19 aprile 2011

PIAZZA FONTANA


Piazza Fontana, così chiamata per l’ammirevole e non abbastanza ammirata fontana che si trova nel suo centro: elegante creazione scultorea dell’architetto Piermarini (1734-1808); formata dall’intreccio di curve e controcurve, e da una successione di vasche sovrapposte. Ma lasciata negletta e poco valorizzata, in mezzo ad un carosello di rotaie tramviarie. Una piazza così centrale e così ricca di monumenti dovrebbe diventare un accogliente luogo di sosta e di riposo, completato da alberi: sarebbe un angolo di città desideratissimo da tutti, soprattutto da bambini, come ha fatto osservare Paola Bocci, sensibile ai problemi di una infanzia ancora oggi del tutto trascurata, in un centro città totalmente privo di verde.

Ma la non-politica della attuale amministrazione (e ahimè anche delle passate, sebbene di colore politico diverso) non si pone il problema di rendere bella la nostra città; di farla diventare decorosa, piacevole, accogliente. Eppure la piazza offre ricche vedute su insigni monumenti storici: a est il vecchio Tribunale, attivo durante il governo spagnolo; a ovest l’austero Palazzo dell’Arcivescovado; e, di fianco a esso, in lontananza, lo scorcio imponente dell’abside del Duomo. Non è edificante, occorre riconoscerlo, il lato sud della Piazza, interamente occupato dalla facciata della Banca dell’Agricoltura, tristemente nota per l’attentato del dicembre 1969. In compenso, da poco tempo, il lato nord è chiuso da un pregevole edificio di recente costruzione, che occupa quasi interamente un’area rimasta per decenni inagibile, perché devastata dai bombardamenti della guerra.

Che terreni di proprietà privata in punti strategici della città, siano tollerati per la durata di decenni in condizione così poco decorose, è un problema urbanistico che meriterebbe attenta considerazione. Quando i privati non vogliono o non possono dare sistemazione decente e un immobile di loro proprietà, è giusto che questo sia lasciato alla vista del pubblico per tempi interminabili? Non sarebbe auspicabile un intervento di sequestro e di successivo riordino, restauro, ristrutturazione, per restituire vita all’edificio sinistrato? Non si dovrebbe facilitare il necessario procedimento amministrativo? La città è formata da costruzioni private, ma possiede un volto pubblico, un aspetto di interesse collettivo, una immagine appartenente a tutti i cittadini: questa prerogativa urbana esige consapevolezza e rispetto da parte dei privati. Se questi sono in difetto deve essere consentito alla Amministrazione comunale un intervento di natura legale che supplisca alla carenza dei proprietari negligenti. Oggi tale intervento si riduce unicamente all’esproprio, ma tutti sanno che la procedura di esproprio è talmente difficoltosa da risultare quasi inattuabile.

Il nuovo edificio che copre gran parte dell’area un tempo bombardata è un felice esempio di costruzione seria in un panorama milanese costellato da banalità, se non da orrori. L’edificio denota la serietà dei suoi progettisti, allievi e continuatori di un noto maestro quale era Aldo Rossi: edificio improntato a principi di buon senso, di ordine, di compostezza. La facciata, scandita dalla maglia strutturale, evita la nuda esposizione degli elementi portanti, ingentilendo i loro spigoli con leggere e nitide modanature che si rincorrono lungo l’intera successione delle campate. I pilastri e le travi del piano terreno, occupato da un portico a tutta lunghezza, così come le lesene e gli architravi dei piani superiori, sono rivestite da lastre di marmo il cui spessore viene lasciato in evidenza e utilizzato come risalto decorativo.

Un uso tratto dalla scuola costruttiva milanese; un effetto decorativo ottenuto mediante un attento e accurato dosaggio di sottili proiezioni d’ombra sulla superficie della facciata. Nella nota “Ca’ Bruta” dell’architetto Giovanni Muzio (1893-1982) l’impianto architettonico – decorativo della facciata è sottolineato dalle leggere sporgenze e dai minimi arretramenti con cui vengono posate le lastre di rivestimento. Volendo risalire ancora più indietro è sufficiente ricordare le facciate dall’architetto Giuseppe Piermarini (1734-1808): sulle quali l’alternarsi discreto e appena accennato di aggetti e di incassi preannuncia l’ormai prossima compostezza neoclassica.

L’omaggio alla tradizione non si nota soltanto nei dettagli costruttivi; si manifesta apertamente anche nell’impianto generale della costruzione, dove la zona di ingresso viene messa in evidenza e sottolineata sia dal cambiamento cromatico del rivestimento, sia dalla collocazione dell’insegna alla sommità dell’edificio. La scritta a grandi lettere si innalza al di sopra del cornicione, e indica da lontano il punto della facciata in cui è posto l’ingresso principale: non diversamente nei palazzi antichi un timpano classico o una cimasa barocca indicano il punto in cui si trova l’entrata ufficiale del palazzo.

La piazza, nonostante il recente felice intervento nel suo lato nord, è ancora incompleta e male sistemata. Disturbano i due vuoti informi ai lati della Banca dell’Agricoltura, dai quali viene distrutta l’atmosfera di raccoglimento e protezione che sarebbe auspicabile ma che oggi la piazza non è in grado di offrire. Non è sufficiente collocare in posizione più visibile e più decorosa la bella fontana polilobata; è anche necessario creare un perimetro che funga da elemento di delimitazione e di chiusura dello spazio aperto, oggi mal definito e mal configurato. La progettazione di tale perimetro sarà oggetto di un concorso; è sarà l’occasione per mettere alla prova la capacità progettuale degli attesi concorrenti. Il perimetro può variare di disegno e di composizione; può essere costituito da un muro di cinta o un porticato continuo; può presentarsi come un percorso fiancheggiato da negozi o come una semplice passeggiata coperta; può prendere come modello il movimentato portico che circonda la Rotonda della Besana (ex-Foppone), o il sobrio quadriportico, oggi distrutto, del vecchio Lazzaretto.

Al di là delle diverse soluzioni è importante che il perimetro rispetti due condizioni, apparentemente poco conciliabili: da un lato definire uno spazio chiuso e raccolto; dall’altro non ostacolare la vista del Tribunale e dell’Arcivescovado. La soluzione sarà facilmente trovata lasciando nel perimetro due aperture uguali e contrapposte: una sul maestoso portale di ingresso all’Arcivescovado, progettato dall’architetto Pellegrino Tibaldi (1527-1596); l’altra verso il meno nobile ma non meno autorevole portone di ingresso al Tribunale. Quante stimolanti occasioni progettuali, se soltanto la Amministrazione Comunale si rendesse conto che Milano può diventare più dignitosa e attraente!

Jacopo Gardella



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