Giuliano Mauri alla Palazzina Liberty di Milano contro la guerra in Vietnam (1976); le azioni incomprese sul territorio fatte da Ugo La Pietra e le prime ricerche sulla comunicazione, rivolte agli studenti, del Laboratorio di Comunicazione Militante. E ancora le pratiche di progettazione partecipata di Riccardo Dalisi a Napoli, per creare asili nei rioni disagiati; le fotografie della gente qualunque di Franco Vaccari; la “passeggiata con la sfera” di Michelangelo Pistoletto, riproposta dal film di Ugo Nespolo (1968/69); le interviste di Maurizio Nannucci, fatte di una sola parola ai passanti (Firenze, 1976). Ma anche le indimenticabili e scioccanti performance di Rotella, Restany e Niki de Sainte Phalle, durante il Festival del Nouveau Realisme a Milano, con il banchetto funebre, una sorta di macabra ultima cena per decretare la fine del gruppo, fatta dai membri del gruppo stesso; i monumenti impacchettati di Christo; le espansioni gommose di Cesar in Galleria Vittorio Emanuele e il monumento fallico di Tinguely. Tutto visibile attraverso filmati, documenti preziosi di momenti ormai perduti.

Insomma una carrellata di artisti e azioni che hanno profondamente influenzato l’arte di oggi e che idealmente completano il percorso espositivo del Museo del Novecento, che si conclude all’incirca agli anni Sessanta, con lavori pensati per superare il limite tradizionale del quadro o della scultura: dagli ambienti programmati e cinetici all’arte povera alla pittura analitica. In contemporanea, il Museo ospita anche altre due esposizioni: una sala è dedicata alla famiglia Carpi e ai suoi maggiori esponenti, Aldo e Pinin; all’ultimo piano invece sarà possibile studiare una selezione di disegni e ceramiche di Alessandro Mendini, provenienti dalla collezione di Casa Boschi-Di Stefano.

Per concludere, nell’ultima vetrata dello spazio mostre è stato allestito un white cube, dove dal 15 aprile al 30 giugno sarà esposta “Nice ball”, opera di Paola Pivi. Una composizione fatta di sedie di design in miniatura che, illuminate dall’interno, proiettano sulle pareti giochi di ombra. Seguiranno poi a rotazione anche un’opera d’arte, un oggetto di design e una fotografia.

Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976 – Museo del Novecento – fino al 4 settembre.
Lun 14.30-19.30; mar, mer, ven e dom 9.30-19.30; giov e sab 9.30-22.30
Biglietto intero 5 euro, ridotto 3 euro.

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org




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