21 giugno 2011

BERLUSCONI DOPO PONTIDA NOT FOREVER


Questo pezzo segue idealmente quello pub-blicato mercoledì scorso; il tema ha perso for-se un poco di immediatezza (e difatti ho cancellato i riferimenti più legati alla cronaca immediata), ma rimane il valore assoluto. “Berlusconi è patologicamente incline a piace-re agli altri, ha bisogno del loro affetto”, afferma Giuliano Ferrara (l’Economist, June 11th, 2001, p.15), con la sua solita capacità di smerciare balle mitologiche per verità asso-date. Allora come mai, dopo due sberle come Milano e il referendum, resiste sugli spalti? Ce lo spiega l’interessante opinio-ne di Bruce Bueno de Mesquita e Alastair Smith nell’articolo sul come sopportare i tiranni (“How Tyrants Endure“, NYT, OP-Ed, Friday June 10th, 2011 A35).

Ma Berlusconi è un tiranno? Non nel senso tradizionale, ma un autocrata sì, non lo dico io (che userei anche sinonimi più pesanti) lo grida come un forsennato il solito Giuliano Ferrara in una scena esilarante al Capranica: “Silvio, basta autocrazia più democrazia”, come gridare a Maria Antonietta “Basta brioches”!. I due politologi di New York University spiegano che “gli autocrati hanno bisogno di assicurare un continuo flusso di benefici ai propri sostenitori e famigli” (…) “Tra i dittatori solo i molto ricchi sopravvivranno”. La chiave di volta del sistema è quindi la disponibilità illimitata di risorse, come avviene nei paesi con molte risorse naturali (Gheddafi, per esempio, o Putin). Berlusconi, è stato, come spesso avviene agli autocrati italiani, geniale, perché ha munto il sistema impadronendosi del controllo delle risorse e superando uno dei baluardi della democrazia, il divieto di conflitto di interessi.

Una volta eliminato quel baluardo chi governa può trasferire a se stesso tutte le risorse (nostre) che vuole, comprese quelle derivanti da corruzione e da affari internazionali. Ecco perché la colpa dei geni della politica come D’Alema è grave, irrimediabile: perché non hanno impedito la costruzione di un monopolio del potere, trascurando le normative sul conflitto di interessi come roba frusta o comunque secondaria. Ma c’è una debolezza all’orizzonte: “l’autocrate che invecchia non può più offrire ai suoi portaborse i privilegi e i pagamenti che assicurano la loro lealtà. Essi sanno che non può pagarli dalla tomba. La decrepitezza indebolisce la lealtà”. Ecco perché Berlusconi aveva bisogno di Scappagnini che dicesse che lui sarebbe campato fino a cent’anni e di una banda di corifei e puttanelle che garantissero della sua prestanza.

Berlusconi non è Mussolini. E’ peggio, rappresenta la conferma vivente più incontrovertibile all’incipit del 18 Brumaio di Karl Marx: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa.” Berlusconi ha rappresentato nel nostro paese una farsa, una farsa tragica. Che abbia marcato un’epoca come nella sua mente malata pensa e ripete, non vi è dubbio, che questa epoca abbia esattamente coinciso con il periodo in cui il nostro paese è passato dalla nazione che pur essendo piena di problemi è stata ammessa all’Euro con bandiere al vento, a un paese che, come dice l’Economist, è accomunabile al Togo, Madagascar, Bahamas, Brunei, Kiribati, Zimbabwe e simili, è lì da vedere.

Ma come è stato possibile, continuano a chiedere gli amici di altri paesi? Durante l’era mussoliniana l’Italia era tagliata fuori dalle informazioni sul resto del mondo, oggi le informazioni erano e sono disponibili e molti da tempo gridavano allarmati ciò che chiunque poteva vedere con i propri occhi, ma le loro grida venivano tacitate da una potente fortificazione a più strati come le fortezze dei Templari in Terra Santa (che peraltro non hanno impedito la loro sconfitta). La cortina – fortificazione era fatta di tre strati. Il primo strato è costituito dai sostenitori “Meno male che Silvio c’è”: è lo strato di ferro, anzi di molibdeno, qualsiasi cosa succeda, spunta Capezzone, come un cucù svizzero della premiata ditta e ripete meccanicamente che tutto va bene e che la sinistra è colpevole di ogni nequizia, ma è anche uno strato impastato con il cemento di un certo stile culturale pseudo godereccio da soft-porno per militari.

Poi c’è lo strato di gomma, che è costituito dai terzini, che sono stati i più efficaci, perché come ha spiegato Alexander Stille in più di una occasione e nei suoi libri, (che non a caso vengono raramente citati) sono quelli che hanno fornito una sponda apparentemente neutrale e indipendente, quindi molto efficace (per Berlusconi). Poi c’è il muro di fumo: il muro di fumo è prodotto dagli intellettuali che sono dichiaratamente a sinistra, ma che hanno da sempre elaborato la teoria che Berlusconi non andava attaccato. Sono un prodotto del finto bipolarismo italiano che si traduce visivamente in un pie chart che, come la famosa Sfinge, propone un indovinello irresolubile.

Se il tavolo del gioco è fisso, una torta immutabile, il partito che sta al centro sinistra non ha altra alternativa per vincere che ampliarsi al centro. A qualsiasi costo: ma soprattutto senza parlare di cose indelicate: non dei PACS perché sennò perdiamo i cattolici, non del ruolo dello stato sennò perdiamo gli industriali, sottovoce degli immigrati sennò perdiamo tutti e via impaurendo, così si perde una fetta decisiva di elettorato di sinistra. E’ vero che al muro del fumo in varie occasioni l’intemperanza di alcuni personaggi della sinistra, diciamo così non regolamentare, ha fornito parecchio combustibile, ma è questa posizione autorevolmente sostenuta la principale causa della paralisi della sinistra.

Una paralisi in cui molti che non voglio nominare hanno prosperato guardando dall’alto in basso gli stupidi che cercavano vie diverse. Ora gli stupidi hanno vinto a Milano e Napoli, e in molti altri posti ancora (compreso Torino dove ha vinto alla grande Fassino, dopo Chiamparino, nessuno dei due proprio il massimo della centralità PD) e si scopre che, se non fossero stati stupidi, Pisapia e De Magistris non avrebbero vinto. C’è stata una “recovery of nerve“, nel senso del bel saggio di Peter Gay che spiega come prima dell’illuminismo e della Rivoluzione francese l’Europa aveva ripreso coraggio dopo le paure medievali. Adesso si vede che con un po’ di coraggio i muri cadono, non c’è sempre bisogno della tromba degli angeli.

Il muro di fumo non regge al vento, appena si aprono un po’ le finestre e nonostante una rinnovata produzione di fumo su base industriale. Anche qui credo che il punto di massima elongazione dal buon senso sia stato toccato da Massimo Cacciari che nella sua spericolata discesa verso il baratro non è riuscito a rallentare e, non contento di averci proposto Albertini come candidato, dopo l’affermazione spettacolare di Pisapia al primo turno, ha avuto il coraggio civile di dire che se avessimo scelto Albertini avremmo vinto al primo turno. Forse sì, ma comunque nella confusione Cacciari ha sbagliato la coniugazione del verbo; la frase doveva essere detta così: “se noi avessimo scelto Albertini come candidato loro avrebbero vinto al primo turno”.

Adesso sono già stati tirati fuori gli idranti: Maurizio Sacconi, si è cimentato nella barzelletta più spiritosa dell’anno dicendo che il risultato non tocca Berlusconi. Il quale per conto suo concorre al secondo posto proponendosi come campione delle rinnovabili. Ma il tema principe è già stato elaborato da Irene Tinaglia su La Stampa con un editoriale in cui sostiene che non ha vinto nessuno perché ha vinto il popolo. Ennò, ennò, gentile Irene Tinaglia: sarà pur vero che non sempre la dirigenza del PD ha imboccato la strada giusta, ma nel referendum alcuni partiti stavano con il popolo italiano e altri, segnatamente PDL e Lega, stavano contro. Non cominciamo a intorbidire le acque. Ma questa è una storia lunga che promette di essere divertente e per il momento limitiamoci a prendere appunti. Ne riparleremo tra un poco di tempo.

 

Guido Martinotti

 

Nota

Rileggendo l’incipit del mio pezzo di mercoledì scorso mi sono accorto che tagliando e sintetizzando ho causato un non voluto accostamento tra “intellettuali a l’appui” (è una citazione da vecchi e per vecchi che riprende il titolo allusivo di una collana di testi sessantottini della casa editrice Maspero) e il nome di Michele Salvati che critico più sotto, ma certamente non per essere un sostenitore di Berlusconi. Il seguito dell’articolo fa giustizia di questa impressione, ma ci tengo comunque a essere chiaro. Gli intellettuali a l’appui di cui parlo sono i vari Ferrara & Co, persone con mille facce, ma un ghigno solo, quello di chi è al servizio del potere. Liberamente al servizio, dice il Ferrara stesso, ma sempre al servizio.

L’unica cosa da cui Ferrara si sente veramente libero è una qualsiasi forma di morale comune perché i bolscevichi come lui hanno la sindrome di Raskolnicov. Una persona intelligente, soprattutto se impegnata in una missione rivoluzionaria non può essere vincolata dalla morale comune, che è per tutti quanti noi poveri iloti. La morale comune è anche quella che imporrebbe, dopo che si è spadroneggiato e sbruffonato per quindici anni, di non reagire al doppio cazzotto di destro e di sinistro che si è beccato il povero Berlusca, mettendosi a fare il piangina e chiedendo clemenza di giudizio. Ma quella è la morale comune. Uno intelligente come Ferrara pensa solo all’opportunità e non si è reso neppure conto di aver dato per morto il suo capo mentre ancora cammina. Il giudizio equanime lo daranno figli e nipoti tra qualche generazione, ora possiamo solo compatire una persona che ogni giorno di più si rivela, lui come i suoi sostenitori, di una modestia senza limiti.

 



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