3 maggio 2011

E DOPO? PROVE DI GOVERNO PER MILANO


La campagna elettorale è entrata nella sua ultima fase anche a Milano trascinandosi dietro le tradizionali querelles tra i candidati a sindaco e le promesse di rinnovamento della città. C’è un tema che appare ancora debole nel dibattito e che invece potrebbe diventare centrale soprattutto nell’ipotesi di vittoria del centrosinistra che si troverebbe a governare una città profondamente diversa da quella amministrata ormai qualche decennio fa. Non è cambiata solo Milano, sono cambiate le grandi città in Europa e nel mondo e la governance urbana è un tema importantissimo ovunque, non solo nella dimensione locale ma anche in una dimensione globale.

Milano, come altre metropoli, ha bisogno di un governo della città che nei prossimi anni risponda alle emergenze, risolva problemi e costruisca sviluppo. La ricetta è tutta da costruire perché le metropoli in particolare richiedono per funzionare un nuovo equilibrio/patto tra le competenze che la città esprime, gli interessi economici e i valori di riferimento che sono in forte e continuo cambiamento. In altre parole anche a Milano bisogna far interagire il capitale umano e sociale della città, con il capitale economico e il capitale culturale.

I partiti però non riescono più a svolgere questa funzione e il forte astensionismo che viene annunciato anche per questo appuntamento elettorale ne è una conferma. Per questo dire “se si vince a Milano, si vince in Italia” può essere vero ma può anche nascondere un pericoloso equivoco; infatti, Berlusconi sicuramente non si sconfigge rincorrendo i temi sollevati dal premier (magistratura rossa etc) ma neanche e soprattutto pensando che sia sufficiente per far cadere l’avversario contrapporre una larga coalizione di tutte le forze di centro sinistra.

Il distacco dalla politica di molti italiani e anche di molti milanesi deve spingere su un’altra strada più difficile ma non eludibile. La strada è quella di pensare a proposte innovative di sviluppo globale della città e, contemporaneamente, alle risorse concrete (umane, relazionali, economiche) per realizzarle. Per questo è molto importante ragionare non tanto sul toto vicesindaco e sul toto assessori o sulla pur fondamentale e necessaria presenza femminile nella giunta Pisapia; bisogna confrontarsi sul modello di governo della città che avrà solo cinque anni di tempo per cambiare Milano.

La prossima giunta di Milano non potrà essere né il matriarcato tecnico di Letizia Moratti né il condominio di Gabriele Albertini, ma non potrà assomigliare neppure alle Giunte precedenti del Centro sinistra della città, tanto ricordate in questi giorni dai diversi candidati. Il modello di un sindaco papà (o mamma) che rappresenta la città e che mette d’accordo tutti (cittadini, imprenditori, partiti etc) e una giunta formata da tanti assessori competenti nei singoli settore (scuola, servizi sociali, bilancio, casa, etc) che, ognuno nel proprio campo/orticello, decidono il programma e gestiscono le risorse non funziona più perché occorre avere una gestione trasversale, cooperativa, su progetti obiettivo.

Certo, il modello tradizionale delle giunte di centro sinistra è più vicino alla necessità che la giunta sia la fotografia della coalizione che sostiene il sindaco ma non è più tempo di equilibri costruiti con il bilancino e attraverso faticose trattative. I milanesi hanno bisogno di riconoscersi in un progetto globale e concreto, con una squadra di giunta che non litighi dividendosi in continuazione su Expo, sul sociale o sull’innovazione, ma che lavori con continuità e competenza sui grandi temi della città, creando un nuovo riformismo urbano capace di collegare Milano con le grandi città del mondo che stanno affrontando i temi emergenti della coesione e della sostenibilità.

Se questa è la sfida appare ancora più insostenibile e lontana dall’opinione pubblica uno schema di campagna elettorale basato prevalentemente sulla competizione tra liste e tra candidati nella singola lista (anche nel PD), alla ricerca spasmodica dei voti necessari per essere eletti e per arrivare primi come preferenze in modo da poter contare nella giunta, in consiglio o, chissà, nei futuri assetti di partito. Il distacco dalla politica di molti/e milanesi richiede, per essere colmato, di generosità e capacità di contribuire in ruoli diversi da parte di chi condivide davvero un progetto di cambiamento di Milano e non solo la voglia di mandare a casa la Moratti e Berlusconi.

Questa è la condizione peraltro di riuscire a coinvolgere nel governo della città le competenze del mondo delle professioni che a Milano non chiedono solo sostegno e supporto pubblico ma sono disponibili a mettersi in gioco per modificare concretamente in meglio la qualità della vita urbana. Occorre quindi prevenire le divisioni e la litigiosità tipiche delle coalizioni di centrosinistra e non rimandare al dopo voto la discussione sul modello di Giunta e sui temi prioritari per la città; certo i programmi del sindaco e delle diverse liste che lo appoggiano sono stati scritti e depositati ma c’è la necessità, in queste ultime settimane di campagna elettorale, di dire qualcosa di più e di nuovo per recuperare al voto gli indecisi e cominciare a costruire da subito la nuova governance di Milano.

Anna Catasta



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