4 maggio 2011

ESEMPI PER L’EXPO: UN PERGOLATO IN PIAZZA DUOMO


L’energia più pulita che c’è è quella che non si consuma, dice un neo-proverbio. L’energia che non si consuma inoltre non solo non costa nulla, ci fa anche guadagnare, perché riduce la nostra dipendenza dall’estero e raddrizza la nostra bilancia dei pagamenti. Non ci vuole molto a concludere che, anziché cercare di saziare la nostra fame bulimica di energia producendone sempre di più, ha senso piuttosto mettersi a dieta cercando di consumarne sempre meno. Visto che oltretutto la manna nucleare che avrebbe dovuto nutrire la nostra fame di energia per l’eternità incomincia a emanare un odore sospetto.

Ma come facciamo, se l’aumento dei consumi è l’unico volano che potrà prima o poi far partire la benedetta “ripresa” che tutti aspettiamo, e la prima cosa che si consuma consumando di più è proprio l’energia? Per uscire da questo circolo vizioso bisogna uscire anche dall’illusione infantile che l’economia del libero mercato, dopo averci lasciato sprofondare nella peggiore crisi degli ultimi due secoli, sia in grado di tirarcene anche fuori. Il sistema deve riconoscere la scarsità delle risorse e gestirle meglio, evolvendosi verso un’economia dei beni, anziché delle merci, e questa evoluzione deve essere garantita e guidata da chi ha il potere e la capacità di farlo. Non il capitalismo finanziario, non il libero mercato, che volentieri remano contro, ma le istituzioni pubbliche.

Non occorre quindi intaccare i principi di formazione del profitto, è sufficiente che le istituzioni valorizzino positivamente conservazione e produzione di risorse vitali, e negativamente il loro spreco, riconquistandosi il ruolo di guida e di modello per il quale esistono. Per fare un esempio: tutte le imprese edili ormai evidenziano la classe energetica degli edifici nella loro pubblicità, ma avrebbero mai iniziato a farlo senza una normativa che ne imponga la certificazione?

Questo è un tema di rilevanza nazionale, ma sono proprio le istituzioni pubbliche di Milano che oggi, grazie anche all’agognata EXPO 2015, hanno sia il potere che il dovere di porsi all’avanguardia. Se questo è il ruolo delle istituzioni pubbliche, la prima cosa da fare dunque è intervenire sull’edilizia che esse stesse usano. L’edilizia pubblica, e parliamo soprattutto di scuole e uffici, è rimasta finora ai margini del rinnovamento tipologico e impiantistico necessario a ridurre i consumi non solo per motivi di costo, ma anche per un grave vizio di fondo.

Prendiamo come esempio un qualunque liceo milanese, con sede in un edificio pubblico. Semplificando molto, quel liceo per la sua attività consuma energia per illuminazione, riscaldamento, manutenzione degli impianti, ma non sa quanto, perché i costi li paga in questo caso la Provincia. Mentre la Provincia, che paga, lo fa senza essersi dotata di strumenti per controllare se quel liceo consuma troppo o no, e per intervenire strutturalmente a ridurre eventuali sprechi. Se è vero che le aziende pubbliche imparano l’efficienza da quelle private, la prima cosa da notare è che nessuna azienda privata sopravvivrebbe a una simile schizofrenia gestionale. Oltretutto abbiamo visto nell’articolo precedente che con una valutazione energetica e interventi mirati si può trasformare lo spreco in investimento, e quindi trasformarlo in attività che risponde a un bisogno, crea lavoro e produce ricavi, e non costa nulla ai contribuenti.

Per fare un altro esempio se spostiamo l’ottica dall’economia delle merci all’economia dei beni, con l’avvicinarsi dell’estate noteremo anche un altro paradosso. Per vari motivi i consumi estivi di elettricità causati dall’uso intensivo degli impianti di condizionamento a Milano si stanno avvicinando ai consumi invernali. E’ indubbiamente sensato consumare energia quando quella disponibile nell’ambiente non basta, lo è assai meno consumare energia quando quella disponibile invece è sovrabbondante. Dunque una buona politica energetica della nostra amministrazione locale non dovrebbe limitarsi al consumo invernale, dovrebbe anche incentivare interventi che riducano il bisogno di condizionamento estivo, un bisogno fino a una decina di anni fa limitato agli uffici ma che ormai investe quasi tutta l’edilizia e per un terzo dell’anno.

La cosa è tutt’altro che impossibile, anche qui le buone pratiche esistono già, oltretutto collaudate in paesi più avanzati. Basti citare l’iniziativa del governo USA rappresentato da Steven Chu, Segretario del Dipartimento Energia e premio Nobel per la chimica. Chu nel 2010 ha avviato un programma di trasformazione delle coperture di tutti gli edifici governativi negli Stati Uniti, in tutti, non solo negli stati del Sud, secondo il collaudato principio del “cool roofing” (tetti freschi, in pratica verniciando di colore chiaro i tetti esistenti), come strumento importante per ridurre il consumo estivo di energia.

Un’iniziativa di questo genere a Milano è proponibile non solo per gli edifici pubblici ma anche per quelli privati, soprattutto se con impianti di raffrescamento. Basterebbe dare incentivi per verniciare i tetti di colore chiaro, per il montaggio di brise-soleil sulle facciate vetrate e per la diffusione del verde come rivestimento per pareti verticali o orizzontali esposte al sole.

Faccio una proposta provocatoria: coprire per i quattro – cinque mesi più caldi tutta la Piazza del Duomo con un pergolato stagionale, con edera e panchine, regalando frescura ai turisti, anziché centrifugarli nei bar circostanti. Forse sarebbe più apprezzato che non le discutibili sculture o i palloni gonfiati di qualche griffe che ci troveremmo comunque installati. Le foglie sono ancor meglio delle superfici chiare, perché assorbono la radiazione solare e la metabolizzano per far crescere la pianta, anziché rifletterla nell’ambiente.

Provocazioni a parte, con un insieme di provvedimenti come quelli descritti si potrebbe ridurre non di poco il consumo estivo di energia in tutta la città, riducendo oltretutto l’effetto di “isola di calore” (le temperature in città sono di 2-3 gradi più alte che in campagna) che caratterizza città come Milano d’estate. Questi sono solo esempi, mettere Milano a dieta (energetica) non rovinerebbe certo l’economia, e oltre a rendere la città più vivibile la renderebbe più presentabile di fronte ai visitatori attesi da tutto il mondo per l’EXPO.

Giorgio Origlia

 



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