21 giugno 2011

IL POPOLO SOVRANO SFIDA IL PD?


La tornata referendaria ha chiarito e rafforzato il carattere di quella amministrativa: c’è gran voglia di partecipazione, di politica, di decisione in prima persona, la chiamano (ah, il design politico…) democrazia “deliberativa”, ma altro non è che la cara vecchia democrazia “diretta”, fiume carsico che riemerge dal profondo della nostra vita sociale. Se vi è stato un tratto effettivamente distintivo nel successo di Giuliano Pisapia, è stato l’aver contribuito a rafforzare l’onda partecipativa, fenomeno non solo milanese, ma che qui si è presentato con maggior forza, consapevolezza e prospettiva. Come milanesi ne siamo orgogliosi e vorremmo vederne lo sviluppo e non il deperimento rapido.

Il PD rivendica con forza il ruolo guida del successo, ma forse sfugge qualcosa di essenziale. Non ne neghiamo i meriti, ma non crediamo che il cambiamento sia tutta farina del suo sacco. Il carattere partecipativo esploso con la tornata referendaria possiede un connotato particolare che, pur facilitato dal centrosinistra e dal PD, li trascende, come se il popolo, aldilà delle convinzioni politiche dei suoi singoli cittadini, intendesse riprendere in prima persona i propri destini, strappandoli alla incerta mano della politica partitica ufficiale, spesso ridotta a “politique politicienne”. Certo, il fenomeno è più intenso nel centrosinistra che nel centrodestra, ma la partecipazione massiccia di milioni di elettori di questa parte lo qualifica come fenomeno trasversale.

La sfida alla forma partito è palese e tocca al PD in primo luogo raccoglierla, proprio perchè è vincitore e proprio la vicinanza al tema democratico che professa, ma che pratica in modo intermittente nella sua vita interna. Come conciliare per esempio esaltazione della spinta partecipativa e pratica costante della cooptazione nei gruppi dirigenti? Come corrispondere alla spinta partecipativa dei cittadini milanesi con una direzione provinciale formata su di una lista totalmente bloccata e senza preferenze? E cosa dire poi della nomina del coordinatore cittadino, a sua volta pre-scelto (cioè scelto prima nelle segrete stanze) senza alcuna autentica forma di coinvolgimento di iscritti ed elettori? Tutto questo, sia chiaro, senza offesa personale alle persone, siano Cornelli, Laforgia e altri.

E cosa dire infine della vita asfittica di tanti Circoli? Vuol dire che il PD non ha meriti nel recente passato, o che non ha chance nel prossimo futuro? No, ma meriti e chance saranno tanto più certi e solidi se il Partito Democratico saprà mettersi in sintonia con il cambiamento, svolgendo “da bravo” al suo interno il compito che l’elettorato gli ha assegnato. Perchè anche stavolta il popolo si è rimesso in moto, riappropriandosi della sua qualità “sovrana”, anzi ricordando a se stesso e a chi lo rappresenta che egli è “il” sovrano: non una qualità più o meno accessoria, ma una identità inalienabile, indisponibile. La Costituzione afferma già all’art. 1 che “La sovranità appartiene al popolo…” escludendo qualsiasi altro potere concorrente, terreno o celeste, interno o internazionale, aggiungendo che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La tensione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa viene introdotta, privilegiando senza dubbio la forma parlamentare e indiretta, ma senza escludere spazi di democrazia diretta.

Qui il referendum abrogativo è norma di salvaguardia quando il sistema viene spinto ai limiti della rottura per il dissidio tra volontà dei rappresentati e dei rappresentanti, lasciando a questi ultimi la parola definitiva. Parola certamente spesa in questa occasione, ma saremmo ciechi e sordi se non vedessimo che l’ansia crescente di partecipazione diretta non può essere “costretta” nella camicia di forza dello strumento referendario abrogativo. Questa visione appare sempre più inadeguata se si pensa che la forma mediatrice che necessariamente presuppone e attiva, insomma la forma partito, appare sempre meno idonea a rispondere a due fenomeni chiave del nostro tempo: l’esplodere multiforme delle soggettività sociali e la crescita culturale diffusa. Bisogna cominciare a pensare il nuovo, a diverse forme di partecipazione e decisione che affianchino, modifichino e integrino il tradizionale ruolo dei partiti. Crisi della democrazia indiretta quindi come crisi di crescita e non come emergenza da riassorbire quanto prima.

Allora la forma partito non ha più futuro? In assoluto non sembra né possibile né corretto, ma neppure si può far finta di non vedere il profondo cambiamento e il radicale desiderio. Ci si aspetta una più acuta comprensione dei bisogni e una più decisa capacità di innovazione. Si pensi in positivo alle primarie, la maggior innovazione prodotta a sinistra negli ultimi vent’anni.

E si pensi invece a come il processo di selezione dei gruppi dirigenti del PD (non parliamo degli altri, per carità) sia tuttora sottoposto al prevalente criterio della cooptazione, della promozione per avvenuta omologazione. Qualcuno potrà dire che non è vero, che non c’è partito anarchico e quindi iperdemocratico come il PD, confondendo ad arte il rissoso carattere politico di un organismo “semifeudale”, fondato su baroni, valvassori e valvassini, con un processo aperto di discussione e di selezione del gruppo dirigente determinato, a tutti i livelli, non dalle appartenenze ma dall’autorevolezza, dal consenso espresso dalla base, e dalla effettiva capacità di rappresentanza. A Milano si sente parlare ora di cambiamenti organizzativi ad horas per meglio rispondere alla nuova situazione: come mettervi mano? I cooptati di vecchia generazione procederanno a cooptarne di nuovi, più giovani certo, ma di nuovo e ancor più gravemente disattendendo la sostanza del mandato politico popolare? Vogliamo vedere se ci sarà il “coraggio”.

E’ il grande tema del completamento dell’innovazione politica del Partito Democratico, che tocca tutti e che i dirigenti, specie quelli milanesi, farebbero bene a non sottovalutare, considerandosi magari legittimati proprio dal voto a non occuparsene. Quale occasione migliore del successo per mettervi mano? In realtà, l’onda partecipativa mette in discussione anche loro, e anzi, se vi è un compito alto che il Partito Democratico deve assumere con decisione su di sé, è proprio questo, avendo ben chiaro che l’intensificazione del carattere democratico e aperto della propria vita interna non solo è condizione per la propria sopravvivenza, ma anche della capacità di favorire il processo civile del nostro paese: dal 13 giugno 2011 il popolo è un po’ più sovrano, non respingiamolo indietro e troviamo i modi con cui renderlo sempre più “il” Sovrano, nel PD e nella società. Delle forme di innovazione del processo di partecipazione pubblico parleremo poi un’altra volta.

 

Giuseppe Ucciero



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