28 giugno 2011

MAFIA AL NORD: PADRONI IN CASA D’ALTRI


Se Cristo si è fermato a Eboli Lucifero è risalito oltre Cesano Boscone. Gli allarmi per la penetrazione della ‘ndrangheta a Milano e in Lombardia si prospettano con preoccupante gravità denunciando – insieme alla crescente prossimità tra attività illecite ed economia legale – una sorta di “unificazione nazionale” (e oltre) del fenomeno criminale, sino a ieri incardinato e incancrenito dentro tradizionali confini regionali. Paradossalmente questa silenziosa “infiltrazione” è avvenuta aggirando alle spalle un sistema politico e mediatico tutto preso, negli ultimi due decenni, a dissertare su una presunta “questione settentrionale” imposta dalla Lega nelle sue diverse declinazioni (secessione, devolution, federalismo). Pressoché dimenticata invece la originaria “quistione” meridionale che aveva impegnato generazioni di intellettuali e pensatori politici dall’unificazione nazionale in poi.

L’agenda politica della “seconda repubblica” è stata infatti condizionata dall’impostazione leghista, con l’effetto collaterale di indulgere sulle malefatte berlusconiane per giustificare il “fine” superiore dell’interesse e della supremazia del Nord.  L’astuto stratega padano ha infatti impegnato, con rozzo machiavellismo, un diabolico scambio “federalismo contro populismo” più l’impunità compresa nel prezzo per l’ospite arcorese del lunedì. Inoltre lungo la tortuosa strada della velleità leghista si è perso talvolta anche il centro-sinistra, tentennante riguardo il “federalismo fiscale” e incapace di capire che il federalismo in sé risulta equivoco e fuorviante, e non basta lenirlo con gli aggettivi (solidale, democratico, ecc.).

Se volgiamo uno sguardo alla storia patria troviamo infatti che tanto il federalismo che il centralismo hanno solcato trasversalmente il pensiero politico del Risorgimento (da sinistra a destra rispettivamente con le coppie Cattaneo-Gioberti e Mazzini-Cavour), ma il centralismo vincente è stato definitivamente superato dalla Costituente che introdusse le Regioni e i concetti di “autonomia locale” e “decentramento amministrativo” accanto alla natura della Repubblica “una e indivisibile” (art. 5 Cost.).

Oggi tuttavia sarebbe maturo, qualora le forze democratiche e di sinistra ne facessero oggetto di una seria battaglia politica e culturale, un ulteriore sviluppo che, rovesciando l’impostazione leghista, applichi i principi paradossalmente tanto ignorati quanto già iscritti nella Costituzione vigente, dopo la modifica del Titolo V°. I principi di “sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione”, affermati sulla scorta del processo fondante l’Unione Europea, infatti prevedono un doppio percorso, sia nel senso dell’attribuzione di determinati poteri e funzioni dall’alto al basso, mediante decentramento e autonomia locale, sia pure nel senso opposto, dal basso all’alto, attraverso “cessione di sovranità” per quelle funzioni di cui risulta più appropriato “assicurarne l’esercizio unitario” (art. 118 comma 1 Cost.).

Caso esemplare il potere di battere moneta, proprio degli Stati sovrani, affidato all’Unione per coniare l’Euro mediante una zecca comune! Il privilegio di uno solo dei due sensi di marcia, com’è nell’apparato ideologico della Lega, conduce invece alla illusoria chiusura dentro blindate mura domestiche, alla fittizia convinzione di ritenersi “padroni in casa propria”. Il percorso opposto (dal basso all’alto o, se preferisce, dal dentro al fuori) invece consentirebbe apertura e disponibilità, facoltà di sentirsi contemporaneamente cittadini della comunità locale, della città, della regione, della nazione, dell’unione e del mondo.

In particolare il concetto di “sussidiarietà” merita di essere compreso e rivalutato a sinistra, perché la sua dimensione “verticale” induce a considerare per esempio la gestione pubblica dei beni comuni più adeguata rispetto ai privati, oppure più opportuno un governo del territorio inquadrato a livello metropolitano piuttosto che tutto affidato ai singoli Comuni. Nello stesso tempo la dimensione “orizzontale” può consentire di valorizzare il volontariato e l’associazionismo quali elementi efficaci della socialità e valida sponda per le pubbliche istituzioni. Con questa impostazione si può allora ridiscutere le condizioni dell’attuale ordinamento e affrontare le specificità regionali e locali, anche del Nord, senza farsi circondare e assalire alle spalle. Senza perdere di vista l’interesse più generale (pensare globalmente) allorché si affrontano temi particolari (agire localmente).

Tornando al tema iniziale proviamo a richiamare due esempi. Primo: quando i Comuni, sottraendosi a ogni forma di inquadramento urbanistico sovraordinato, sperperano la titolarità esclusiva dello “jus aedificandi” consentendo cementificazioni a sproposito, rischiano di favorire investimenti di dubbia provenienza e abusi finanziari da parte di “padroni in casa altrui” infiltrati di soppiatto proprio laddove i primi si ritenevano autonomi e sovrani.

Secondo: a Milano il contrasto dell’organizzazione criminale risulterà tanto più efficace se la invocata “commissione anti-mafia” avrà un assetto metropolitano piuttosto che comunale, posto che la ‘ndrangheta ha accortamente occupato, ai fini del controllo del territorio, i poli esterni della mappa metropolitana; laddove invece le pubbliche istituzioni hanno spezzato la Provincia (quindi anche la Prefettura!) dimostrando purtroppo una perspicacia più limitata.

Liberarsi dall’egemonia leghista, rovesciare la logica del “federalismo fiscale” per avviare invece la semplificazione e selezione (tre “s” con la già citata sussidiarietà) dei centri di spesa e di decisione, applicando quanto di buono è già presente nella Costituzione in vigore, può dunque rappresentare una via d’uscita – a cominciare dalla riscossa milanese – rispetto alla presente crisi che mette in sofferenza, insieme all’economia, la legalità e la democrazia nel Paese.

Valentino Ballabio



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