10 maggio 2011

LA PORTA DI MILANO


In un’intervista di quasi dieci anni fa, Luigi Caccia Dominioni confessava che il suo più grande rimpianto per la “Milano interrotta” della ricostruzione era di non aver pensato abbastanza in grande per preservare il centro e ricavare nella fascia tra i navigli e la circonvallazione un ring di verde, incentivando l’elevazione in verticale con arditi grattacieli. “Bastava un’idea sola e semplice – erano le sue parole – blocco del centro, grande ring e slancio in altezza. Milano sarebbe rimasta quella vecchia là, non fuori mano ma in centro e nel grande verde tra navigli e bastioni, grattacieli altissimi e bellissimi”!

Non posso fare a meno di pensare a quello sfogo raccolto in previsione del catalogo della grande mostra dedicatagli dalla direzione del museo veronese di Castelvecchio, ogni volta che entro a Milano di ritorno da Como o da Torino. Pur nella percezione distratta dell’automobilista, non si può fare a meno di cogliere l’effetto sprawl che sale dall’informe impasto di case, capannoni e torri per uffici che ingorga il tappo d’accesso alla città secondo una delle sue più importanti direttrici storiche, facendo perdere il senso dell’orientamento e frustrando le eventuali attese dell’imminente accesso alla “grande città”.

Con qualche eccezione del passato, Milano non ha mai coltivato il senso del Landmark, appiattendosi al suolo per paura di figurare troppo ardita o velleitaria, secondo una malintesa declinazione della sua tradizionale morigeratezza urbana. Era ovvio dunque che nell’urbanistica dei grandi gesti, tipica della deregulation postmoderna, rispuntasse, come un indigesto rimosso, l’aspirazione allo skyline, al monumento laico della magnificenza urbana, alla scultura eccezionale capace di farsi cogliere da molto lontano. Ma i simboli, come è noto, li crea la storia, non la volontà degli uomini o magari la storia contro la volontà degli uomini storici. Sono spesso involontari ( la torre Velasca, diceva Aldo Rossi, ci ha messo venti anni per comparire in una cartolina di Milano), perché anzi, quando sono voluti, risultano spesso tanto tronfi da passare per ridicoli.

Come quelli annunciati di City Life, nell’ex fiera, per esempio, che hanno fatto dell’estetica del Landmark la loro principale ragione di esistenza, o come quelli di Porta Garibaldi, sempre più insipidi per ogni nuovo piano raggiunto. Come il Bodio Centre, anche, o le torri della Fiera e le decine di altri sparsi cubicoli verticali distinti tra di loro solo dal colore del rivestimento. L’unico momento in cui l’occhio percepisce uno stacco, avverte un salto di scala e la necessità di un secondo sguardo è quando si intravvede dal cavalcavia che fiancheggia il QT8 il tempio smontato di Gino Valle nell’area del Portello.

Non è la forma in sé, né la peculiarità dell’architettura (scabra, peraltro, e senza dettagli), ma l’arguzia del pensiero: di fronte al solenne Timpano dell’extension della Fiera progettata qualche decennio fa da Mario Bellini proprio con l’idea di affrontare il tema della porta urbana, Valle scelse la strada dell’ironia. Come a Bicocca, con la sede della DGBank voltò le spalle alla regolarità dell’ordito di Gregotti con un educato sberleffo, così al Portello gli sembrò troppo serioso il riferimento templare di Bellini. Decise allora di smontare il Timpano in tre grossi frammenti deposti al suolo, come in una parodia della Caduta degli Dei e ci lasciò una piccola lezione di umorismo architettonico. Non so se questa sia una porta di Milano, ma è certamente un buon biglietto da visita per dire al turista e al commuter che anche in questa città lo spirito non è ancora stato ucciso del tutto dalla spocchia.

A proposito della quale, tuttavia, sarebbe negligente non osservare la riuscita alquanto stravagante del mausoleo erboso di Charles Jenks, l’altro polo (verde) dell’operazione Portello, su cui il giudizio tuttavia appare ancora sospeso. Di Cino Zucchi e di Guido Canali, nulla si può dire in tal senso, perché la loro (riuscita) ambizione non era quella di farsi porta di città, ma città e basta.

Fulvio Irace



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti