12 luglio 2011

NO, FLORA VALLONE. IL VENTO E’ CAMBIATO


Che tristezza, leggere su Arcipelagomilano quella patetica pagina di pubblica autodifesa, di excusatio non petita, di autocelebrazione (e in definitiva di autogol) di Flora Vallone. Perché alla fine della lettura la reazione non può essere che: bravo Pisapia, bravo Corritore, c’è davvero bisogno di aria nuova. Ha dato supporto tecnico al peggior assessore al verde del Comune di Milano, a memoria d’uomo, le cui politiche e i cui risultati e slogan i cittadini milanesi hanno già bocciato; eppure sembra non rendersene conto.

Ancora ‘sta storia dei nuovi alberi. Ne ho già parlato tante volte su ArcipelagoMilano (ho perfino paura che i lettori abituali ne siano stufi), sempre mettendola un po’ sul ridere, perché in effetti non mi pare una cosa seria; dai 400.000 promessi da Albertini, alla fine del secolo scorso, in poi; ma in fondo, fin che ne parla un sindaco, passi. Quattro anni fa invece il discorso dei 500.000 nuovi alberi veniva spacciato come obiettivo dell’amministrazione. Chi si occupa di verde sa che il valore e la qualità del verde è un’altra cosa, dipende da altri fattori e altri equilibri, anche dall’equilibrio dei vuoti e dei pieni, in cui anche le grandi radure “vuote” (vedi Parco Nord) possono avere un peso e un valore essenziale.

Ma, anche a voler prendere sul serio questo discorso ragionieristico, a Milano 500.000 nuovi alberi ci potrebbero forse stare, solo a patto di fare davvero tutti i nuovi parchi di cintura disegnati sulla carta, tutti i raggi verdi e soprattutto il Parco Sud e le sue “teste di ponte” urbane: e allora il centro dell’attenzione si sposterebbe ovviamente sul disegno strategico d’insieme, sul sistema delle connessioni e sui progetti specifici dei singoli parchi, sulla loro estensione, i loro caratteri e le loro qualità ambientali e paesaggistiche, e non certo sul numero di alberi impiegati.

Nossignori, oggi ci vengono a dire che ne hanno già piantati 70.000. Non abbiamo difficoltà a crederlo. Potremmo infatti fare l’elenco dei luoghi snaturati appunto dai troppi nuovi alberi, infilati a forza dove sarebbe stato meglio non metterli affatto, lasciare spazi liberi per il gioco, rispettare l’alternanza preesistente dei vuoti e dei pieni, del sole e dell’ombra. Ma i bilanci statistici, e la necessità di rispettare gli obiettivi di fine mandato, cui magari sono vincolati i premi di produzione, si sa, hanno le loro esigenze; e impongono d’infilare nuovi alberi ovunque possibile, anche dove non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivere.

Seconda questione: chi ha fornito all’Assessore il supporto tecnico per la cacciata di Italia Nostra dal Parco delle Cave? (pardon, per essere precisi, ma la sostanza non cambia: per costringere Italia Nostra a rinunciare al Parco delle Cave). Anche questa ai cittadini milanesi non è piaciuta affatto. Il Parco delle Cave era stato affidato a Italia Nostra nel ’97, quando non solo non riusciva a decollare, ma era diventato luogo ingestibile, infrequentabile, pericoloso, più noto come luogo di spaccio che come giardino pubblico; ed era stato affidato a Italia Nostra grazie ai positivi risultati dell’esperienza del Boscoincittà, prossimo e confinante con quello delle Cave, realizzato dal nulla da Italia Nostra a partire dal ’74, su area avuta in concessione dal Comune, dapprima di trenta ettari e poco a poco ampliata e arricchita di verde, di percorsi, di natura, fino all’attuale ben nota e apprezzata condizione.

Nei primi nove anni della convenzione, il CFU (il Centro di Forestazione Urbana, il braccio operativo e “centro studi” di Italia Nostra per il settore del verde) sempre in grande sintonia con l’amministrazione comunale, aveva applicato al Parco delle Cave il “metodo Bosco”, il metodo del lavoro sul campo costante, tenace, continuo, il metodo della gradualità e dei piccoli passi, con i risultati straordinari che sono sotto gli occhi di tutti.

Ma il Parco delle Cave è realizzato per meno della metà, la cava Ongari Cerutti ad esempio è ancora chiusa e inagibile, da riqualificare e recuperare a parco, da aprire all’uso dei cittadini, da aggiungere a un Parco delle Cave da ampliare a ben altra dimensione e ricchezza; e così, sui margini est e ovest, giacciono importanti progetti ancora non realizzati. Ma qualcosa era improvvisamente cambiato, la nuova amministrazione (come noto, del medesimo colore politico della precedente) non sembrava interessata ai progetti di completamento del Parco proposti da Italia Nostra; sembrava avere altre priorità, in parte legate a piccole clientele locali, in parte alla stramaledetta e imperante necessità della “politica” di un risultato e di una visibilità a breve termine.

Preferiva, ad esempio, spendere i soldi (tanti) nelle feste del “Verde in Comune”, feste sbagliate e diseducative (e però coerenti con quella cultura del verde come sommatoria di “parchi dei divertimenti” che è sembrata un po’ la cifra di questa amministrazione; a proposito, ci è andata ancora bene, perché almeno l’operazione ruota panoramica al Sempione, tante volte riproposta e vagheggiata, non è andata in porto). E così Italia Nostra, che non poteva e non voleva rendersi corresponsabile di una politica del verde non condivisibile, è stata costretta a sgombrare il campo, con tutti i suoi bellissimi progetti di completamento del Parco, rimasti inattuati. Dai quali, ovviamente, si potrà ancora ripartire.

Fosse almeno vero che il Comune di Milano si è davvero impegnato a ridurre il consumo di suolo: anche qui, abbiamo evidentemente un’idea diversa dei possibili effetti del nuovo PGT. Ma sono tante, troppe le valutazioni (a partire dalle più clamorose, quelle reiterate sulle competenze professionali uniche e specialissime, o sugli stipendi a costo zero) sulle quali è forse meglio tacere. In fondo, l’unico parere che conta l’hanno espresso i cittadini: il vento è cambiato.

Francesco Borella



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