21 giugno 2011

PISAPIA SINDACO: QUALCHE IDEA PER IL VERDE


Per non lasciar cadere questo momento magico, della Milano che riparte, vorrei provare a buttar giù qualche idea sugli indirizzi, i progetti e le priorità che, per il settore del verde, mi piacerebbe vedere nelle linee di programma dell’amministrazione, per i prossimi anni. Un po’ a sciabolate e per grandi linee, se volete, senza pretese di completezza né di “terzietà”. Io ci provo. Una premessa: il verde non è cosmesi urbana, è componente strutturale della città contemporanea. Quindi parlare di verde significa parlare di urbanistica, di assetto del territorio, di progetto della città. Dunque, anzitutto una nuova idea della città: Milano non è quella che sta dentro i confini comunali, Milano è la Grande Milano, ha, deve avere un respiro metropolitano (a proposito, anche se nessuno se n’è accorto, ricorrono giusto i cinquant’anni dalla nascita del PIM; per qualcuno, per pochi, la memoria corre a un’altra stagione di rilancio amministrativo, quella degli Hazon e dei Bassetti, con qualche nostalgia di una sensibilità e attenzione alla dimensione sovraccomunale e metropolitana, andate perdute).

Basta con la politica del verde fatta sul numero degli alberi della città (ne avevo scritto su ArcipelagoMilano tempo fa) o tutta centrata sui cosiddetti “parchi della trasformazione”, i parchi cioè ricavati all’interno dei PRU, dei PII, degli interventi sulle aree industriali dimesse, i parchi di tutte le lottizzazioni in deroga che hanno caratterizzato vent’anni di urbanistica milanese. Dei quali pure avevo recentemente scritto su ArcipelagoMilano, parlando in particolare dell’esito del concorso del Parco Citylife ma confessando una mia impressione negativa che accomuna tutti questi parchi, proprio per il loro vizio di origine: di essere in fondo un “verde di risulta”.

Un verde, dicevo “risultante appunto da un’operazione urbanistica in cui al centro dell’attenzione, non solo dell’operatore ma in qualche modo anche dell’amministratore pubblico, che ne è oggettivamente corresponsabile, sta la dislocazione ottimale della maggior volumetria possibile e non la progettazione di un grande parco per la città, di un’area verde ottimale per compattezza, per fruibilità e accessibilità urbana, per valore ecologico“. Vizio d’origine, aggiungevo, ragionando nella prospettiva del nuovo PGT che avrebbe reso dominante la logica dei mega interventi privati, “che si porta appresso un altro rischio, tutt’altro che trascurabile: il rischio che il ‘mercato’ – vedi Santa Giulia – fermi a metà le iniziative edilizie e quindi di riflesso anche i loro parchi pertinenziali; il rischio dunque che il futuro verde milanese possa essere fatto da parchi: 1. un po’ casualmente e disorganicamente distribuiti sul territorio, in relazione alla casuale distribuzione delle iniziative edilizie; 2. firmati e carissimi; 3. spesso incompiuti.

La considerazione conclusiva della mia nota sul Parco Citylife mi offre il destro per passare alla pars construens del discorso di oggi. Scrivevo: “Continuo a ritenere che Milano non abbia sufficientemente riflettuto sull’esperienza e sul metodo (di progettazione, realizzazione e gestione) del Parco Nord, del Boscoincittà e del Parco delle Cave (prima dell’abbandono di Italia Nostra), non a caso i parchi più amati dai milanesi.” (nota per gli esperti del settore: io questa riflessione ho tentato di farla da tempo; l’esempio più recente, un articolo sul n. 23 di Architettura del Paesaggio; riflessione non astratta ma da addetto ai lavori, riflessione su un’esperienza a lungo maturata, dato che, com’è noto, per me il Parco Nord è un po’ il lavoro di una vita).

Dunque anzitutto tornare a lavorare nelle periferie. Tornare a lavorare sulla cintura verde metropolitana, per ricucire e interconnettere con il verde e con la viabilità dolce le periferie urbane con i tessuti edificati della prima fascia esterna, per trasformare (vedi ancora l’esperienza Parco Nord) aree marginali e degradate di periferia metropolitana in aree pregiate, in nuove centralità; per innescare, partendo dal verde, processi di riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica di area vasta. Questo il tema che mi interessa, questo il tema su cui desidero concentrare la mia attenzione (anche a scapito di altri, ad esempio dei “raggi verdi”, che oggi hanno rubato la scena e che pure, ribattezzati eventualmente “rete primaria urbana dei percorsi ciclabili”, meriterebbero certamente attenta considerazione). Proviamo a fare un primo sommario elenco dei temi e delle situazioni da affrontare (anche qui, senza alcuna pretesa di completezza, elenco quindi aperto a tutte le possibili integrazioni).

Milano Nord. Naturalmente è il Parco Nord il perno del sistema del verde da costruire e, per prima cosa, il Parco Nord va completato: non manca molto, la cosa è possibile nell’arco del quinquennio e sarebbe davvero incomprensibile che il parco più grande realizzato in Italia nel ventesimo secolo, ideato dal PIM ai tempi di Filippo Hazon e poi costruito con grande impegno e partecipazione corale nell’arco di un trentennio, rimanesse incompiuto. Dunque completamento del Parco Nord – possibilmente, aggiungo io con convinzione, forse non troppo disinteressata, senza tradire il disegno originale – e interconnessione e progressiva messa a sistema del Parco Nord con i PLIS (parchi locali d’interesse sovraccomunale) e le altre aree verdi del nord Milano, compresi tra Groane e Parco di Monza e Valle Lambro (Parco della Balossa, Parco del Grugnotorto, sistema verde del Villoresi, Parco Media Valle Lambro). Un complesso sistema di aree verdi che, se attuato integralmente (purtroppo solo il Parco Nord per ora è vicino al traguardo) e integrato con alcune indicazioni di tutela o di intervento attivo di deframmentazione contenute nelle previsioni della rete ecologica regionale (per ora assolutamente prive di contenuti coattivi) potrebbe offrire prospettive di un futuro assetto territoriale ecologicamente più equilibrato all’intero settore nord milanese.

Milano Ovest. Il sistema verde ovest è oggi formato dai tre parchi di Trenno, del Boscoincittà e delle Cave, e si prolunga entro la città con l’area degli ippodromi e degli impianti sportivi. Come è noto, il Boscoincittà e il Parco delle Cave sono stati realizzati (il primo dal ’74, il secondo dal ’97) e gestiti da Italia Nostra, attraverso un suo braccio operativo (il Centro di Forestazione Urbana, diretto per anni dal mitico Sergio Pellizzoni e ora dal suo fedele interprete e successore Silvio Anderloni); fino all’anno scorso, quando Italia Nostra è stata costretta a disdettare la gestione del Parco delle Cave, per l’ostilità evidente dell’amministrazione di allora. In questo quadro, la priorità assoluta, oggi, è il rinnovo della concessione del Boscoincittà, scaduta lo scorso 31 dicembre e prorogata per soli 6 mesi, e quindi di nuovo in scadenza a giorni. E’ del tutto evidente che rinnovare la concessione a Italia Nostra non vuol dire soltanto garantire per altri nove anni la gestione ottimale e partecipata dei 120 ettari di area verde del Bosco, vuol dire molto di più, può essere una scelta che apre prospettive molto più vaste.

Vuol dire certamente riconoscimento di un centro di cultura del verde e di educazione ambientale che è ormai patrimonio di tutti, non solo per l’area milanese; vuol dire probabilmente riportare all’attenzione dell’amministrazione non tanto (o non subito) la gestione del parco delle cave quanto i progetti di Italia Nostra per il completamento del parco delle cave rimasti nel cassetto, ignorati dalla precedente amministrazione: quello relativo alla cava Ongari Cerutti, per esempio, cava ancora recintata, in condizioni di degrado e di abbandono, pericolosa, e che invece potrebbe essere recuperata, diventare un fiore all’occhiello del parco ed essere aperta all’uso dei cittadini, anche in chiave Expo 2015. Perché non va dimenticato che l’area Expo è assai vicina al Bosco ed è naturalmente destinata a diventare il nuovo perno del sistema verde del nord est milanese; e che quindi, in chiave Expo, molte sono le possibili sinergie tra CFU-Italia Nostra e amministrazione che si potrebbero attivare: quella del recupero delle cascine, soprattutto in funzione di foresteria, quella di valorizzazione del ricchissimo sistema delle acque, quella della valorizzazione e potenziamento del sistema degli orti urbani, quella della esposizione “sul campo” della natura e dell’agricoltura in città, con proiezione dal Bosco verso le aree agricole esterne di Pero, Settimo, Rho, Muggiano, portate a polo e modello di “agricoltura periurbana”, a un tempo produttiva e aperta alla fruizione della cittadinanza; e soprattutto, naturalmente, con la messa a sistema delle aree verdi esistenti, imperniate sul Boscoincittà, con la vicina area Expo, in primo luogo attraverso il sistema dei percorsi ciclopedonali.

Milano Est. Nel quadrante est, c’è un filo rosso (chiamarlo filo azzurro, il colore virtuale del fiume, potrebbe far sorridere) che potrebbe ricucire tutto il sistema delle aree verdi, ed è il Lambro. E la scelta da fare subito, quasi a occhi chiusi direi, da parte della nuova amministrazione, è quella di aderire al PLIS della Media Valle del Lambro, inserendo nel Parco una quarantina di ettari di aree in territorio di Milano (confinanti con aree verdi di Sesto e Cologno, già incluse nel PLIS); aree già destinate a verde e in parte già sistemate a giardino, il Parco Adriano, un giardino di quartiere, dal carattere e respiro locale; aree che invece, inserite nel PLIS, potrebbero assumere un significato (e un disegno, e inserirsi in un sistema ciclopedonale ed ecologico) assai più vasto.

Con tale scelta, il PLIS della Media Valle Lambro (che, va ricordato, garantisce, in prospettiva, un corridoio ecologico e un percorso ciclopedonale fino al Parco di Monza e anche, grazie alla interconnessione con la Martesana, che cade appunto nel tratto milanese, un percorso ciclabile fino all’Adda, questo già oggi fruibile) avrebbe una penetrazione nell’urbanizzato milanese fino allo svincolo di Cascina Gobba, attraverso il quale, non senza difficoltà, potrebbe trovare una connessione ciclopedonale verso sud, col Parco Lambro urbano, e da qui con le varie macchie di verde esistente, da potenziare e mettere a sistema, nell’est milanese, vale a dire con Rubattino, col Parco Forlanini/Idroscalo e col Parco di Monluè, che già è parte del Parco Sud e che quindi già rappresenta una connessione forte col sistema del verde regionale.

E’ dunque col tratto urbano del Lambro, per decenni abbandonato come terra di nessuno, che bisogna tornare a fare i conti, per farne il “sistema verde est”, avente il carattere e di corridoio ecologico e di direttrice di un percorso ciclabile, aperto verso nord fino al Parco di Monza, attraverso il PLIS Media Valle Lambro, come si è detto, verso est fino all’Adda, verso sud fino alle Abbazie, alle cascine e alle vaste potenzialità del Parco Sud. Un tratto di fiume, quello urbano più compromesso, di circa 4 Km , tra il Parco Lambro e il Parco Monluè, un terzo circa della dozzina di Km dell’intero tratto milanese del fiume, tra il ponte – canale della Martesana e la Paullese; un lavoro importante e affascinante, da impostare da subito, da affrontare con pazienza e perseveranza, gradualmente nel tempo.

Al cuore di questo sistema verde est, un episodio a sé, importante: il completamento del Parco Forlanini. Nel 2001 si è fatto un concorso internazionale, nella prospettiva del grande appalto “chiavi in mano”. Da allora è tutto fermo. Ho sempre pensato, continuo a pensare che anche per il Forlanini il metodo dei piccoli passi, del work in progress, sull’esempio del Parco Nord o del Boscoincittà, con un direttore e un ufficio parco sul posto, capace di raccogliere e coordinare la partecipazione dei cittadini e delle realtà locali, potrebbe essere quello giusto.

Milano Sud. Qui non c’è nulla da inventare, in teoria. C’è solo da riprendere in mano il Parco Sud e da mettersi a lavorarci per davvero. Il lato sud della cintura verde metropolitana, si può dire, è ancora tutto da fare. E se non ora, quando? Se non si coglie oggi l’occasione di una Expo, centrata sui temi della nutrizione e dell’energia, per mettere al centro dell’evento la nostra grande area agricola del sud Milano e per far decollare il progetto di farne davvero un Parco, non sarebbe un po’ come rinunciare all’idea?

Il tema meriterebbe un discorso a parte. C’è una legge istitutiva del Parco del ’90, c’è un Ufficio Parco della Provincia che ci lavora da vent’anni, c’è un piano territoriale di coordinamento, eppure è difficile affermare che questo parco sia decollato per davvero. Certamente i cittadini non se ne sono accorti; sono pronti a difenderlo dalla minaccia del cemento, questo si, ma avrebbero bisogno di essere aiutati a conoscerlo, a percorrerlo, a identificarlo in alcuni capisaldi territoriali, in alcune aree verdi fruibili, riconoscibili, esemplari: quelle che potrebbero essere le “teste di ponte urbane” del Parco Sud, le aree d’interfaccia tra la città e il Parco Agricolo, aree verdi del Parco Sud ma allo stesso tempo anelli della cintura verde metropolitana.

Ecco la priorità assoluta, a mio parere, quello che davvero manca per poter considerare avviato e riconoscibile il Parco Sud, dai cittadini in primo luogo: aree verdi aventi funzioni di aree gioco, di punti attrezzati di sosta, di parcheggio, di partenza dei percorsi ciclopedonali, di organizzazione e smistamento della fruizione nel parco agricolo, di interfaccia con la realtà agricola. I rischi del Parco Sud sono in primo luogo quelli di cementificazione: sia di cementificazione di aree agricole pregiate a scopo speculativo, che di cementificazione da grandi infrastrutture, soprattutto stradali, paesaggisticamente devastanti.

Ma il rischio più serio, per il Parco Sud, è quello di non riuscire a far decollare davvero il Parco nella realtà, con trasformazioni territoriali coerenti col progetto del Parco e come tali leggibili e identificabili dai cittadini e dall’opinione pubblica: in primo luogo le nuove aree verdi urbane, le teste si ponte di cui ho parlato; ma anche il sistema dei percorsi ciclopedonali; i nuovi boschi e il nuovo equipaggiamento vegetale della campagna; la tutela e valorizzazione dello straordinario storico sistema delle acque; il recupero e la rivitalizzazione delle antiche strutture storiche, le cascine, i mulini, le pievi, le abbazie, i castelli; soprattutto, la progressiva silenziosa rivoluzione della “nuova agricoltura per la città” e del nuovo paesaggio agricolo conseguente, il vero e compiuto suggello dell’operazione Parco Sud.

 

Francesco Borella



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