26 aprile 2011

PIAZZA MERCANTI


Piazza Mercanti: piazza centralissima; raggiungibile facilmente per chi proviene da qualsiasi direzione; vicina ai maggiori centri urbani: commerciali, finanziari, monumentali; dotata di tutte le prerogative per essere animata di giorno e di notte; eppure Piazza Mercanti persiste da anni a essere un luogo urbano morto, spento, negletto. Non basta a renderla vivace il ristorante ospitato al piano terra del Palazzetto Panigarola, sul lato ovest della piazza; non bastano i vicini e frequentatissimi negozi di via Orefici; non bastano le animate via Torino e via Mazzini che convogliano gruppi di giovani lungo il lato ovest di piazza del Duomo, tangente all’angolo della stessa piazza Mercanti.

Anche la recente chiusura al traffico e la conseguente destinazione pedonale del tratto di collegamento tra Duomo e Cordusio (attuale via Mercanti) non è stata sufficiente a dare vita alla piazza, e a rendere animata l’area compresa fra il Broletto (Palazzo della Ragione) e la Loggia degli Osii. All’inizio del XX secolo è stata infelice l’idea di sventrare la piazza originale, che nei secoli passati era chiusa su tutto il suo perimetro; e ancora non era squarciata, come è adesso, dagli enormi varchi aperti sui due lati opposti, uno verso piazza del Duomo, l’altro verso piazza Cordusio. L’apertura della piazza e il suo collegamento, sia viario che visivo, con i due vicini poli urbani, rispettivamente della Cattedrale e delle Banche, non ha giovato alla sua configurazione spaziale: da luogo raccolto e racchiuso, circondato da nobili edifici antichi, quale era in passato, è diventato oggi un ibrido connubio formato da un tronco di strada e da un residuo di piazza, separati l’uno dall’altro dall’edificio del Broletto. Non c’è dubbio che la piazza originale, occupata nel centro dal torreggiante volume dello stesso Broletto, aveva tutte le caratteristiche per essere un luogo di ritrovo e di sosta, un punto di incontro tranquillo e silenzioso, un’area di riparo e di protezione, calata nel cuore della città.

Sembra difficile restituire al complesso urbano, formato dalle attuali via Mercanti e piazza Mercanti, quel fascino di recinto isolato e appartato che aveva una volta. Gli stessi monumenti antichi, ancora oggi presenti, non sembrano valorizzati e apprezzati come lo erano un tempo, quando costituivano una cortina continua di fabbricati allineati a fare da cornice intorno alla vecchia piazza.

Gli interventi recenti volti ad accrescerne il decoro e l’aspetto monumentale della via, attraverso la collocazione delle due grandi lastre marmoree, firmate dallo scultore Consagra, sono segno di una intenzione buona, ma realizzata in modo improprio. Dovrebbero attirare chi arriva da piazza del Duomo, e invitarlo a infilarsi in via Mercanti, per percorrerla tutta da cima a fondo: in realtà le due lastre sembrano due massicci gendarmi messi a guardia della via allo scopo non tanto di invitare i passanti a entrare, ma piuttosto di sbarrare a loro il passo e tenerli fuori. Si sarebbe dovuto pensare a una migliore collocazione delle sculture; e usarle come motivo di unione tra le due estremità della via, ponendole una all’ingresso da piazza del Duomo, e l’altra all’ingresso da piazza Cordusio. Per accentuare il loro rapporto di reciprocità avrebbero dovuto essere collegate da un segno visibile, così da apparire entrambe come parti coordinate di una composizione unitaria. Questo segno poteva essere o una fascia continua di marmo colorato, tracciata sull’attuale lastricato e tesa senza interruzioni da una scultura all’altra; oppure uno stretto canale d’acqua corrente: un sottile fossato artificiale, scavato fino a lambire le due sculture, distanti e contrapposte, come se fossero gruppi decorativi emergenti dall’acqua.

Di fronte alla mediocre soluzione attuale, ci si domanda quale ufficio tecnico del Comune abbia deciso la poco felice, anzi banale, collocazione delle due sculture di Consagra; ci si chiede chi abbia scelto i due tozzi e goffi basamenti che, invece di valorizzare le opere, le appesantiscono e privano di grazia, di carattere, di energia. Per questo tipo di decisioni estetiche, tutt’altro che secondarie, perché non rivolgersi a chi è più preparato e meno incolto dei nostri insensibili Amministratori comunali?

L’assenza del Comune – peggio la sua mancanza di buone maniere – si è manifestata pubblicamente quando pochi mesi fa una nota Ditta di restauri ha fatto omaggio al Comune della completa sgrassatura e pulizia del lastricato sottostante il Broletto. Alla presentazione dell’eccellente lavoro eseguito sul pavimento del portico, tornato nitido e ripulito come doveva essere l’originale, era presente soltanto la Soprintendenza ai Monumenti, ma nessun rappresentante del Comune, sebbene fosse proprio quest’ultimo il titolare della donazione. Ciò dimostra quanto poco stia a cuore alla attuale Amministrazione l’aspetto della città.

Gli attentati alla integrità estetica di piazza Mercanti non sono ancora finiti. Da qualche tempo si va profilando la minaccia di chiudere sotto vetro le maestose arcate del portico, e di trasformare l’imponente spazio aperto, sormontato dal volume del Broletto, in una trasparente serra di cristallo. L’obiettivo è facile da indovinare: completata la chiusura del portico, esso diventerà area affittabile per usi commerciali; e si trasformerà da spazio pubblico, frequentato da tutti i cittadini, in ambiente privato, accessibile solo ai clienti di negozi o di agenzie. Di recente la stessa riprovevole operazione è stata portata a termine in corso Vittorio Emanuele, dove il portico progettato dallo studio di architettura B.B.P.R. è stato chiuso e concesso in uso a una gestione privata.

Contro il progetto di chiusura vetrata del portico si è mossa, indignata, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), in difesa della lapide, ivi esposta, che commemora i caduti durante la Resistenza. Piazza Mercanti è un luogo non solo monumentale ma anche commemorativo; merita rispetto, invita alla meditazione. La comprensibile e condivisibile protesta dell’ANPI si rivolge contro chi vorrebbe trasformare la piazza in un centro commerciale o in una centrale di servizi, snaturandone la vocazione a luogo di ritrovo, di sosta, e di conoscenza della Storia.

Invece di proporre interventi incongrui e contrari alla sua vocazione civile, nonché lesivi della sua configurazione architettonica, vi sono modi più semplici di ridare vita alla piazza; modi più a portata di mano, più economici, e nello stesso tempo più efficaci. Senza inventare nuove strutture, senza aggiungere nuovi arredi, senza ricorrere a nuove installazioni, è sufficiente usare le opportunità che già esistono: tra queste il salone, altissimo e solenne, che occupa l’intero volume dell’edificio, al di sopra del portico. Resta incomprensibile il fatto che questo vasto salone venga usato così di rado, quando si sa che a Milano vi è endemica carenza di ambienti pubblici capaci di accogliere le molte e auspicate manifestazioni culturali. Ulteriore prova di quanto poco sia apprezzata e valorizzata la nostra città, ricca di risorse e di beni ancora troppo poco conosciuti.

Jacopo Gardella



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