14 giugno 2011

cinema


TUTTI PER UNO

di e con Romain Goupil [A Hard Day’s Night, Gran Bretagna,1964, 85′]

con Valeria Bruni Tedeschi, Linda Doudaeva, Jules Ritmanic, Louna Klanit, Louka Masset, Jeremie Yousaf

22 marzo 2067, Milana (Linda Doudaeva), protagonista dell’ultima discussa e toccante pellicola di Romain Goupil, ricorda quello che ha vissuto sessant’anni prima. Nel 2009, Milana è una bambina di nove anni di origine cecena che frequenta le scuole elementari a Parigi. Con lei ci sono i suoi inseparabili compagni Blaise, Alice, Claudio, Ali e Youssef.

Per reagire all’espulsione dell’amico Youssef e impedire la stessa sorte a Milana, i bambini giurano di restare sempre uniti e decidono di organizzare un complotto.

In questo film, il transalpino Romain Goupil, già leader del maggio francese e oggi attore e regista, sceglie di trattare un tema difficile come il dramma dei clandestini, i cosiddetti sans papiers (senza documenti), di grande attualità per un paese come la Francia che, proprio in questo periodo, deve far fronte all’arrivo di numerosi immigrati nordafricani in fuga dai paesi in rivolta.

Goupil sceglie come protagonista un gruppo di bambini ed é a loro che il film sembra essere indirizzato. È solo imparando da loro, dalla loro capacità di non badare a differenze di razza, colore, religione che si può sperare in una società migliore. L’unico adulto in scena che riesce a comprendere questo magico linguaggio infantile é Cendrine, la mamma di Blaise e Alice, interpretata dall’attrice Valeria Bruni Tedeschi. Sorella della première dame, non si è fatta influenzare o intimorire dalla recente parentela con il presidente Nicolas Sarkozy.

Il suo personaggio riesce a incarnare perfettamente quel sentimento rivoluzionario di fratellanza che la Francia delle espulsioni di oggi sembra aver dimenticato. Il messaggio che arriva allo spettatore è chiaro. La necessità di ribellarsi e la forza contagiosa della solidarietà ci vengono trasmessi in modo apparentemente giocoso ma, più che mai, diretto e convincente.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Cinema Anteo

PULP FICTION

di Quentin Tarantino [USA, 1994, 154′]

con: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Maria de Medeiros, Harvey Keitel, TimRoth, Amanda Plummer, Christopher Walken, Ving Rhames, Eric Stoltz, Rosanna Arquette

Pulp, «massa di materia informe e molle». Con questa definizione si apre Pulp Fiction [USA, 1994, 154′] di Quentin Tarantino. Quasi un avvertimento allo spettatore: state per entrare in un’opera di basso livello, dallo stile popolare, simile a «un libro che tratta argomenti sinistri, normalmente stampato su carta di bassa qualità» (questa infatti la seconda definizione di Pulp). Dopo l'”ammonimento”, la storia comincia. Anzi, le storie. La sceneggiatura di Tarantino si diverte a rimbalzare tra tre storie differenti, ognuna con una propria autonomia, ma tra loro collegate. Tutto inizia e finisce in un classico diner americano: partiamo dalla rapina di Zuccherino (Tim Roth) e Coniglietta (AmandaPlummer), e ritorniamo – dopo più di due ore – in quello stesso luogo, poco prima dei titoli di coda.

Nel mezzo, il regista offre un’esperienza visuale senza tempo. Non c’è modo di contestualizzare Pulp Fiction in un periodo storico: siamo immersi in un’orgia di elementi e caratteristiche che spaziano dagli anni ’20 a un futuro incerto. Niente è vero. È fiction a tal punto da far saltare qualsiasi tipo di connessione. Anche la colonna sonora – per la maggiore diegetica (proviene “dall’interno” del film) – è un miscuglio di generi che spaziano dal rock al surf, dal funk al blues, scombinando ogni riferimento temporale.

L’esperienza Pulp Fiction, oltre a senza tempo, è senza senso. Se nel film precedente, Le iene [1990], le scelte registiche contribuivano ad aumentare la tensione della narrazione, questa volta non c’è alcuna preoccupazione. Tutto diventa un gioco al servizio del cattivo gusto e dell’oscenità. Tutto è pulp, appunto. Il non-sense è il protagonista del film. Il vuoto. La bravura di Tarantino (allora 29enne), sta nel rendere questa sensazione di “vuoto” bello, attraverso un “pieno” brutto. Il “bello” del vuoto è nella capacità di trasformare la banalità in spettacolo, riempiendo lo schermo con miriadi di segni e simboli. Segni e simboli ripresi dall’immaginario popolare, non importa di quale epoca. Un citazionismo estremo che vive di rimandi alla storia del cinema e alla cultura di massa; dai piccoli particolari, come le sigarette Red Apple fumate da Mia Wallace (Uma Thurman, bella, bella) già viste in Le iene, fino a completi movimenti della macchina da presa che danza ricalcando alcuni film del passato.

L’importante è che tutto sia pieno. E inutile. Sono pieni e inutili i dialoghi brillanti, per evitare quei «silenzi che mettono a disagio» di cui parla Mia a cena con Vincent Vega (John Travolta). Un cinema del dialogo ossessivo, banale, sterile ai fini della narrazione. Tarantino sembra rispondere all’esigenza di un horror vacui postmoderno, dove l’occhio non vuole solo la sua parte, ma esige un ruolo da protagonista. Il nostro godere è stimolato dal rapporto conflittuale tra fabula e intreccio; la cronologia frammentata – anch’essa riferimento al cinema di exploitation degli anni ’70 e ’80 – contribuisce a quel senso di bricolage narrativo in cui tutto è provvisorio e frammentato. Il divertimento di Tarantino (che è il nostro divertimento in sala) è simile a quello di un bambino nativo digitale.

Il film, come dicevo prima, pur iniziando e finendo nello stesso ristorante, è tutt’altro che circolare. La sua struttura è molto più simile a un ipertesto: un gioco di link che si cliccano rimandando a se stessi. Si citano e auto esaltano senza mai prendersi sul serio. Una superficialità a tratti comica (pensiamo alla sequenza in cui Vincent spara accidentalmente a Marvin); superficialità davvero vicina al modo di muoversi creato da Internet: surfare orizzontalmente senza per forza annoiarsi nella profondità. I “troppo intellettuali” sentiranno una puzza strana davanti a Pulp Fiction, non permetteranno ai loro fini cervelli di adeguarsi al kitsch del Jack Rabbit Slim’s: diner di cattivo gusto sommerso di feticci della cultura americana che, per un attimo, fanno pensare a una serigrafia di Andy Warhol. Storceranno il naso davanti a John Travolta che – 50 kg più tardi – balla rialzando La febbre del sabato sera [John Badham, 1977].Intanto noi, ancora una volta, ci facciamo avvolgere da questa «massa di materia informe e molle», gongoliamo nel gioco di Tarantino, saltiamo avanti e indietro, e l’unica preoccupazione morale che ci assilla è sapere il contenuto di quella valigetta attorno alla quale ruota la storia.

Paolo Schipani

Pulp Fiction è stato proiettato, domenica 12 giugno, alla Festa Democratica 2011 di Pregnana Milanese. Il tributo a Quentin Tarantino continua la prossima settimana – domenica 19 giugno – con la proiezione di Le iene. Via Gallarate, Pregnana Milanese – area feste.

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org



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