7 giugno 2011

UN “ESTREMISTA MODERATO” A MILANO


“Estremisti moderati”. Così, con questo ossimoro efficace, intreccio di speranze e vigile spirito critico, Mario Pannunzio chiedeva nell’Italia del ’44, che si comportassero i leader della sinistra.

Di questo oggi avrebbe soprattutto bisogno Milano: un “estremista moderato” per rimuovere le macerie del post-Moratti. Giuliano Pisapia ne ha le doti e sta dimostrando la voglia di esserlo. Di macerie, del resto, dovrà rimuoverne parecchie.

“Siamo l’unica città senza addizionale Irpef e nessuna nuova tassa; niente tasse di soggiorno; biglietti del tram senza aumenti; tariffa dell’acqua più bassa d’Italia”, aveva proclamato la Moratti scrivendo in aprile a tutti i milanesi per sollecitare altri cinque anni da Sindaco. Si era purtroppo dimenticata di aggiungere che tanto bengodi – oltre ad essere stato ottenuto smantellando o logorando il tessuto del welfare locale, un tempo vanto della tradizione civica ambrosiana – poggiava su una situazione di bilancio pessima.

Questa situazione era stata, in verità, più volte denunciata dalle forze che negli scorsi anni sono state all’opposizione a Palazzo Marino. Poi dalla relazione diffusa il 31 maggio dai Revisori dei Conti del Comune erano giunti consistenti elementi a sostegno di questa valutazione: un documento pieno di dati e di allarmati richiami che, nel frastuono della campagna elettorale, era stato colto in tutta la sua portata esplosiva solo da un ristretto numero di esperti, come Marco Vitale.

Ma ora è proprio con questi dati che dovrà confrontarsi la nuova Amministrazione e si tratterà, è facile prevederlo, di un confronto assai duro. Dei 48 milioni di utile, dichiarati dalla Moratti in occasione delle consegne al nuovo Sindaco, non sembra trovarsi riscontro effettivo, mentre in modo ben più certo si delinea un saldo in rosso potenzialmente di 65 milioni di euro e un “andamento assai negativo delle entrate” che potrà rendere problematico per Palazzo Marino il rispetto del patto di stabilità.

Un’eredità, insomma, pesante ben più delle peggiori aspettative. Senza contare la cattiva condizione di un apparato burocratico a lungo trascurato (e considerato dalla destra un impaccio piuttosto che una risorsa) e le tante incognite legate alla galassia delle aziende controllate dal Comune, sottoposte ormai da anni a una stile di gestione nel quale merito e rigore amministrativo trovavano sempre più difficoltà a farsi valere. Per i vincitori del voto di maggio si profila insomma una strada stretta e impervia.

Come affrontarla nel modo più efficace? Pisapia, oltre indicare con nettezza come valori di riferimento antifascismo e Costituzione, ha posto in cima alla sua agenda tre priorità: dignità del lavoro, impegno per le periferie e città metropolitana, discontinuità. Sono direttrici cruciali per la svolta che Milano attende e appropriate per caratterizzare il nuovo governo cittadino. E saranno il banco di prova più eloquente del rapporto fra il Sindaco e la sua maggioranza. Quest’ultimo è un tema sul quale, durante la lunga campagna elettorale, Pisapia ha espresso con chiarezza le sue intenzioni: ci si deve ora aspettare che esse non troveranno ostacoli per tradursi in fatti concreti.

Il modello a cui si ispira il nuovo Sindaco è quello della “democrazia decidente”: molto ascolto e dialogo, ma poi scelte precise sulle quali la parola finale spetta al primo cittadino. E’ una responsabilità che Pisapia può assumersi perché è forte della sua indipendenza dai partiti e del patrimonio di fiducia che gli ha affidato la città; può contare, inoltre, su un grado di coesione del centro-sinistra milanese, mai in passato così alto. Da qui si può partire con il piede giusto per un percorso che sarà comunque arduo.

Un elemento positivo è dato dalle nuove norme che impongono, con il limite dei 12 assessori, un governo snello. Questo andrà integrato da figure, oltre al city-manager, di diretto riferimento del Sindaco e tali da coadiuvarlo in funzioni importanti. Pisapia intende dotarsi di un delegato alle relazioni con il sistema delle imprese e con il sindacato. Potrebbe essere anche utile – per dare forza al decentramento – costruire un rapporto diretto con i Presidenti delle zone che, riuniti assieme periodicamente, potrebbero diventare un prezioso organismo di consulenza (senza spese!) per il Sindaco.

Un segnale innovativo potrebbe venire anche dalla costituzione, sul modello di quanto progettato a Torino da Piero Fassino, di un “Comitato di indirizzo strategico” nel quale chiamare (naturalmente a titolo assolutamente gratuito) personalità indipendenti e significative della città. Uno strumento utile ma anche un modo, simbolicamente evidente, per ribadire che solo attraverso un incontro virtuoso fra forze politiche e società civile può avviarsi per Milano un rinnovamento autentico. Ma per ottenere un simile risultato è decisiva anche la discontinuità con il passato.

Non invettive o gesti vuotamente retorici che rischierebbero di essere solo controproducenti (Pisapia l’ha colto subito in occasione dell’ultima apparizione di Nichi Vendola in piazza del Duomo). Piuttosto scelte rigorose e meditate suggerite al nuovo Sindaco dalla competenza giuridica e dalla sensibilità politica delle quali ha mostrato di essere largamente in possesso.

Sollecitare dal nuovo Consiglio Comunale una delibera di revoca, in parziale autotutela, della delibera di approvazione del Piano Generale del Territorio – ipotesi prospettata da giuristi autorevoli come Ezio Antonini e Achille Cutrera – potrebbe, per esempio, segnalare che a Milano il vento è davvero cambiato.

Antonio Duva




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