7 giugno 2011

NUCLEARE SI O NO? COMMENTO DI UN ELETTORE NON ESPERTO


La trasmissione del 2 giugno di Annozero merita di essere commentata perché i pro-nuclearisti avevano messo in campo alcuni dei loro più potenti pezzi da campagna: l’infor-matissimo professor Battaglia, la Signora Santanchè (con-quella-bocca-puoi-dire-quello-che-vuoi e, modestamente, lo disse) abilissima nel passare dalla ammuina alle moine (scelte le seconde, per l’occa-sione) e una figura pubblicamente nota e accattivante come Chicco Testa. Non sono un esperto della materia, ma semplicemente un cittadino, moderatamente bene informato (per quanto è possibile esserlo nel guazzabuglio di informazioni che ci propinano i media italiani) e scrivo perciò da questo punto di vista, concentrandomi sulle contraddizioni evidenti di alcune argomentazioni.

Primo: solo verso la fine della trasmissione il direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, ha fatto notare che il referendum non elimina la ricerca o l’uso del nucleare per sempre, ma solo per la durata dell’effetto del referendum, cinque anni. Mi sarei aspettato che questo particolare cruciale fosse stato fatto rilevare subito, dal conduttore o da qualcun altro: si sarebbe così evitato che, barando, i tre filo-nuclearisti, per tutta la trasmissione giocassero la carta dell’apocalisse della conoscenza, dell’industria e dell’economia, nel caso in cui le norme varate dal governo fossero abrogate. Cinque anni, di cui uno comunque andrebbe perso nella moratoria proposta dal governo. Interessante poi che nel frattempo il Berlusconi dica che il referendum serve a nulla. Beh, mettetevi d’accordo, apocalisse o solletico? Preghiamo i nuclearisti di non barare: la Signora Santanchè non ha imparato nulla dall’effetto sul voto per la Moratti di tutte le balle raccontate dalla destra a Milano?

Secondo: la contrapposizione tra la posizione “razionale” dei nuclearisti e quella “emotiva” degli antinuclearisti, è un vecchio trucco e, pour tout dire una sola che una persona intelligente come Chicco Testa non dovrebbe sottoscrivere. E’ un vecchio trucco perché da sempre i padroni hanno sostenuto che la produzione è razionale. “Ma inquina …” Ecchissenefrega è stata la risposta standard per decenni e secoli. La diga è pericolosa? Non fare l’irrazionale! Le ciminiere produco CO2? Non fare l’irrazionale! La miniera è pericolosa. Non fare l’irrazionale. Ovviamente razionale o meno dipende da chi definisce la razionalità, e questa non è una semplice chicane teorica. Le cose stanno proprio così.

Certo, in terzo luogo, io non voglio decidere su una questione così importante come l’approvvigionamento energetico sulla base di “paure” generiche nei confronti dell’atomo, non meno di quanto, nonostante gli sforzi di Santanché, Formigoni, Salvini e compagnia di giro, non voglia decidere sulla moschea a Milano per la paura dei terroristi. Ma chi fomenta la paura? Alla fine del film di Pollack, I tre giorni del Condor (1975) il capo della CIA (Higgins, Cliff Robertson) rampogna il giovane analista (Turner, Robert Redford) che ha appena consegnato un rapporto al New York Times in cui si denunciano le malefatte della CIA (incluso l’assassinio di tutta l’unità in cui lavorava) e lo sbeffeggia dicendo, “ma tu cosa credi, lo sai cosa faranno questi bravi cittadini quando avranno freddo perché non ci sarà più petrolio per scaldarli” (quando qualcuno non sarà lì a provvedere il combustibile per il famoso picco delle 7 di sera)? Perciò io ho il diritto di uccidere i tuoi compagni di farti inseguire dal killer Joubert (Max von Sydow) e anche di ammazzarti, se ti avessi preso. Non è paura questa?

La stessa che per anni è stata agitata dai tycoon di tutto il mondo: se non si produce non si mangia, quindi io ho il diritto di inquinare fin che voglio. Ma forse sul famoso picco possiamo ragionare, io faccio sempre il seguente esperimento con i miei studenti: mostro una foto satellitare dell’Europa, o del mondo, di notte, un fantastico incendio di luci, poi en passant chiedo, chi si fosse accorto del blackout nell’illuminazione pubblica della notte passata. Nessuno, ovviamente; l’illuminazione delle città di notte, che fa parte del famoso picco, serve soprattutto agli abitanti della Luna che se ne beano, e alle nostre paure per le città buie, come lo sono state per millenni, e anche durante la seconda guerra mondiale.

Di recente sono stato a Port Sudan, e girando la sera per una città in penombra, con qualche fioco neon colorato per segnalare ristoranti o altri luoghi pubblici, ho provato una ondata di nostalgia perché da piccolo sono cresciuto in un paese (come lo era quasi tutto il resto dell’Europa, almeno) in cui la sera era buio. Oggi noi teniamo accese le città per un fatto emotivo, la paura del buio, e non “razionale”.

Però a questi ragionatori qualche domanda la si potrà pur fare. Siamo sicuri che i costi totali (inclusi quelli per la sicurezza del contesto e quelli per gi incidenti) rendano il costo per KWH prodotto con le centrali nucleari così inferiore a quello di altri modi di produzione? Ma se così fosse come mai i privati non ne vogliono sapere di indebitarsi per la collettività se non vi sarà una certezza della redditività del capitale a cominciare dall’oggi: nessuno ci dice dove prenderemmo i soldi per costruirle. Nel frattempo dovremmo già sborsare 40 miliardi per il pareggio di bilancio… La questione dello stoccaggio dei sottoprodotti della fissione viene passata come un dettaglio trascurabile, ma la soluzione non è stata trovata da nessuno, USA compresi. Anche l’uranio e gli altri elementi radioattivi non sono abbondanti sul nostro pianeta e hanno le stesse caratteristiche dei combustibili fossili sul piano strategico a medio lungo termine. Infine vi è la questione delle fonti alternative che nella fase d’avvio devono essere sostenute da finanziamenti pubblici che verrebbero a mancare nel caso di scelta nucleare. Insomma queste ragionevoli osservazioni (che traggo da commenti dell’amico Sergio Tremolada) fanno anche loro parte dell’emotività? Da parte dei nuclearisti non ho sentito molte argomentazioni “razionali” in proposito.

Da ultimo: e se anche fosse? Cioè se fosse vero che il nucleare, per il mondo, è la migliore delle alternative, perché dovremmo assumercene i rischi anche noi in Italia? I pro-nucleari hanno escogitato una variante dello spauracchio: la rassegnazione. Tanto anche se non le costruiamo noi le centrali ci sono in Francia, Svizzera, Slovenia (che se ho capito bene è dell’Enel o quasi) così se esplodono, siamo investiti anche noi: “che fai dai fuoco al pagliaio?” “Tanto sta già bruciando quello del vicino”. Se questo è un ragionamento “razionale” mi domando di che ragione stiamo parlando, tanto mi sembra illogico e tendenzioso un argomento di tal fatta. Per cominciare se ci fosse un incidente a Muhlenberg o Krsko i costi per i pompieri li pagherebbero la Svizzera o la Slovenia: e poi per nostra fortuna le centrali esistenti sono tutte collocate al di là delle Alpi. Se per avventura l’Enola Gay avesse sganciato per sbaglio Little Boy su Ginevra invece che Hiroshima, sarebbe stata una catastrofe, ma non c’è ragionamento al mondo che possa sostenere che per noi, che andiamo a votare a un referendum in Italia, non farebbe differenza alcuna se invece che su Ginevra Little Boy, per errore, fosse caduta su Vercelli.

Non emotivamente, ma razionalmente al limite del cinismo, non si potrebbe invece dire che, poiché l’Italia per una ragione qualsivoglia non ha avviato a suo tempo il nucleare, oggi può continuare a comperare l’energia altrove? Dopotutto se io non ho la casa in proprietà ho sempre la possibilità di affittarne una: certo l’affitto costa, ma costruire la casa anche, e per chi questi soldi non li ha, fare un grosso debito può non essere la soluzione più “razionale”. Tant’è vero che il ministro Tremonti e il Premier Berlusconi che di tutto possono essere accusati, meno che non di essere razionali in fatto di danaro, hanno venduto molte proprietà pubbliche, facendo poi prendere in locazione le stesse proprietà dagli enti che avevano alienato gli immobili. E’ vero che chi si è comperato la casa anni fa ha, in genere, fatto un migliore affare che se avesse investito la stessa somma in borsa, ma questo riguarda la razionalità individuale: siamo sicuri, ma proprio sicuri sicuri che dal punto di vista del cosiddetto “sistema paese” l’elevato tasso di proprietà sia stato un bene?

Comunque visto che l’Italia il nucleare non ce l’ha, siamo sicuri che il costo di farlo in ritardo, acquistando tecnologie altrui, sia inferiore, “razionalmente” al costo di acquistare l’energia prodotta altrove? Ah, dice, ma così dipendiamo dagli altri. Già, ma per petrolio o per il gas non è così? E poi quanto nucleare potremmo fare, e in quanto tempo? Sentiamo dire che le energie rinnovabili non raggiungono il 10% del fabbisogno, ma il nucleare? In passato abbiamo raggiunto il 2/3% del fabbisogno di allora, anche se raddoppiassimo le centrali dismesse non arriveremmo al 5/6% massimo in due decenni. E’ davvero una proposta così attraente? E, dulcis in fundo, o meglio in cauda venenum, dove si farebbero queste centrali? L’unica area sismo logicamente stabile nel paese è la Pianura Padana, siamo sicuri che quelle regioni darebbero l’assenso? Perché altrimenti è tutta “aria fritta”, come avrebbe detto Ernesto Rossi.

Il vero enjeu di quello che viene chiamato il “dibattito sul nucleare” è la profonda sfiducia che gli italiani hanno per i potenti che svolgono attività pericolose per il pubblico, cioè per tutti noi. Le burocrazie capitaliste (private o di stato non fa alcuna differenza, vedi il comportamento al limite del crimine della TEPCO, Tokyo Electric Power Co.) hanno a cuore il proprio interesse molto di più che non l’interesse pubblico. Questo è il vero problema da affrontare. Dopo anni di “responsabilità sociale delle imprese” di “bilanci sociali” (già dove sono finiti?) e così via, la Confindustria applaude gli omicidi della Thyssen. Possiamo “razionalmente” fidarci di questa imprenditoria? Le leggi italiane ci difendono a sufficienza contro le cricche che controllano tutti i grandi appalti, oppure contro lo sfruttamento fraudolento e generalizzato rivelato dalla vicenda Aiazzone? E’ una richiesta troppo “socialista” o troppo “emotiva” che si affronti questo problema seriamente, prima di stabilire se l’atomo fa bene o male o se le perforazioni delle montagne o delle città sono senza pericolo o meno? Io credo che questa sia la vera questione di fondo, e che, se non risolviamo questa questione in modi decentemente accettabili da tutti, avremo sempre paura. Ma sarà una paura legittima e razionale, e pienamente giustificata, soprattutto dopo avere ascoltato il tipo di argomenti che i difensori del nucleare hanno portato nella trasmissione di Annozero.

Guido Martinotti

 



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