14 giugno 2011

SOLDI E MATTONE. NON CAMBIA MAI


Lo sviluppo urbano organizzato attorno alla speculazione immobiliare ha avuto in questi anni, oltre agli effetti economici e sociali di cui molto è stato scritto, anche un effetto politico indiretto. La città ha smesso di produrre idee, è diventata monocorde: tutto ruotava attorno alle possibilità offerte dalla valorizzazione della sua terra. Dapprima questo valeva per le opere pubbliche, il destinare parte del plusvalore prodotto dai suoli per la costruzione della città è la ratio stessa dell’urbanistica, poi si è pensato che questo potesse valere anche per la creazione e infine addirittura per la gestione dei servizi pubblici.

Così, mentre il patrimonio pubblico, risultato dell’attività di risparmio e donazione di generazioni e generazioni di uomini civici, viene alienato perché considerato improduttivo e perché c’è bisogno di denaro vero da sommare a quello semi-virtuale prodotto dagli strumenti urbanistici, gli strumenti urbanistici stessi consegnano la città e gran parte del valore che vi è depositato, nelle mani della speculazione per consentire una rapida produzione di moneta e un’estrazione accelerata e definitiva di quel deposito.

La città diventa così la metafora di una miniera data in concessione per il suo sfruttamento. Ma le miniere, come spiegava già Mashall e come è ormai acquisito dal tempo delle grandi bolle coloniali, danno una rendita un po’ particolare, perché il tesoro che la natura vi ha depositato è esauribile. La città concede dunque le sue royalties a coloro che l’hanno presa in concessione. Così, per continuare ad arricchirsi i nuovi concessionari hanno due strade: tenere a lungo in vita la miniera e estendere il perimetro di estrazione. A Milano le cave di estrazione, diffuse fuori le mura, rappresentano efficacemente questo modello economico, arcaico e premoderno. Ma un discorso analogo vale per i terreni da risanare. La città è ormai una grande cava da cui estrarre valore.

Questo sistema, dicevamo, ha prodotto la sua deriva politica: la distruzione di un ceto politico locale. Progettualità, creatività, intelligenza politica sono state, per così dire, devolute allo smantellamento dei vincoli urbanistici e alla superproduzione di valore estrattivo dalla miniera urbana. La balcanizzazione delle amministrazioni pubbliche è stata il prodotto di estenuanti trattative sulle quantità di valore da estrarre dal suolo e sulle destinazioni della moneta così prodotto. Che poi la gran parte del plusvalore finisse nelle mani della speculazione e che solo una piccola quota andasse alla collettività non faceva problema per i nostri governati, perché era già stabilito che si giocasse all’infinito.

A questo si è aggiunto il paradosso che, mentre si consegnava l’intero sistema delle royalties nelle mani della speculazione, si mercificava il patrimonio pubblico, cioè quell’insieme di beni già disponibile per la produzione di royalties collettive. A Milano si è giocato pesante in questi anni e l’allargamento del perimetro estrattivo alle aree dell’esposizione universale non risolve i problemi, ma crea un’opportunità che andrà gestita con accortezza. Si tratta di vedere, in pratica, se da questa vicenda ne usciranno più forti gli immobiliaristi o la collettività.

Milano può tornare a produrre urbanità se saprà rivoluzionarsi culturalmente e cambiare il volto del suo apparato finanziario. Ancora oggi ci sono analisti finanziari che, considerando i banchieri come semplici intermediari, ne ricavano una concezione riduttiva e sbagliata dell’attività finanziaria. Già Schumpeter spiegava che il banchiere non è un semplice intermediario di quella particolare merce chiamata “potere d’acquisto”, ma un vero e proprio “produttore” di denaro e metteva questa figura sociale in relazione con la figura dell’imprenditore. Il grande economista spiegava poi che il suo imprenditore non era da confondersi col proprietario d’azienda e nemmeno col manager.

L’imprenditore di Schumpeter è una figura molto milanese: è un creatore di “nuove combinazioni”, cioè di procedimenti estranei alle routine economiche abituali. È un ambizioso che, realizzando se stesso, fa ricca la collettività. A Milano, da qualche lustro, la routine abituale si basa sul circuito, poco schumpeteriano, di credito a buon mercato e valorizzazione facile sul sottostante edificabile. Non c’è bisogno di proclami e di crociate, perché sara tutt’altro che facile, ma la rinascita milanese comincia da qui.

Mario De Gaspari



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