24 maggio 2011

Scrivono vari_25.05.2011


Scrive Massimo Gargiulo Io, “centrista” convinto, voterò Giuliano Pisapia il 29 maggio. Amo Milano, città nella quale sono nato 65 anni fa e nella quale ho sempre vissuto, ho alle spalle una lunga militanza nella Democrazia Cristiana, lo scorso 15 maggio ho votato per Manfredi Palmeri sindaco e per la lista dell’Unione di Centro. Il 29 maggio voterò per Giuliano Pisapia. Lo farò principalmente per due motivi: perché Letizia Moratti non vuole aprire Milano all’area metropolitana milanese per difendere gli interessi di pochi.

Il comune di Milano, così com’è oggi, è una realtà arcaica che non è in grado di rispondere né alle esigenze di chi lo abita né a quelle di chi lo usa, talvolta quotidianamente, per motivi di studio o di lavoro venendo dall’hinterland o da più lontano. Nonostante che Milano sia stata in prima linea, fin dagli anni ’70, nel dibattito sull’istituzione della Città Metropolitana, da quando si sono realizzate le condizioni giuridiche (nel 1990) e costituzionali (nel 2001) per realizzarla il Comune non ha fatto assolutamente nulla.

Ma questa inerzia è dovuta a una precisa scelta politica della maggioranza che governa Milano. Una scelta che privilegia interessi consolidati all’interno della cinta daziaria di Milano, a scapito delle fasce più deboli della popolazione milanese e di quanti vivono al di fuori di essa, compresi quanti – cittadini milanesi – l’hanno dovuta abbandonare. Per questo il Comune ha rinunciato al dialogo con i comuni dell’area metropolitana e ha fatto le proprie scelte in perfetta solitudine, com’è evidente nell’impostazione che ha voluto dare al Piano di Governo del Territorio.

Un Piano che non saprà cucire la città, il suo hinterland e i comuni della provincia per la riqualificazione delle periferie, il recupero delle aree industriali dismesse e la valorizzazione dei centri urbani, vanificando in tal modo le potenzialità strategiche di questo strumento urbanistico per la crescita dell’intera area metropolitana e il miglioramento della qualità della vita di tutti i suoi abitanti.

E poi perché Letizia Moratti e i suoi sostenitori sono incapaci di gestire i cambiamenti di Milano.

L’attuale maggioranza, per un calcolo miope e ormai controproducente, ha fatto finta di non accorgersi che nel 1990, a fronte di una popolazione residente di 1.432.184 persone, Milano contava “soltanto” 39.729 stranieri, pari al 2,8% degli abitanti della città, mentre nel 2010, 20 anni dopo, i residenti ufficiali in città erano scesi a 1.310.384 mentre quelli stranieri erano saliti a 217.902, pari al 16,6% degli abitanti ufficiali della città: cioè 1 su 6.

Ancora più grave è che l’attuale maggioranza non abbia prestato alcuna attenzione alle previsioni del Settore Statistica del Comune di Milano che indicano che nel 2020, cioè al termine del decennio, i residenti ufficiali a Milano sono destinati (sulla base di un’ipotesi media) a scendere a 1.292.220 e di questi ben 314.539, cioè 1 su 4 residenti ufficiali, saranno stranieri (per poi salire a quasi 1 su 3 nel 2028).

Letizia Moratti, e tanto meno le forze che la sostengono, non hanno fornito alcuna indicazione su come gestire queste trasformazioni, benché da esse dipendano il benessere e la sicurezza dei milanesi residenti, presenti e futuri, nonché dei suoi abitanti stranieri che diventeranno in gran parte cittadini a tutti gli effetti.

Giuliano Pisapia, invece, ha dimostrato in questi mesi, a differenza di Letizia Moratti in tutti questi 5 anni, non soltanto una grande capacità di ascolto e di dialogo con i cittadini di Milano, con gli immigrati, con le comunità dell’area metropolitana, ma anche un forte impegno per risolvere i problemi degli abitanti di Milano, a partire, come spero, da quelli che ho qui indicato.

 

Scrive Riccardo Lo Schiavo a Guido Martinotti – Mi permetto di scriverle per ringraziarla dell’ultimo articolo che ha confermato la mia lettura dei dati. Di mestiere faccio il business analyst (conto i pezzi venduti….) per cui a urne ancora calde ho visto i totali e subito ho notato che non eravamo cresciuti a Milano ma avevamo comunque vinto. Subito mi sono confrontato con gli amici di ArcipelagoMilano e tra questi anche con “l’inquilino dell’articolo sotto il suo” su ArcipelagoMilano, Walter Marossi.

Noi tutti concordiamo che il messaggio politico a “Piselloni”, come lo chiamano alla radio, sia eloquente; quello che mi turba è che il dato vittoria, ma con ferite, è tuttavia “strutturale”. Se a Napoli era largamente previsto il disastroso, il dato di Torino, dove Chiamparino aveva fatto bene ma Fassino non è un carneade, conferma se non acuisce Milano: vittoria ma con perdita (e… maggiore) di voti. Naturalmente, all’interno della cerchia dei disincantati, si può parlare e osservare il fenomeno. Se viceversa ci si rivolge a quelli di stretta obbedienza ex DS/DC si viene subito bollati come disfattisti.

I sondaggi e le aspettative a Milano erano di un 21-22% (e li si sussurrava di nascosto) e si è ottenuto il 28%… La dirigenza, oserei dire sino a ieri allo sbando, non è in grado di prevedere con un decente margine di errore il risultato. A mio parere la genesi di questo voto è alloctona, sta nel default del centro destra e non è farina del nostro sacco. “Commercialmente” avrei preteso una dichiarazione pre elettorale dove ci si aspettava di tenera “la quota” o si aspirava a un più modesto 22%, il nostro Piave. Ma non ha mormorato neppure il Lambro …

A questo punto appariranno i soliti padri della vittoria ma riprodurranno meccanicamente gli stessi schemi fallimentari di cui si sono resi artefici sino a oggi. Come capitalizzare una tale vittoria senza disperdere l’eredità del nonno (il riformismo lombardo)?

 

Scrive Nicola Iannacone a Francesca Zajczyk – Solo la lista di SEL offre alla città la presenza di due donne sui possibili 3 o 4 candidati che potrebbero passare. se si tiene in conto che in Regione sempre SEL ha un unico consigliere donna, possiamo dire con certezza che (riprendendo le parole di Vendola al comizio dell’8 maggio) SEL è una PARTITA.

 

Scrive Felice C. Besostri a Walter Marossi – Moderato dovrebbe significare esclusivamente credibile riformatore, cioè che sa che per raggiungere obiettivi, anche radicali, occorre tempo, un progetto e un’alleanza in grado di vincere le resistenze al cambiamento e di difesa degli interessi costituiti. Non c’è bisogno di essere collocati politicamente al centro per non essere un estremista. Un moderato centrista non è in grado di suscitare partecipazione popolare e senza partecipazione non si governa nè con il popolo e neppure per il popolo: sognare coi piedi per terra

Essere un fabiano e un po’ marziano, cioè essere percepito come non appartenente alla nomenklatura. Pisapia c’è riuscito e anche per questa ragione ha contenuto i Grillini. I Grillini hanno maggiore successo dove il candidato appare un apparatciniki del PCI-PDS-DS-PD: Bologna, Rimini, Cesenatico, Torino sono nella media dl 5%, ma Fassino ha uno spessore (non vuole essere una battuta!) ben più consistente di Merola; le percentuali più basse dei Grillini si sono registrate a Milano, Napoli e Cagliari: dove si sono fatte primarie vere o dove il candidato non era stato il frutto di primarie avvelenate. La sinistra deve comunque fare i conti con i Grillini, ma tra un’elezione e l’altra. Tra l’altro non sono un fenomeno solo italiano. In Spagna in vista delle elezioni “autonomiche” e amministrative PSOE e IU hanno grosse preoccupazioni per il movimento 15-M di rifiuto e rinnovamento della politica



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