24 maggio 2011

MILANO: FARE RETE DENTRO PER FARE RETE FUORI


Milano è una città di mezzo. Lo è, in primo luogo, per la sua collocazione geografica: a mezzo fra le colline e la pianura, fra il Ticino e l’Adda, fra Europa occidentale (Barcellona – Lione – Torino) ed Europa centro-orientale (Trieste – Budapest – Vienna), fra il mondo germanico (Stoccarda – Zurigo – Monaco) e il mondo mediterraneo (Genova – Roma – Napoli). Lo è, in secondo luogo, rispetto alle tante culture e alle tante città di cui l’Italia è fatta, oggi come ieri. Milano non ha guidato il processo politico dell’unificazione del nostro paese, non ha governato l’Italia, non ha avuto nemmeno una classe politica abbastanza rappresentata a Roma.

Ma ha avuto un ruolo decisivo nel “fare l’Italia”, se per Italia intendiamo un felice equilibrio fra unità e diversità, da mantenere e rafforzare. A Milano, nell’età industriale, sono affluiti cittadini da tutte le parti d’Italia, cittadini dalle identità professionali molto diversificate. E questi cittadini così diversi hanno imparato a conoscersi, a convivere, a lavorare insieme, a condividere idee, prospettive e innovazioni. Ciò sta alle radici di quella creatività che Milano ha avuto un tempo e che oggi deve sapere ritrovare e rilanciare.

Milano sapeva mediare, tradurre, intercedere, facilitare, fare regia. E tutto ciò è stato decisivo per creare e innovare. Da vent’anni non è più stato così. Ma oggi Milano può diventare di nuovo un laboratorio della città globale. In Milano hanno preso corpo in forma esemplare, quasi sperimentale, tensioni, limiti, utopie della città moderna. Ed è proprio per il suo profondo radicamento nelle contraddizioni della modernità che Milano può diventare un laboratorio per rispondere alle nuove sfide dell’età globale.

Con la svolta politica che speriamo inizi con l’elezione di Giuliano Pisapia a sindaco, Milano ha un’occasione unica per rompere con la sua tradizione di “capitale subordinata”, “capitale a metà”, o “capitale mancata”. Oggi esiste davvero la possibilità di infrangere la falsa alternativa fra il tessuto urbano tradizionale della città moderna, che esprime un’idea di autorità e di progetto centralistica, unilateralmente volta dall’alto verso il basso, e il tessuto urbano che si è sviluppato negli ultimi decenni, che quasi ha rinunciato a ogni valore simbolico per privilegiare in maniera miope una presunta efficienza funzionale, un pragmatismo fine a se stesso, i valori del breve e del brevissimo termine.

Milano oggi si trasforma da “centro” in “nodo di reti”: anziché esercitare un controllo monodirezionale su un territorio unico e continuo, è sede di relazioni multi direzionali entro territori molteplici e discontinui, prossimi e globali. Tuttavia, è impossibile che Milano faccia rete all’esterno se non fa rete al suo interno. Milano è oggi troppo segnata da dinamiche monocentriche, da confini rigidi, da ostacoli all’accessibilità reciproca fra individui, fra gruppi, fra spazi.

La storia della Milano moderna è segnata dalla rapida ascesa e dall’altrettanto rapido fallimento della città modernista, “retta dall’auto”, con i suoi flussi veloci che comprimono gli spazi fra i luoghi di partenza e i luoghi d’arrivo. Ciò ha peggiorato la qualità di vita delle persone, impoverendone l’esperienza, l’esposizione alla diversità dei modi di vita e delle culture, la possibilità degli incontri. In breve, si è ridotta la creatività complessiva della città.

Il problema della qualità e della quantità delle interazioni fra le persone nella Milano di oggi si pone con particolare importanza, perché Milano è storicamente stata, e oggi ancora più vuole porsi, come “città della conoscenza” e “città delle professioni”. La progettualità urbana deve quindi prendere consapevolezza del fatto che oggi operare nell’ambito della conoscenza (non importa se nell’ambito della ricerca, dell’innovazione, della formazione, dell’organizzazione) e nell’ambito delle professioni significa tessere una ricca rete di relazioni fra individui e fra gruppi dotati di differenti linguaggi e di differenti punti di vista.

A Milano, i gruppi di esperti e specialisti sono stati lasciati soli e isolati dalla mancanza di una visione progettuale da parte della politica, che ha mancato nel suo ruolo oggi ineludibile: facilitare le relazioni, le collaborazioni, la costruzione di un tessuto sociale connettivo. È proprio qui che, con il sindaco Giuliano Pisapia, può e deve partire una forte inversione di tendenza: la costruzione di nuovi legami sociali interni come precondizione per una città della conoscenza, per una città nodo della rete globale. Per una città.

 

Mauro Ceruti

 



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