19 aprile 2011

QUANTO VALE LA BELLEZZA DEI NAVIGLI?


Che lo sviluppo porti con sé necessariamente degrado ambientale e abbrutimento dei luoghi è un lascito dell’era industriale e un pregiudizio difficile da smontare. Fa il paio con quell’altra visione delle cose per cui la sinistra è poco interessata al bello, essendo i suoi sostenitori più sensibili all’indispensabile che al “superfluo”. Questa categoria interpretativa è fuorviante: la capacità, e prima ancora la disposizione del genere umano, di compiere i gesti più elementari della sopravvivenza biologica intrecciandoli strettamente con i simboli e il gusto personale, afferma l’autonomia dell’umano rispetto al necessario: incrociare vimini in un modo piuttosto che in un altro, decorarsi con segni o abbellirsi con conchiglie, sono gesti che esprimono non il superfluo della nostra esistenza umana, ma esattamente il contrario, l’essenziale. Il Design, come segno estetica della funzione, non è nato con il Fuori Salone.

Nonostante l’evidenza storica e quotidiana di queste elementari considerazioni, il brutto ci circonda, legittimato dalla leggenda che lo vuole come necessario compagno dell’utile e del contemporaneo. La sinistra poi è spesso caduta nell’equivoco, accettando lo sviluppo tecnologicamente distruttivo come il prezzo da pagare per assicurare livelli minimi di sopravvivenza a larghi strati sociali esclusi: la bruttezza insostenibile delle realizzazioni socialiste è pari soltanto alla gravità dei suoi disastri ambientali. Possiamo dire che si trattava di un necessario passaggio storico? Non importa alla fine più che tanto, quando si è ormai fatta strada una visione del mondo e delle cose che include il Bello come fattore produttivo specifico della nostra società: l’Economia dell’Immagine si fonda sulla categoria della Bellezza e del Gusto, ancorché distorti.

Venendo a noi, pensiamo ai Navigli, a quel prezioso sistema di valori, cultura, memorie, simboli e pratiche, che si sono via via sedimentati tra la Darsena, le due alzaie, e nei territori circostanti. Pensiamo al motivo per cui proprio in questi luoghi e non in altri, così come in piazza Vetra o in Brera, si sono localizzati, addensandosi in una concentrazione elevatissima, i servizi per il loisir urbano, per quel bel vivere che attira ogni sera, in un pendolarismo quotidiano volontario, migliaia di persone. Se pensiamo a tutto ciò e ci chiediamo cosa chiama a sé, da tutta la città e dalla metropoli milanese, giovani e meno giovani, siamo costretti a riconoscere nella Bellezza dei Luoghi il fattore distintivo, la risorsa – valore sociale capace di generare servizio – valore economico. Non c’è dubbio, non si va a sera sui casermoni di Lorenteggio o sui Navigli coperti di via Senato. Si va a prendere il fresco e un’occhiata di Bello sui Navigli perché lì sono Storia e Natura, in un intreccio unico: il Sociale. Questa specifica dotazione locale di Bellezza è la risorsa che alimenta la produzione quotidiana di valore economico. E se così è, non si vede come si possa negare che la sua riproduzione quotidiana costituisca la garanzia della riproduzione del valore economico d’impresa.

Non pensiamo di aver detto nulla di particolarmente nuovo, e proprio per questo, non si può non essere stupiti, amareggiati e quasi disarmati, di fronte alla desolazione dei luoghi che abbiamo appena ricordato. Su tutti, lo scempio della Darsena, luogo simbolo della Milano città d’acqua, che potrebbe aggiungere Bellezza a bellezza, respiro dello Sguardo al nostro occhio, attrazione nuova a chi Desidera, e quindi Valore a valore, e invece giace manomesso e deturpato. E cosa pensare poi dello stato delle Alzaie e cosa del susseguirsi senza soluzione di continuità di insediamenti del divertimento (le “Quinte” della Movida) che, non regolati, consumano la Bellezza e così facendo distruggono i loro stessi guadagni futuri?

Difficilmente possiamo trovare a Milano un luogo in cui si coglie così stretta la relazione, e non l’opposizione, tra il bello e l’utile, tra l’immateriale e l’economico, tra il Valore Sociale e il Valore d’impresa. E altrettanto difficilmente possiamo trovare a Milano un luogo in cui questa relazione viene negata dalla aggressività senza prospettive di uno sfruttamento vergognoso e pari, per la sua impudenza e per la sua gravità, al comportamento di una pubblica amministrazione che sarebbe facile chiamare ignava, oltre che complice di piccoli ma sostanziosi interessi privati senza futuro.

Ignava perché lascia residenti e imprese a fronteggiarsi in un contenzioso ad armi dispari, ma soprattutto perché del tutto indifferente alla comprensione di una politica attiva, all’altezza dei tempi e della domanda di tutti, residenti, imprese e ospiti, in grado di generare quella maggior Qualità Urbana – Bene Comune che può aggiungere risorse sul tavolo del confronto e della mediazione.

Fuor di metafora: una Darsena rimessa a nuovo, una politica degli spazi verdi (micro e macro), un’azione di attrazione di flussi turistici che facciano vivere il quartiere nelle ore, i giorni, e le stagioni, non ingolfate dalla Movida, non sono tutti elementi di una dimensione urbana più vivibile, socievole, fruibile e al tempo stesso economicamente attraente? Non è allora vero che la Bellezza è al tempo stesso Dono sociale e Motore della creazione del valore d’impresa?

Noi lo affermiamo perché pensiamo che la Bellezza sia sinonimo e non contrario di sviluppo, lo crediamo perché siamo convinti che la sinistra debba rivendicare a sé il compito di farsi promotrice del Bello e non solo del necessario, perché infine crediamo che siamo nati come donne e uomini non per compiere i gesti automatici e compulsivi, e per questo anonimi, della sopravvivenza biologica, ma quelli ricchi di senso, di gusto e di individualità, che affermano il Bello come piena espressione della nostra autonomia.

Giuseppe Ucciero



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