28 giugno 2011

IL SINDACO PISAPIA NON È MADAME VIVIANI


I vecchi milanesi ricordano tutti il negozio di Madame Viviani (www.madameviviani.it), la storica regina delle rammendatrici che salvò il guardaroba della borghesia milanese uscita economicamente malconcia dalla guerra (salvo chi ci si arricchì). Non c’era buco che le resistesse. Ma questo, fuor di metafora, non dovrebbe essere la principale occupazione di un nuovo sindaco se solo chi l’ha preceduto non avesse anteposto la sua ambizione personale al bene della città.

Purtroppo invece Giuliano Pisapia non solo si trova un buco di bilancio ma altri, molti, strappi e buchi in città. Buchi veri, come i parcheggi sotterranei mai finiti, i buchi nelle strade, buchi vecchi e buchi nuovi, come quelli fatti nei marciapiedi dalle ditte che si occupano di gas e altre reti, che quando aprono un marciapiede prima che lo richiudano passano mesi a dimostrare l’inefficienza di chi gestisce la città. E buchi e strappi sociali. La passata amministrazione non ha saputo mai mediare decentemente tra gli interessi diversi delle diverse categorie di cittadini, tra le loro diverse abitudini, le loro diverse esigenze e le loro diverse aspirazioni. La prassi seguita era invece quella di privilegiare costantemente le categorie più forti o meglio rappresentate o quelle dalle quali ci si aspettava un voto partigiano: negozianti e scarico delle merci contro automobilisti e altre vittime del traffico cittadino, pedoni contro ciclisti e viceversa, taxisti contro cittadini, ogni corporazione contro tutti gli altri.

L’elenco è lunghissimo e non finisce di certo con la lotta delle mamme contro regolamenti assurdi nell’assegnazione dei posti – insufficienti – negli asili pubblici né con la incredibile vicenda dei nomadi e dei loro campi. Rispetto a questi buchi e a questi strappi e ai relativi responsabili, i cittadini milanesi col loro voto hanno deciso di voltare pagina ma non credo che una scheda nell’urna possa bastare. La sera della sua vittoria Giuliano Pisapia disse “Abbiamo vinto, adesso non lasciatemi solo”. Eugenio Scalfari nel suo fondo di domenica scorsa su Repubblica dà una condivisibilissima spiegazione alle parole di Pisapia: “Le esperienze antiche e recenti dovrebbero averci insegnato che il popolo sovrano esiste soltanto se la sovranità viene esercitata ogni giorno, da tutti e da ciascuno, operando al meglio nel proprio privato e partecipando alla costruzione del bene pubblico. Se il vento nuovo servirà a infonderci questi sentimenti e questi comportamenti, il risultato ci sarà.”.

Null’altro da aggiungere. Ma niente di più vero nell’amministrazione di una città, che si può governare ma con la collaborazione di tutti i cittadini.  Dunque il 55% dei milanesi non ha esaurito il suo compito che adesso diventa quello di convincere il restante 45% che la guerra voluta dalla Moratti è finita e che molti dei problemi della città si risolvono con il contributo di tutti. Il duro modo di governare alla Berlusconi (“ho la maggioranza e dunque si fa come dico io”) non porta da nessuna parte se non all’impoverimento collettivo e al regresso e alla perdita di qualunque sfida a cominciare da quella dell’Expo. Lasciamo da parte le dotte analisi dei flussi elettorali, lasciamo da parte le rivendicazioni e gli amarcord, occupiamoci di ritrovare la dinamica dei rapporti sociali e della loro nuova organizzazione: ricalcare anche qui vecchie formule non serve a nulla.

Siamo tutti alla ricerca di una classe dirigente che sia espressione della città nella sua interezza e nella sua complessità. Il lavoro fatto in campagna elettorale non va disperso. Non bisogna “tornare a casa”. Riprendendo il pensiero di Scalfari: non si va in congedo.

Luca Beltrami Gadola



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